FINMECCANICA, FATTA A PEZZI DA LAVITOLA IN GIÙ? - CHE COSA RESTA DELL’AZIENDA PER IL 32% PROPRIETÀ DEL TESORO? - 2011 ANNO HORRIBILIS PER GUARGUAGLINI: USATA DA FACCENDIERI DI CORTE, OGGETTO DI INCHIESTE, TERRA DI PRESUNTI SCAMBI ILLEGALI, TARANTELLE E TARANTINI - FANTASMA “SPEZZATINO” ALL’ORIZZONTE, PRIMO PEZZO IN VENDITA: ANSALDO BREDA (800 MILIONI € PERSI TRA 2006 E 2010). TRADOTTO: L’ITALIA FUORI DALL’INDUSTRIA FERROVIARIA...

Roberto Mania per "Affari & Finanza" di Repubblica

Il ridimensionamento di Finmeccanica è cominciato. Sullo sfondo si intravede la sagoma inquietante del fantasma dello spezzatino vecchio stile. Una vendita (o svendita) pezzo per pezzo, dei gioielli insieme alle aziende tumefatte che ancora esistono. L'ultimo baluardo della grande industria pubblica (oltre 70 mila dipendenti di cui 40 mila in Italia) che rischia di sgretolarsi, mentre la Fiat di Sergio Marchionne è sempre più una multinazionale di Detroit. E l'Italia sempre più terra di conquista anche nei settori strategici. Questo è il nostro vero inarrestabile declino industriale. Perché checché se ne pensi senza le grandi conglomerate, ricerca e innovazione sono parole vuote.

Si aspetta, entro i primi di novembre, il nuovo business plan, perché la Finmeccanica di Giuseppe Orsi, manager sessantaseienne, ciellino più che leghista, piacentino di nascita ma varesotto di adozione, non ha ancora disegnato il suo nuovo profilo.
Orsi, ingegnere con un brillante passato alla Agusta Westland, costretto a una diarchia (l'uno è amministratore delegato, l'altro presidente con deleghe) con Pier Francesco Guarguaglini (74 anni, dal 2002 al vertice del gruppo) imposta dalle divisioni nel governo (Letta contro Tremonti e viceversa) naviga a vista.

Certo, Finmeccanica ha sempre fatto i conti con l'invadenza dei partiti. Lottizzazione, si chiamava. E vendere armamenti nel mondo, oltreché aerei civili o elicotteri, non è si sa come essere invitati a un pranzo di gala. Ma quella che hanno finora raccontato le cronache dell'ultimo anno è un'altra storia. Non è storia di boiardi di Stato con le proprie corti dei tempi andati e con i relativi padrinaggi. No, è storia di faccendieri di basso rango che hanno usato (o provato a usare) Finmeccanica (per il 32% in mano al Tesoro) per le proprie scorribande, complici una volgare politica accomodante e un appeasement interessato di alcuni settori aziendali.

Lorenzo Cola, Gennaro Mokbel, Valter Lavitola, Gianpi Tarantino e i tanti altri accoliti al maschile e al femminile, da una parte. Ma anche Silvio Berlusconi, dall'altra. Affari intrecciati, privati, e va da sé per nulla trasparenti. Incarichi e consulenze inspiegabili. «Riflesso di una politica secondo il segretario nazionale della FimCisl Marco Bentivogli che non vede le aziende come una risorsa ma come una mangiatoia dove inserire personaggi con tripli o quadrupli incarichi ma senza alcuna utilità».

Le inchieste della magistratura hanno coinvolto direttamente il vertice di Piazza Monte Grappa: il presidente Guarguaglini è indagato per soprafatturazioni. La moglie Marina Grossi, amministratore delegato di Selex Sistemi Integrati, è indagata per corruzione nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti Enav. Respingono le accuse e non intendono lasciare il loro posto. Il direttore commerciale Paolo Pozzessere, il cui nome è uscito fuori in alcune intercettazioni in un'inchiesta napoletana, invece si è dimesso. Sta emergendo una Finmeccanica terra di conquista e di presunti scambi illegali.

Così sentire Giuseppe Orsi che, nella sua audizione davanti ai senatori della Commissione Lavoro, parla di «enfasi eccessiva» da parte dei mass media sulle inchieste della magistratura dà il senso dello smarrimento in cui si trova il più grande gruppo manifatturiero italiano. Ma anche come la «squadra coesa e affiatata» di cui ha parlato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, riferendosi alla diarchia al vertice, rappresenti soprattutto una Finmeccanica prigioniera dei compromessi. Immobile. Come non si può stare, però, nel mondo globalizzato. Tanto più che Finmeccanica svolge (al pari dell'Eni di Paolo Scaroni) un'azione diplomatica sullo scacchiere internazionale. La politica estera è anche politica industriale. Quando c'è.

Per una parte le difficoltà industriali di Finmeccanica dipendono proprio dal governo. Dai tagli alle spese per la Difesa (comuni in tutto il mondo, finanche nei paesi che non hanno smesso di crescere come quelli del gruppo dei Bric), ma pure dall'assenza di decisioni di politica industriale che questo governo in particolare ha deliberatamente eliminato dalla sua agenda economica già scarna. E ha ragione Bentivogli quando dice che per Finmeccanica, ma pure per molte altre aziende «la politica italiana non è stata una grande risorsa: ha cavalcato, e cavalca, le vertenze quando è all'opposizione, letteralmente scompare quando è al governo».

Così, per esempio, sono dieci anni che non vengono bandite le gare per i treni regionali. Il risultato lo conoscono soprattutto i pendolari. E il risultato incide pure su Ansaldo Breda, il grande malato del gruppo, che solo nel periodo che va dal 2004 al 2010 ha perso qualcosa come 800 milioni di euro. Ansaldo Breda è il primo pezzo in vendita: è un pozzo senza fondo con alti tassi di improduttività (in particolare nello stabilimento di Pistoia), eredità del logoro modello delle partecipazioni statali, e non è strategica. Eppure nel resto del mondo l'industria ferroviaria non è in profonda crisi.

Qui al di là delle colpe del management precedente (l'amministratore delegato è stato da poco cambiato) è il governo il grande assente. Senza commesse Ansaldo continuerà a perdere e la holding non è più in condizioni di ripianare. Il fatto che il segmento di nicchia delle metropolitane vada bene è una conferma di questa carenza. «Non abbiamo le risorse per salvare Breda», ripete Orsi. E ancora: «Trovare un Colaninno che si fa dare i soldi dalle banche ma poi dopo qualche anno l'attività non funziona non è la soluzione». Esempio non casuale perché il caso più chiaro della non politica industriale del governo è stato proprio all'inizio di questa legislatura il salvataggio dell'"italianità" della fallita compagnia di bandiera. Operazione irripetibile, per fortuna.

Per Ansaldo Breda, che per attrarre i compratori verrebbe prima avviata verso il risanamento e poi ceduta insieme a Ansaldo Sts, impresa gioiello nel segnalamento ferroviario, ci sono già i possibili acquirenti: gli americani della General Electric, i canadesi di Bombardier, i francesi di Alstom, partecipata dalle ferrovie statali transalpine, e alleati con i treni privati di Ntv di Luca di Montezemolo e soci.

Tutto questo vuol dire che l'Italia sarà presto sostanzialmente fuori dall'industria ferroviaria e a poco può servire la richiesta dei sindacati di un piano nazionale dei trasporti come invece hanno predisposto la Francia di Nicolas Sarkozy, la Germania di Angela Merkel e gli stessi Stati Uniti di Barack Obama. Stiamo rinunciando a una presenza industriale in un settore strategico. Punto. Gli effetti occupazionali si vedranno subito, quelli sull'impoverimento del nostro tessuto produttivo, più in là, tra qualche anno. Ci leccheremo le ferite.

Da un po' di tempo Giuseppe Orsi sta molto a Roma. Non aveva cominciato così il mandato il 4 maggio scorso. Preferiva coltivare i suoi rapporti nel mondo. A Roma, adesso, incontra i ministri, i politici, i leader sindacali. Prova a costruire la sua rete. Che, finora, si è dimostrata piuttosto vulnerabile. Guardiamo il caso Alenia. L'aeronautica civile è l'altro settore in sofferenza. L'amministratore delegato Giuseppe Giordo insieme al presidente Amedeo Caporaletti hanno fuso Alenia e Aermacchi e presentato un piano di ristrutturazione con 1.118 esuberi che saranno gestiti con un periodo di sostegno al reddito, tra cassa integrazione e mobilità lunga, fino a nove anni, un record per la storia nazionale degli ammortizzatori sociali.

E poi chiusura di impianti e uffici (Casoria, Venezia e Roma), trasferimento della sede legale (da Casoria a Venegono, in provincia di Varese) ma anche di produzioni e addetti. La nuova sede legale ha scatenato la polemica politica: vince la Lega e il sud viene penalizzato. A Roma c'è stata una sorta di rivolta istituzionale contro un piano che prevede la chiusura di due uffici e il trasferimento di circa 120 persone tutte di staff. Poi se si legge bene il piano, si scopre che l'incertezza maggiore riguarda il sito di Venezia dove non si sa ancora con precisione che fine faranno i circa 40 addetti.

«A conferma sostiene Bentivogli che la Lega si accontenta, come nel caso dei ministeri, delle insegne di cartone, ma non è in grado di difendere l'industria nel suo territorio». Ma è in generale il ruolo di Alenia sullo scenario mondiale a non essere chiaro e sarebbe ancora peggio se l'Atr non continuasse a essere un successo. Quali sono le alleanze? Può essere sufficiente quella con i russi di Sukhoi per la costruzione del Superjet? Alenia può limitarsi a essere solo fornitore di Boeing e Airbus?

Finmeccanica si è proposta come l'alternativa al marchionnismo. Ha respinto al mittente il tentativo, che pure c'è stato, di far uscire le aziende pubbliche dalla Confindustria considerata ormai antigovernativa. Mantiene rapporti costanti con la Cgil di Susanna Camusso. Eppure appare un gigante immobile, claudicante. Perché senza nuove risorse pubbliche e progetti globali, i 2 miliardi di liquidità, i 2,5 miliardi di linee di credito, i 16 mila e passa ingegneri sparsi nel mondo e gli ordini ancora buoni, per quanto in discesa, potrebbero non bastare più. Finmeccanica vittima di una "visione corta", di una diarchia inutile e di troppi affari privati.

 

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