LA GERMANIA PAGA ANNI DI MANCATI INVESTIMENTI E AUSTERITÀ: L’ECONOMIA TEDESCA QUEST’ANNO SARÀ IN RECESSIONE. IL PIL SI CONTRARRÀ DELLO 0,1% NEL 2024, POI CRESCERÀ MA DI POCO NEL 2025 (+0,8%) – È IL RISULTATO DELL’ERA MERKELIANA: SI CHIEDEVANO SACRIFICI E RISPETTO DELLE REGOLE AGLI ALTRI, MENTRE IN CASA SI PREFERIVA UN APPROCCIO CONSERVATIVO E MIOPE. ORA L’INDUSTRIA È AL PALO, E LE BANCHE TEUTONICHE SCIVOLANO IN FONDO A TUTTE LE CLASSIFICHE PER VALORE DI MERCATO
ISTITUTI TEDESCHI VEDONO RECESSIONE, PIL -0,1% NEL 2024
(ANSA) - Gli istituti economici tedeschi vedono l'economia della Germania in recessione per quest'anno. Hanno rivisto al ribasso le stime di crescita della Germania, segnalando una contrazione del Pil dello 0,1% per l'anno in corso e una lieve crescita dello 0,8% per il 2025; per il 2026 la crescita attesa è dell'1,3%. Nelle stime di primavera gli istituti avevano previsto una mini-crescita dello 0,1% per il 2024 e un +1,4% per il 2025.
GERMANIA (ED EUROPA) CON IL MAL DI BANCA
Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
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La zona euro è la terza economia al mondo e la Germania, da sola, la quarta. Però se si guarda alle banche non si direbbe. Non compaiono istituti europei fra i primi dieci al mondo per valore di mercato, in una classifica che vede quattro banche americane, quattro cinesi, una canadese e un’indiana. […]
Era inevitabile: in quella che l’economista Angel Ubide definisce l’alternativa tra efficienza e controllo — fra l’avere banche e aziende più grandi, più produttive, più capaci e propense all’innovazione, oppure il mantenere feudi nazionali più limitati ma autonomi — i governi europei hanno scelto da tempo il secondo.
Preferiscono il controllo, o la sua illusione. Secondo il rapporto presentato da Mario Draghi «la frammentazione del sistema bancario lungo linee nazionali» fa sì che gli istituti fatichino a finanziare investimenti importanti, specie nelle tecnologie sulle quali l’Europa è già indietro rispetto a Stati Uniti, Cina, Corea del Sud, Giappone, Taiwan e persino rispetto ad Abu Dhabi.
Tutti hanno applaudito Draghi, anche il governo tedesco: poi ha alzato barriere contro Unicredit su Commerzbank. Se però poi si restringe la classifica alle prime dieci banche dell’area dell’euro, la più grande della Germania è in ultima posizione: e non si tratta di Commerzbank, ma di Deutsche Bank.
La quale non solo vale la metà o meno di Intesa Sanpaolo, Unicredit, del Banco Santander o di Bnp Paribas. Vale la metà anche di Sberbank. Riflettiamoci. La prima banca della Germania, l’economia leader d’Europa, doppia rispetto a quella della Russia, vale la metà della prima banca russa. […]
[…] il mercato non ha sempre ragione […], ma qualcosa starà pur cercando di dirci. Ci dice che esiste una questione tedesca all’interno di una più generale questione europea.
passaggio di consegne tra angela merkel e olaf scholz
[…] mentre l’Italia, la Spagna o l’Irlanda dopo la crisi finanziaria hanno ristrutturato i loro sistemi bancari — volenti o nolenti — la Germania non è mai stata spinta a farlo dalle autorità europee.
Il risultato è che la seconda banca, Commerzbank, è nelle cure della mano pubblica nientemeno che da sedici anni (indisturbata dai regolatori) mentre la prima banca, Deutsche, è così debole che non può correrle in soccorso da mire «straniere».
Una lezione è che non conviene a nessuno in Europa considerarsi al di sopra delle regole. E certo l’Italia oggi sarebbe più credibile nel chiedere che si lasci funzionare l’Unione bancaria nell’area euro, se a Roma si fosse ratificato il Meccanismo europeo di stabilità con la sua rete di sicurezza per l’industria del credito.
Ma i problemi della Germania […] vanno oltre le banche. Da due anni il Paese non cresce e sembra di nuovo in recessione. L’export verso la Cina, che per il «made in Germany» valeva quasi cento miliardi di dollari, nell’ultimo anno è crollato del 12,4%. Non solo Volkswagen valuta l’ipotesi di chiudere impianti in Germania: Mercedes sta vendendo la sua controllata cinese nel settore delle auto elettriche e ibride perché non riesce a competere con le concorrenti locali, proprio ora che Shanghai è diventata una metropoli pulita e silenziosissima grazie a un parco auto quasi tutto a batteria.
La comprensibile reazione a questa crisi è l’arrocco tedesco di sistema, in forme più o meno esplicite. Fra queste ultime c’è la levata di scudi del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz e del suo probabile successore, il cristiano-democratico Friedrich Merz, contro le mosse di Unicredit.
Un arrocco più sottile, ma insidioso, è invece quello che sta tentando da Bruxelles Ursula von der Leyen. La presidente tedesca della Commissione ha incaricato la sua vice, Teresa Ribera, di rivedere le regole contro gli aiuti di Stato nell’area della transizione verde «costruendo sull’esperienza» della loro sospensione dopo la pandemia.
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In sostanza, vuole lasciare che ogni governo sussidi la propria industria con i propri mezzi. Ma dopo il Covid la Germania versò alle proprie imprese quasi più aiuti di tutto il resto dell’area euro messa insieme: anche qui, il contrario degli investimenti comuni europei suggeriti da Draghi. Tra l’altro per Berlino non è affatto detto che gettare miliardi dei contribuenti tedeschi ai problemi funzioni […]
Quel che deve cambiare è l’approccio, in senso europeo. Esiste una Germania delle imprese e delle élite politiche e culturali che lo sa meglio di chiunque. Ancora ieri (martedì, ndR) il quotidiano economico Handelsblatt faceva i complimenti ai manager di Unicredit e dimostrava di capire il senso di questa partita. La vocazione europea di questa Germania migliore ha già portato il Paese fuori da crisi peggiori di questa: va aiutata, anche dall’Italia, non lasciata da sola.
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