CORRIERE IMPANTANATO - RCS, DOPO IL RILANCIO DI URBANETTO, OFFERTE A RISCHIO PAREGGIO - LA CASA EDITRICE DIFFICILMENTE GOVERNABILE, SI ALLONTANA LA FUSIONE CON LA7 PER CAIRO - ENTRO VENERDÌ LA CONTROMOSSA DI BONOMI & NAGEL - L'INCOGNITA BREXIT
Giovanni Pons per “la Repubblica”
Il giorno successivo al rilancio della Cairo Communication su Rcs gli schieramenti prendono una pausa di riflessione per fare i conti e ragionare sul da farsi. La palla ora è nel campo di Bonomi e soci (Mediobanca, Della Valle, UnipolSai e Pirelli) che hanno tempo fino a venerdì prossimo per decidere se rilanciare a loro volta sull’Opa a 0,70 euro per azione già annunciata.
Di mezzo però c’è l’incognita Brexit, che come si è visto nei giorni scorsi, è in grado di influenzare sensibilmente l’andamento del mercato e dunque anche dei titoli Rcs e Cairo. Dunque è lecito aspettarsi che la nuova mossa, se ci sarà, venga comunicata solo venerdì prossimo.
Dal largo fronte della cordata Bonomi al momento le bocche sono cucite ma qualche considerazione trapela. Il rilancio di Cairo è giudicato al di sotto delle aspettative in termini di prezzo (ha in sostanza pareggiato 0,7 euro) ma probabilmente è sufficiente a fornire una giustificazione formale a Intesa Sanpaolo (azionista e advisor di Cairo) e agli investitori che gravitano nell’orbita della banca per consegnare le proprie azioni all’Ops.
Se Bonomi & C., dunque, decidessero di non rilanciare si potrebbe venire a creare una situazione anomala e se possibile peggiore alla fotografia di partenza. E cioè con entrambi gli schieramenti che riescono a raggiungere il quorum minimo (35% per Cairo, 30% per Bonomi) che consentirebbe a entrambi di accettare l’esito delle due offerte. Con il risultato di avere due fronti di azionisti che si bloccano a vicenda e rendono la casa editrice difficilmente governabile, vanificando gli sforzi di semplificazione dell’azionariato.
Un fatto, tra gli altri, sembra appurato: la prospettata fusione tra Cairo e Rcs non vedrà mai la luce. I quattro soci che si sono affiancati a Bonomi, infatti, non hanno alcuna intenzione di consegnare il loro 22,6% del capitale Rcs e facilmente lo arrotonderanno oltre il 30% in seguito all’Opa. Questa quota rappresenta una minoranza di blocco in grado di mandare in fumo qualsiasi operazione straordinaria, sebbene ben congegnata. E anche Cairo sembra averla messa sul tavolo più per piacere agli analisti finanziari che la chiedevano, che per convinzione: la tempistica di 12-24 mesi e i paletti piantati la fanno considerare dal mercato assai improbabile.
I soci storici, inoltre, sono scesi in campo proprio perché non considerano Cairo un’azienda con le caratteristiche giuste per sposarsi con la più grande e blasonata Rizzoli. Il nuovo piano industriale, presentato da Cairo insieme al rilancio, con un margine operativo lordo che sale dai 17,5 milioni del 2015 a 46 milioni nel 2018, è considerato da Bonomi & C. assolutamente irrealistico. I ricavi dovrebbero passare da 260 a 289 milioni, con investimenti per 45 milioni nel biennio tutti sostenuti dalla generazione di cassa.
I ricavi editoriali della Cairo sono visti dal suo principale socio crescere di quasi il 10% da 97 a 105 milioni, grazie a Enigmistica Più e al lancio di un nuovo giornale nel 2017. La raccolta pubblicitaria televisiva dovrebbe salire da 140 a 196 milioni e l’aumento del margine operativo lordo del gruppo è dovuto alla crescita delle quote di mercato di La7 e La7D e a nuovi canali, con una redditività che passa al 13% già l’anno prossimo.
I gestori e i risparmiatori che invece credono a questi numeri e considerano i soci storici Mediobanca, Della Valle, Pirelli, corresponsabili degli 1,3 miliardi di perdite realizzate da Rcs in cinque anni, prenderanno azioni Cairo in cambio di azioni Rcs, disobbedendo anche alle raccomandazioni del cda. Ma potrebbero trovarsi di fianco a nuovi soci oggi nell’ombra ma che sarebbero pronti a sottoscrivere quell’aumento riservato da 70 milioni che Cairo ha annunciato venerdì.
Lasciando però sempre a Cairo il controllo del gruppo in virtù del voto maggiorato che passerà in assemblea il 18 luglio ma che ne limita la contendibilità futura: una decisione che il mercato trova “non amichevole”.