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FUMO DI INTESA - A LEGGERE I GIORNALI DI OGGI SEMBREREBBE UNA GRANDE VITTORIA DI INTESA SANPAOLO E DELL’AD CARLO MESSINA. IL TITOLO PIÙ RICORRENTE È "INTESA BOCCIA L'IPOTESI GENERALI", COME SE L'IDEA DI GUARDARE AL GRUPPO ASSICURATIVO TRIESTINO FOSSE STATA DI QUALCUN ALTRO CHE HA COSTRETTO LA POVERA INTESA A CONSIDERARE LA CONQUISTA DEL LEONE. INVECE QUELL'IDEA È NATA NELLA TESTA DI MESSINA. NULLA DI MALE, PUÒ SUCCEDERE ANCHE ALLA PRIMA BANCA ITALIANA DI INCAPPARE IN UNA FIGURA DI MERDA
DAGOREPORT
A leggere i giornali di oggi sembrerebbe una grande vittoria di Intesa Sanpaolo e dell’Ad Carlo Messina. Il titolo più ricorrente è "Intesa boccia l'ipotesi Generali", come se l'idea di guardare al gruppo assicurativo triestino fosse stata di qualcun altro che ha costretto la povera Intesa a considerare la conquista del Leone.
Invece quell'idea è nata in Intesa ed è stata la stessa Intesa che, dopo averla considerata, ha deciso di non perseguirla. Nulla di male, può succedere anche alla prima banca italiana di incappare in una figura di merda, con coté di andamento anomalo dei titoli delle due società sul mercato nelle ultime cinque settimane in preda ai rumors.
La verità è che una banca seria come Intesa e un amministratore delegato capace come Messina ha fatto quello che doveva fare: andare dei propri investitori in giro per il mondo e capire se c'era consenso su questa operazione (intervallato da una settimana a sciare, il che aveva fatto capire già sul raffreddamento rispetto all'idea della grande scalata).
Il consenso dei grandi fondi americani non c'è stato, anche perché i numeri non giravano, per non parlare di problematiche regolatorie molto difficili da superare. Inoltre l'acquisizione di Generali da parte di Intesa avrebbe portato a uno spezzatino della compagnia triestina con il triste paradosso di indebolirla per prenderne il possesso.
Le cronache hanno ammantato la non-operazione come uno slancio patriottico di Intesa Sanpaolo per proteggere l'italianità delle Generali. Come se una grande istituzione finanziaria controllata per oltre i due terzi da investitori internazionali può permettersi il lusso di sostituire i profitti con approcci risorgimentali.
I commenti di molti quotidiani all'indomani della resa della banca torinese, hanno raggiunto picchi esilaranti nello spiegare che alla fine la banca di Bazoli-Guzzetti ha rinunciato quando ha capito che, per il solo fatto di aver annunciato l'intenzione di difendere le Generali, ha scoraggiato le cattive Axa e Allianz da qualunque mira su Trieste.
A sostegno di questa tesi degna di una raccolta di fiabe, sarebbero state portate le dichiarazioni del CEO tedesco di Axa, Buberl, che il giorno prima ha dichiarato che non esiste alcuna ipotesi generali a Parigi. Peccato che Buberl lo avesse fatto già altre quattro volte negli ultimi sei mesi, e il suo predecessore de Castries almeno una decina in altrettanti anni.
Stessa versione è stata fornita dalle Generali a più riprese, anche dall'attuale amministratore delegato Donnet. Peraltro, per quanto il mercato sia anche il posto di raider e scorribande, esiste un minimo di regole: quando il capo di un'azienda quotata in borsa dichiara ripetutamente più volte qualcosa in modo ufficiale, è difficile che poi possa allegramente fare un voltafaccia, e dire a tutti: abbiamo scherzato.
Ancora più iperbolico è stato lil voltafaccia dei giornaloni nel considerare il ruolo di Unicredit. Prima dell'aumento di capitale e quando la banca milanese era in difficoltà, il suo ad Mustier era anch'egli visto, in quanto francese, parte di quell'asse del male (appunto Mustier Bollore Donnet ) dedito a far calare i lanzichenecchi sul patrio suolo.
philippe donnet gabriele galateri di genola
All'improvviso, tutto d'un tratto, leggendo i giornali di oggi ci si rende conto che invece Mustier è diventato il paladino dell'italianità delle Generali, più credibile di un Garibaldi o di un Cavour, con tanto di onori ricevuti a Palazzo Chigi. Insomma, retromarcia compagni!, ora che Mustier ha fatto l'aumento di capitale ed è ritornato forte, si può considerare, ça va sans dire, un amico.
Aldilà delle ricostruzioni di parte, la verità è che Intesa ha studiato un'operazione stramba, l'ha fatto escludendo fin dall'inizio le persone che all'interno della banca erano più esperte sul tema, l'ha voluta dipingere come un gesto patriottico, ma alla fine ne è uscito un bel pasticcio. La vicenda potrebbe anche non intaccare la reputazione di Messina, a patto che chiusa la stagione delle suggestioni, si riapra quella dei piani e delle strategie.
philippe donnet gabriele galateri di genola alberto minali
Per quanto riguarda Generali, il logico epilogo di una non scalata da parte di Intesa è un fatto positivo perché dal punto di vista industriale l'operazione avrebbe comportato molti rischi non solo per gli azionisti della banca, ma anche per la compagnia assicurativa, che è uno dei pochi gruppi internazionali che esistono in Italia.
Il problema però è che Generali e meno gigante dei suoi competitors, e se c'è una cosa che la vicenda intesa ha dimostrato, e che oramai le porte sono state aperte. Prima del tentativo di Messina, infatti, nessuno aveva mai osato tanto nei confronti delle Generali.
Adesso invece, ritirate le truppe garibaldino-piemontesi, la strada è rimasta aperta per altri che abbiano le idee e i soldi. Le Generali e i suoi azionisti, Intesa o non Intesa, difficilmente potranno restare nello status quo se le dimensioni non cresceranno in modo significativo al più presto.