UNO SCANDALO CHIAMATO ZALESKI - LA “CARLO TASSARA” È TECNICAMENTE FALLITA MA L’AMICO DEL CUORE DI BAZOLI CONTINUA A COMANDARE
Giorgio Meletti per "Il Fatto Quotidiano"
Non c'è spiegazione comprensibile per persone normali di quanto le due maggiori banche italiane (Intesa e Unicredit) stanno combinando con i debiti del finanziere Romain Zaleski, ottantenne trapiantato a Brescia e amico per la pelle del presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli. Se quest'ultimo fosse un notorio mascalzone, come certi suoi colleghi banchieri che si danno il cambio sul palcoscenico delle cronache criminali, sarebbe tutto più semplice. Ma siccome gode di una reputazione inattaccabile, tutto diventa inspiegabile.
Due giorni fa, forse non casualmente all'indomani della cacciata da Intesa dell'ad Enrico Cucchiani, la società Carlo Tassara, cassaforte di Zaleski, ha approvato un nuovo accordo di moratoria dei suoi debiti con le banche creditrici: la situazione è in stallo da cinque anni, e gli istituti di credito hanno concesso a Zaleski altri tre anni di tempo, che così fanno otto
anni in tutto.
I dettagli dell'accordo fanno rabbrividire. à giusto che le banche non strozzino un'azienda indebitata. Solo che in questo caso stanno soccorrendo un debitore che non ha fabbriche e dipendenti: Zaleski è riuscito a farsi dare dalle banche 9 miliardi di euro (miliardi, non milioni) per comprare azioni in Borsa: la crisi finanziaria ha fatto crollare il valore dei titoli ma non quello dei debiti. E lì è iniziata la strana via crucis delle banche, che trattano l'amico di Bazoli come se fosse il loro padrone.
L'ACCORDO di due giorni fa è chiaro. Benché la Carlo Tassara sia tecnicamente fallita, Zaleski continua a comandare: le banche hanno accettato di convertire in capitale 650 milioni di crediti (perché sennò l'azienda dovrebbe portare i libri in tribunale) ma senza diritto di voto. Zaleski ha accettato, bontà sua, che sei dei nove consiglieri di amministrazione siano "indipendenti" (finora gli era stato lasciato il pieno controllo del cda), però li nomina lui. E le banche pagano.
Infatti Intesa e Unicredit, che guidano il drappello di banche creditrici composto anche da Montepaschi, Popolare di Bergamo, Popolare di Milano, Popolare di Lodi e Carige, hanno promesso all'influente campione di bridge di "rinunciare alla porzione dei crediti che eventualmente risultasse insoddisfatta successivamente alla data in cui fosse stato dismesso tutto l'attivo patrimoniale".
In parole povere, alla Carlo Tassara sono rimasti 2,2 miliardi di debiti e un portafoglio titoli che vale circa un miliardo: vendute tutte le azioni, il miliardo abbondante di debito residuo passerà in cavalleria con un meccanismo folgorante, cioè "l'impegno a convertire in strumenti finanziari partecipativi (capitale senza diritto di voto, ndr) gli eventuali propri crediti verso la società che dovessero residuare dopo che tutti i beni del gruppo facente capo a Carlo Tassara destinati a essere alienati saranno stati venduti". Notate un dettaglio: si indicano i beni "destinati a essere alienati", perché non tutto viene messo in vendita.
Zaleski ha preteso e ottenuto che gli restino (non aggredite dalle banche creditrici) le piccole attività industriali nel Bresciano, come la Metalcam, azienda presieduta dall'influente avvocato d'affari Gregorio Gitti, genero di Bazoli che alle ultime elezioni politiche è stato nominato deputato da Mario Monti (Scelta Civica).
Zaleski ha ottenuto un altro bel regalo. Dopo i 650 milioni di conversione del debito in capitale senza voto, che evitano il fallimento della Carlo Tassara, le banche si sono impegnate a ripetere la stessa operazione qualora ulteriori sbilanci patrimoniali riproponessero lo spettro del fallimento. E quindi una delle poche cose chiare di questa assurda vicenda è che Zaleski non deve fallire.
Forse dipende dalla sua storia. Nel 2007 le banche gli hanno prestato di colpo 4,6 miliardi per fare di lui un azionista chiave di Intesa (5,9 per cento), Generali, Montepaschi, Generali e Ubibanca. Ma in particolare colpisce che Zaleski ha comprato ai massimi (oltre 5 euro), per 3,6 miliardi di euro azioni di Intesa, la banca che lo finanziava senza chiedergli neppure una garanzia.
ANCHE il tentativo del numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni, di fare la voce grossa, è sostanzialmente fallito. All'inizio dell'estate aveva scritto una durissima lettera a Zaleski per dire che era ora di finirla con i suoi giochini. Dal 2008, quando fu firmato il primo accordo di moratoria del debito, l'amico di Bazoli ha sistematicamente sabotato i tentativi di Pietro Modiano (l'ex direttore generale di Intesa mandato a occuparsi del bubbone Tassara) di vendere le azioni per ripagare i debiti.
Nel frattempo le azioni in portafoglio hanno dimezzato il loro valore, e adesso, tuonava Ghizzoni, è ora di darsi una mossa e vendere alla svelta il vendibile. Unicredit ha un punto di forza: i suoi crediti (circa 500 milioni) sono integralmente coperti da garanzie reali, mentre Intesa Sanpaolo è esposta per 1,2 miliardi di cui 800 milioni senza garanzie.
Forse anche per questo alla fine Bazoli si è imposto e Ghizzoni ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, portando a casa un ben magro risultato: i sei consiglieri indipendenti su nove, nominati ancora da Zaleski, mentre non è stata messa in discussione la poltrona di amministratore delegato di Mario Cocchi, uomo di Zaleski, e Modiano manifesta una certa fretta di scappare lontano.
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