
SOS BEZOS! - PERCHÉ UNA PERSONA SANA DI MENTE COMPRA UN GIORNALE CHE PERDE SOLDI DA SETTE ANNI CONSECUTIVI? - RISPOSTA: “IL GIORNALISMO NON È MORTO. BISOGNA SOLO VENDERLO MEGLIO”
Beppe Severgnini per il "Corriere della Sera"
Perché una persona sana di mente compra un giornale che perde soldi da sette anni consecutivi? Per farsi bella, ma sarebbe un vezzo costoso. Per farsi forte, e sarebbe un vizio antico. O perché intende farci qualcosa. Chi conosce Jeff Bezos non ha dubbi. Se ha comprato The Washington Post è perché intende farci qualcosa.
Cosa, ancora non si sa. Ma Bezos è originale e intuitivo; e resta un uomo d'affari americano, cauto e analitico, docile con i clienti e duro con i concorrenti, restio a perder tempo e buttare denari. La storia di Amazon lo conferma: Bezos è disposto a perdere oggi per guadagnare domani; non a perdere oggi e domani. La sua specialità è vendere e consegnare, in modo nuovo e semplice. Non scrive libri, li distribuisce (carta, Kindle); non costruisce smartphone, li propone; non produce film, li offre in dvd e streaming; non costruisce armadi per metterci gli acquisti, offre Amazon Cloud Drive.
INVENTARE, SPERIMENTARE, ASPETTARE - Cosa farà con un giornale - e che giornale! - non si sa. Bezos prevede che «i quotidiani stampati non saranno comunemente usati in vent'anni» - una previsione facile anche per noi giornalisti, se ripulissimo la testa da romanticismo, egoismi e autobiografie - eppure compra The Washington Post, una testata simbolica, il quotidiano della capitale politica del mondo. Ha scritto ai giornalisti: «Ci saranno certamente cambiamenti negli anni a venire.
Questo è fondamentale, e sarebbe successo con o senza la nuova proprietà ». E ha aggiunto: «Internet sta trasformando il business delle notizie, erodendo fonti di reddito a lungo affidabili e consentendo nuove forme di concorrenza, alcune delle quali abbassano o addirittura cancellano i costi nella raccolta delle notizie. Non ci sono strade prestabilite, e tracciare un sentiero da percorrere per il futuro non sarà facile. Avremo bisogno di inventare, e quindi avremo bisogno di sperimentare».
Inventare, sperimentare, aspettare: tre cose che Jeff Bezos ha mostrato di saper fare. L'uomo non va sottovalutato. Dietro quell'aspetto da folletto e quella risata sconvolgente - Newsweek l'ha paragonata allo «stridìo di uno stormo di anatre sotto allucinogeni» - c'è un calcolatore. Jeff B non ha inventato il pc, non ha inventato lo smartphone, non ha inventato il tablet.
Ha però creato formidabili funzioni che passano per questi strumenti. Funzioni per gli ordini, il pagamento e la distribuzione. Niente serve, se non arriva. «One-click» - acquistare con un unico click, dopo aver scelto il prodotto - è il geniale sfruttamento dell'impulsività commerciale, brevettato e difeso con i denti. Chissà che un giornale non possa inventare qualcosa del genere.
RIPENSARE IL WASHINGTON POST - Di certo, Jeff Bezos non vuole creare un nuovo quotidiano; sa però che bisogna ripensarlo, confezionarlo e distribuirlo in modo efficace. In un'intervista al Corriere , tre anni fa, ha detto: «Nessuna tecnologia dura per sempre. La carta ha resistito cinquecento anni. à già un successo incredibile». Lunedì ha scritto ai giornalisti del Washington Post : «Il giornalismo non è morto».
Dobbiamo però venderlo, avrebbe potuto aggiungere, e fare in modo che qualcuno lo compri. Bezos è ossessionato - letteralmente - dalla qualità del servizio. «Customers rule!», i clienti comandano!, scarabocchiò sulla dedica di una sua biografia. Lunedì ha spiegato: «Il dovere principale del Post resterà quello di soddisfare i suoi lettori, e non gli interessi privati dei proprietari. Noi continueremo a seguire la verità ovunque essa ci condurrà , e continueremo a lavorare sodo per non commettere errori».
Tre anni fa, in un'intervista al Corriere, disse: «Certo, devi stare attento ai concorrenti. Se ti tirano sassi, basta che abbassi la testa e ti concentri sui tuoi clienti. (...) Sì, ad Amazon siamo ancora terrorizzati dai clienti. Perché i clienti ci saranno fedeli fino al momento in cui un concorrente offrirà un servizio migliore. Un po' di paura fa bene». Si potrebbe dire: ha comprato un quotidiano?
Benvenuto nel mondo della paura, ingegner Bezos. Ma forse lui risponderebbe con un'altra frase dalla stessa intervista: «Sento in giro una sensazione nuova. Una specie di trepidazione, l'impressione d'avere di fronte immense possibilità . Siamo nel secondo rinascimento di Internet. Questo periodo mi ricorda il 1997-98, quando tutti facevano esperimenti. Oggi è la stessa atmosfera. Dispositivi mobili, social network, tutto è in flusso, c'è energia in giro».
ECCENTRICO ED IMPEGNATO - Jeff B è decisamente ottimista e decisamente ricco: undicesimo nella lista dei 400 individui più facoltosi degli Stati Uniti, con un patrimonio di 25,8 miliardi di dollari (â¬19,5 miliardi). Jeff B è piuttosto eccentrico: si riempie le tasche come Eta Beta e rovescia il contenuto sul tavolo, sotto gli occhi degli interlocutori stralunati. Jeff B è politicamente impegnato: ha contribuito in maniera decisiva alla campagna referendaria per il matrimonio tra persone dello stesso sesso nello Stato di Washington.
Jeff B è curioso: a Milano, nel 2011, faceva molte domande su Silvio Berlusconi, e non è strano; strano è che rimanesse attento e in silenzio ad ascoltare le risposte. Jeff Bezos è insolito al punto da apparire bizzarro: ha investito milioni in una società per il volo spaziale, ha finanziato e partecipato al recupero di un motore dell'Apollo 11 al largo della Florida, contribuisce alla costruzione di un orologio in grado di segnare l'ora per diecimila anni.
Jeff B coltiva buone relazioni: è un capitalista, non un asceta, e frequenta con gusto i ritrovi dei ricchi e potenti (Sun Valley, Davos). Jeff B è ragionevolmente vanitoso e sufficientemente spiritoso da ammetterlo. Gli ho chiesto, tempo fa: su Mark Zuckerberg e Facebook è stato fatto un film, The Social Network . Se ne facessero un altro su Jeff Bezos e Amazon? «Basta che la mia parte la faccia Brad Pitt», ha risposto.
«DON'T WORRY, BE HAPPY» - Ma più di tutto Jeff B è un americano, dotato di fiducia, fegato e fantasia. Nato nel Nuovo Messico da una mamma di 17 anni, come Steve Jobs non ha mai conosciuto il padre biologico e ha assunto il nome del padre adottivo. Scuola superiore a Miami, laurea con lode in ingegneria elettrica e scienza dei computer a Princeton, primo impiego in finanza a New York: studiando il commercio elettronico, capì che era facile vendere libri online.
Lasciò l'impiego, guidò fino a Seattle e s'installò a Bellevue, un sobborgo di Seattle sul lago Washington, dove tuttora abita. La prima sede, nel garage di casa: l'incubatore dei sogni americani, da Bill Gates a Steve Jobs a Jeff Bezos. Perché l'uomo appartiene a questa categoria, cui possiamo aggiungere Page e Brin (Google), Zuckerberg (Facebook), Dorsey (Twitter): gente che non ha creato una società commerciale, ma un paradigma sociale.
La prima volta l'ho incontrato a Seattle, nel 2000, grazie al mio amico Diego Piacentini, che era andato a lavorare con lui e oggi dirige le operazioni internazionali del gruppo. L'incontro nella vecchia sede di Amazon, un ex ospedale di mattoni rossi alto su una collina. Uscendo, Jeff Bezos mi ha regalato una carpa di plastica montata su un pannello di legno, spiegando che era uno degli oggetti più venduti su Amazon.com.
Ce l'ho ancora. Premendo un bottone, il pesce volta la testa e canta con voce baritonale «Don't worry, be happy!». Non preoccupatevi, e cercate di essere felici. Se fosse un consiglio ai giornalisti dovremmo ascoltarlo. Non si vince mai, se si combatte il futuro. Non l'ha detto la carpa, l'ha detto Jeff Bezos. Tutt'e due sembrano sapere dove va la corrente.








