FISCO ALLE ORECCHIE PER LE MULTINAZIONALI – NEL 2023 DOVEVA ENTRARE IN VIGORE LA GLOBAL MINIMUM TAX, LA NUOVA IMPOSTA MINIMA DEL 15% APPLICABILE A TUTTE LE MULTINAZIONALI CON UN FATTURATO ANNUO DI ALMENO 750 MILIONI DI DOLLARI – L'ACCORDO, CHE METTE NEL MIRINO I COLOSSI PARACULI CHE STABILISCONO LA SEDE LEGALE NEI “PARADISI FISCALI”, ERA STATO FIRMATO DA 139 PAESI MA APPENA 45 DI LORO L'HANNO APPLICATO. E ANCHE GLI STATI UNITI, CHE HANNO LANCIATO LA PROPOSTA, PER ORA LATITANO – LA VIDEO-INCHIESTA DI MI-JENA GABANELLI
Estratto dell’articolo di Domenico Affinito e Milena Gabanelli per www.corriere.it
milena gabanelli - global minimum tax
La Corte Europea il 10 settembre ha condannato Apple per evasione fiscale. L’azienda di Cupertino, la cui sede europea è in Irlanda, tra il 2003 e il 2014 non ha pagato 13 miliardi di euro di tasse grazie a uno speciale accordo fiscale col Paese. A ottobre 2021, per frenare le mosse di elusione delle tasse da parte delle multinazionali, su iniziativa dell’Ocse, dell’amministrazione Biden e della Ue, 139 Paesi (a cui se ne sono aggiunti poi altri otto) hanno firmato un accordo che prevede un meccanismo più stringente, al fine di costringere queste società a versare almeno una quota minima a partire dal 2023. Vediamo di cosa si tratta e cosa è successo da allora in poi.
Perché le multinazionali pagano poco
Il gioco per pagare meno tasse si chiama «Base Erosion and Profit Shifting» e consiste nello spostare i profitti in Paesi a tassazione ridotta o nulla. Si tratta, per lo più, di azioni legali e, proprio per questo, difficili da contrastare.
Basta, ad esempio, stabilire la sede fiscale dove le tasse sono più basse, oppure fatturare in un Paese estero con fiscalità agevolata o ancora utilizzare il «transfer pricing», le transazioni economiche (spesso fittizie) all’interno di un gruppo multinazionale (come prestiti, cessione di marchi o brevetti, servizi assicurativi), il tutto gestito da una controllata che ha sede in un paradiso fiscale.
I più gettonati fino ad oggi sono Porto Rico, Panama, Andorra, Lichtenstein, Svizzera, Monaco, Bahrein, Seychelles, Mauritius, i Territori d’Oltremare del Regno Unito e i centri offshore asiatici (Hong Kong, Singapore, Macao). E poi ci sono i nemici casalinghi, quelli nel cuore dell’Europa come Irlanda, Lussemburgo, Cipro, Paesi Bassi, Belgio, Ungheria, Bulgaria.
Colossi dell’economia mondiale come Apple, Pfizer, Microsoft, General Electric, Ibm, Johnson & Johnson, Cisco System, Google, Nestlè, Stellantis, Volkswagen che nel 2022, secondo i calcoli dell’Osservatorio Ue sulle tasse, hanno realizzato utili mondiali per 16.000 miliardi di dollari di cui 2.800 al di fuori del Paese dove ha sede la multinazionale […]
Di questi 2.800 miliardi il 35%, circa 1.000 miliardi, sono stati spostati verso i paradisi fiscali. Con questi meccanismi, secondo i calcoli dell’Osservatorio Ue sulle Tasse, dal 2015 al 2020 in Italia per esempio le multinazionali hanno evitato di pagare tasse per quasi 37 miliardi di euro.
I due «pilastri» della global minimum tax
Il sistema di contrasto elaborato nel 2021 prevede due misure: 1) una nuova imposta minima del 15% applicabile a tutte le multinazionali con un fatturato annuo di almeno 750 milioni di dollari in tutti i Paesi che hanno firmato l’accordo (definito «Pillar two»);
2) un meccanismo di ripartizione degli utili verso i Paesi dove le multinazionali vendono i loro servizi: le aziende con fatturati superiori ai 20 miliardi di euro dovranno ridistribuire una quota dell’utile eccedente il 10% nei Paesi dove effettivamente hanno venduto i lori beni e servizi, e dove sarà tassato dal fisco locale. Questo secondo principio coinvolge soprattutto le big tech […]
Cosa succede oggi
milena gabanelli - global minimum tax
Facciamo alcuni esempi concreti. In Italia la principale tassa per le aziende è l’Ires che ha un’aliquota del 24%, ma non è dovuta se si hanno risultati negativi. Fca Italy nel 2022 ha fatturato nel nostro Paese 24 miliardi di euro, con un passivo di 375 milioni e pertanto non ha pagato alcuna Ires (ed è così dal 2019). Gli utili, lo stesso anno, li ha fatti invece la capofila Stellantis: 23,3 miliardi su 179,6 di ricavi, che ha però sede in Olanda dove le tasse per le società, grazie a meccanismi di sgravi e detrazioni, scendono fino al 2,5%.
Nel 2023 Google ha registrato un fatturato globale 307,4 miliardi di dollari di cui quasi la metà negli Stati Uniti: 146,29 miliardi. Gli utili sono stati di 85,72 miliardi e le tasse di 11,92 miliardi. Con la global minimum tax il colosso di Montain View avrebbe pagato almeno 12,86 miliardi.
A che punto siamo
Come abbiamo detto doveva entrare tutto in vigore nel 2023 e secondo l'Ocse avrebbe generato un gettito fiscale aggiuntivo di 220 miliardi di dollari a livello mondiale. A condizione che il meccanismo fosse applicato da tutti i Paesi coinvolti. Non è andata così.
Per l’anno fiscale 2024, scrive l’Ocse, solo 45 Paesi hanno adottato misure per implementare l'Imposta minima globale sugli utili delle grandi imprese multinazionali. Ci sono Norvegia, Australia, Corea del Sud, Giappone, Canada, Bermuda. C’è il Regno Unito che però non potrà imporre nulla ai suoi territori d’oltremare (come Isole Vergini, Cayman, etc) che fiscalmente sono autonomi.
Per l’Unione Europea la commissione ha diramato una direttiva nel 2022 (la 2523) che obbligava l’adozione delle nuove misure nel 2024: 19 Stati l’hanno fatto (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia), quattro hanno avuto il via libera a differirla nel 2030 perché hanno meno di 12 multinazionali presenti (Estonia, Lettonia, Lituania, Malta) e ad altri quattro è stata inviata una lettera formale di messa in mora: Cipro, Portogallo, Polonia e Spagna, anche se queste ultime due hanno pubblicato una bozza di legge per il recepimento dal 2025.
Grandi assenti invece la Cina, che ha firmato l’accordo, e soprattutto gli Stati Uniti che sono stati tra gli ispiratori della misura.
Il Grande Assente: gli Stati Uniti
Grazie alla riforma Trump, dal 2018 le più grandi aziende americane hanno pagato meno tasse. L’Institute on taxation and economic policy (Itep) ha pubblicato a maggio un report secondo il quale, in seguito alle modifiche fiscali del Presidente Trump, 296 grandi aziende americane tra il 2018 e il 2021 hanno «risparmiato» oltre 250 miliardi di dollari di tasse e la loro aliquote fiscali effettiva è scesa da una media del 22% al 12,8%.
Le grandi società che avevano pagato aliquote fiscali inferiori al 10% erano aumentate da 56 a 95. Alcuni esempi: Verizon ha registrato un calo delle tasse di 10,7 miliardi, Walmart e AT&T entrambi di 9 miliardi, Meta di 8 e Intel di 7,7 miliardi.
Fin dalla sua elezione Biden aveva chiesto agli americani più ricchi e alle grandi aziende di pagare la giusta quota, annunciando una riforma.
Già da quest’anno l’aliquota sui redditi dei cittadini superiori a 400 mila dollari torna al 39,6% (Trump l’aveva abbassata al 35%) e la tassazione sui redditi di impresa generati negli Stati Unti è stata portata al 28% (Trump l’aveva tagliata al 21%), ma il vero tema sono le deduzioni che permettono alle grandi aziende di abbassare la loro quota di tasse sotto il 13%. Biden aveva promesso di introdurre la global minimum tax al 15%, come previsto dall’accordo Ocse, ma per farlo ha bisogno del voto del Senato, che controlla, e della Camera dei rappresentanti, in mano ai repubblicani che invece sono contrari. Quindi addio global minimum tax e addio redistribuzione degli utili (una parte consistente delle grandi multinazionali ha sede proprio negli Usa). Almeno per il momento. Deciderà il prossimo presidente.
Biden aveva promesso di introdurre la global minimum tax al 15%, come previsto dall’accordo Ocse, ma per farlo ha bisogno del voto del Senato, che controlla, e della Camera dei rappresentanti, in mano ai repubblicani che sono contrari.
In Italia cambierà poco
In Italia l’introduzione della global minimum tax da quest’anno ha cancellato la digital tax. L’allora ministro dell’Economia, Daniele Franco, aveva spiegato che la sostituzione tra la vecchia e la nuova imposta non avrebbe impattato sul gettito fiscale annuo delle big tech, circa 250 milioni di euro.
Bisognerà capire, invece, cosa succederà con le multinazionali italiane e straniere degli altri settori (Finmeccanica, Pirelli, Generali, Unicredit, Stellantis, Bmw, Wolkswagen, Toyota etc) che, adottando strategie di «tax planning» finora legittime, dichiarano almeno una parte dei profitti all’estero. Secondo le stime dell’Osservatorio Ue sulle tasse per l’Italia si parla di un extragettito di oltre 6 miliardi di euro all’anno.
Dati puntuali sono contenuti nel report di Mediobanca, ma riguardano solo le software e webcompanies. Dentro ci sono Adobe, Google, Amazon, Booking, Microsoft, Meta, ma non Apple. Sono 26 aziende in totale che, nel 2022, hanno fatturato nel nostro Paese 9,3 miliardi di euro e hanno pagato tasse per 162 milioni, con un’aliquota del 28,3% rispetto agli utili dichiarati. Ma il tema è quello di individuare i profitti effettivi e non quelli dichiarati.
Osservatorio tasse Ue: non è abbastanza
GLOBAL MINIMUM TAX - ALIQUOTA DEL 15%
Anche quando il sistema andasse a regime, secondo l’Osservatorio Ue sulle tasse «Non c'è una ragione chiara per cui le multinazionali debbano pagare meno delle aziende nazionali di medie o piccole dimensioni», scrive nel rapporto 2024. L’Osservatorio suggerisce due misure: riformare l'accordo internazionale sulla tassazione minima delle imprese per applicare un'aliquota del 25%, eliminando le scappatoie che favoriscono la concorrenza fiscale, e introdurre una tassa minima globale per i miliardari pari al 2% della loro ricchezza.
E fa i calcoli: nel mondo ci sono 2.756 persone che hanno un patrimonio personale miliardario che, sommato, vale 12.916 di dollari. Oggi, per quel patrimonio, tutti assieme pagano 44 miliardi di dollari di tasse: appena lo 0,34%. Con un’aliquota del 2% ne pagherebbero 258.
Per avere un’idea: un anno di tasse dei miliardari mondiali al 2% vale come dodici anni di aiuti europei per lo sviluppo dell’Africa. Intanto accontentiamoci almeno del fatto che in Olanda, Irlanda e Lussemburgo si paghi «almeno» il 15% e non più lo zero virgola, come è stato fino a qualche mese fa.