COME AFFONDARE, IN UN MARE DI SPERMA, UN MARCHIO VINCENTE - DOV CHARNEY HA CREATO ''AMERICAN APPAREL'' E POI L'HA DISTRUTTO, A SUON DI SMS PORNO A DIPENDENTI E MODELLE: ''PAPINO VUOLE GIOCARE CON LA SUA GATTA DELLA SBORRA...''
GLI SMS CHE DOV CHARNEY, AMMINISTRATORE DELEGATO DI ''AMERICAN APPAREL'', MANDAVA A DIPENDENTI E MODELLE: ''IL TUO CULO È IL PERFETTO BERSAGLIO PER IL MIO SPERMA''
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AMERICAN APPAREL VITTIMA DEL FAST-FASHION E DEL FONDATORE OSÉ
Arturo Zampaglione per “Affari e finanza - la Repubblica”
i messaggi erotici a modelle e dipendenti
Un' altra vittima del fast-fashion di Zara o H& M: American Apparel, industria di punta dell' abbigliamento Made in Usa che nel 2013 fatturava 633 milioni di dollari, vede le vendite crollare di un altro 17 per cento nel secondo trimestre 2015. Ormai le perdite di esercizio dell' ultimo quinquennio sono arivate a 340 milioni.
Troppi, per poter sperare in un miracolo. Anche perché, a complicare le cose per la chief executive Paula Schneier si aggiunge l' ombra (e le cause giudiziarie) di Don Charney, l' eccentrico fondatore del gruppo. Risultato: la società ha appena chiesto l' amministrazione controllata. «Avevamo una montagna di debiti che ci impedivano di fare qualsiasi cosa», spiega la Schneier. «Non potevo continuare a barcamenarmi ogni giorno tra procedimenti giudiziari e mancanza di mezzi per qualsiasi investimento».
Portare i libri in tribunale è quanto di meno ci si attendeva da un' azienda con ramificazioni planetarie che fino a qualche tempo fa interpretava l' essenza del vestire casual all' americana e l' orgoglio del Made in Usa. Don Charney non aveva neanche 30 anni quando nel 1991 avviò la prima catena di T-shirt di American Apparel.
Il suo obiettivo era di realizzare un' integrazione verticale delle attività tessili e di abbigliamento (filatura, colorazione, produzione, ingrosso, dettaglio) evitando la corsa alla delocalizzazione verso la Cina, come invece facevano le altre aziende di abbigliamento per risparmiare sui costi del lavoro.
Nel 2000 Charney si spostò in una immensa fabbrica al centro di Los Angeles, alta sette piani e su una superficie di 7 ettari, con una capacità di un milione di camicie alla settimana,e dove lavorano 4mila dipendenti sui 10mila complessivi del gruppo. " American Apparel è una rivoluzione industriale", proclama un' enorme scritta sul tetto dell' edificio californiano.
dov charney ex ceo american apparel
Si tratta della più grande struttura produttiva dell' industria tessile americana: da lì, oltre alle camicie, escono blue-jeans, golf, giacche, accessori e milioni di "magliette- base", che poi sono adattate con i logo e i disegni chiesti dai clienti. Charney si è anche dotato di una vasta presenza commerciale negli States e all' estero: alla fine dell' anno scorso American Apparel aveva 242 negozi sparsi in venti paesi, di cui due in Italia.
Ma al di là del suo intuito, coraggio e dinamismo, Charney non ha capito la mutazione nei gusti di giovani, e non ha tenuto conto della concorrenza del fast-fashion. Ha poi sempre avuto un lato oscuro e controverso. Ad esempio, ha sempre insistito per campagne pubblicitarie molto osé, arruolando attrici del porno come Lauren Phoenix e Sasha Grey, ricevendo per questo gli applausi di Adult Video News (la newsletter del comparto a luci rosse), ma facendosi respingere da molte testate dell' America puritana.
Si è poi lanciato in campagne d' opinione a favore dei diritti dei gay, della legalizzazione della marijuana, dell' immigrazione. Ha fatto la guerra a Woody Allen. Come se non bastasse si è messo nei guai per atteggiamenti sessisti e comportamenti osceni: secondo il New York Times si sarebbe masturbato di fronte a una giornalista della rivista Jane che lo stava intervistando. Di sicuro il fondatore di American Apparel, che adesso ha 46 anni, è stato denunciato da alcune impiegate per molestie sessuali, e alla fine il board lo ha destituirlo dall' incarico di presidente.
Lui ha fatto subito causa. Ha cercato di allearsi con altri azionista per rimontare in sella. Invano. Rischia di perdere tutto: se il giudice fallimentare approverà il piano di ristrutturazione del gruppo presentato dalla Schneier con l' avvallo del board, gli attuali azionisti saranno di fatto spazzati via, a cominciare da Charney, mentre il controllo della società passerà a cinque hedge-fund o società di investimenti, che oggi detengono 200 milioni di dollari di bond emessi da American Apparel.
Questi bond saranno infatti trasformati, con l' aggiunta di 70 milioni di nuova liquidità, nel capitale azionario del nuovo gruppo. La Goldman Sachs asset management è una delle cinque protagoniste del salvataggio, assieme a Coliseum capital, Monarch alternative capital, Pentwater capital management e Standrad general. Ed è proprio quest' ultima, specializzata in operazioni su gruppi traballanti (tant' è vero che a maggio ha preso il controllo di Radio Shack), ad avere assunto un ruolo chiave nel nuovo corso di American Apparel, nel cui board ha già piazzato uno dei suoi partners, David Glazek.
Ce la farà la Schneier, con l' aiuto di questi soldi freschi e con l' allontanamento di Charney, a rimettere il gruppo in carreggiata, e arecuperare la fiducia dei consumatori? È ancora preso per dirlo: ma di sicuro, osservano gli analisti, American Apparel ha una chance - forse l' ultima - per evitare di dover chiudere per sempre.
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