C’ERA UNA VOLTA LA CINA – PECHINO NON TRAINA PIÙ IL MERCATO DEL LUSSO – COLPA ANCHE DELLA “MORALIZZAZIONE” DEL GOVERNO CHE FRENA GLI ACQUISTI – ORA TUTTI SPERANO NELL’ESPLOSIONE DELL’INDONESIA
F.SP. per "La Stampa"
«L’incremento della crescita negli Stati Uniti e in Europa nell’ultimo trimestre ha compensato il calo che è stato registrato in Asia». Anche un gigante del lusso come la francese Lvmh - che nel terzo trimestre, vede i ricavi crescere appena del 5,7%, al di sotto delle previsioni degli analisti - certifica il cambiamento.
Nonostante i cinesi restino i protagonisti del mercato mondiale del lusso, rappresentandone il 29%, qualcosa è cambiato. La Cina che negli anni scorsi aveva drogato il mondo del lusso con una crescita sfrenata a doppia cifra, per la prima volta nel 2014 segna una performance negativa: -1% a cambi costanti, meno 2% a tassi correnti.
Così se globalmente anche quest’anno - secondo i dati del «Monitor Altagamma sui Mercati Mondiali 2014», presentato ieri a Milano da Fondazione Altagamma e da Bain & Company - il mercato del lusso crescerà del 5% a cambi costanti (+2% a tassi correnti), rispetto al 7% di un anno fa, dovrà dire grazie a un ritorno al lusso dell’America (+6% a cambi costanti, +3% a tassi correnti) e anche dell’Europa che, nonostante le difficoltà, può contare su un +2%.
Dall’Asia invece arrivano notizie meno entusiasmanti degli anni passati. «Arriva una fotografia molto fredda, molto diversa da quella che abbiamo visto negli anni passati - spiega Claudia D’Arpizio, partner Bain dell’ufficio di Milano - quando tutta la crescita veniva da qua. Ora le velocità sono basse, con la Cina in decrescita, con la Corea che fa fatica e un Sud Est asiatico dove, in mezzo a situazioni problematiche come quella della Malesia, ci si aspetta l’esplosione dell’Indonesia, in un certo modo la nuova Cina», sebbene ben più piccola.
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In Cina c’è una cambio di marcia. Stop all’ubriacatura, anche grazie al fatto che il governo sta portando avanti un processo di moralizzazione che va dal proibire gli alberghi a cinque stelle ai governativi che viaggiano, a ridurre il visto per Macao da sette a cinque giorni lavorativi, a controllare l’utilizzo degli alcolici, fino a ridurre gli acquisti di articoli di lusso per i regali.
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Secondo D’Arpizio tutto questo non è un male in sé. Fa piuttosto a emergere «il vero mercato, i veri consumatori che possono spendere. Sta togliendo una bolla, un cappello sul quale ci eravamo adagiati e ci fa capire chi sono vincitori e perdenti su quel mercato, e come si può conquistare il consumatore». Che è sempre più fatto di ceto medio che cerca prodotti accessibili e premium, con uno zoccolo duro di super ricchi accomunati, qui come negli Usa, da una passione per le supercar personalizzate che stanno vivendo un vero e proprio boom: +10%.
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E mentre i consumatori cinesi si fanno più selettivi (e viene meno il supporto dei russi), le grandi marche del Vecchio Continente fanno i conti con un ambiente meno favorevole al business del lusso. Anche Burberry ieri ha comunicato - relativamente al primo semestre - ricavi in crescita del 14%, denunciando nel contempo un calo della redditività, anche a causa dell’ennesima giravolta del mercato cinese.