“IL DESTINO DELL'AUTO NON È SOLO ELETTRICO, A MENO CHE NON SI VOGLIA FARE UN REGALO ALLA CINA” - IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, GIORGETTI, CONTRO LO STOP DELL’UE ALLA VENDITA DI AUTO A BENZINA E METANO ENTRO IL 2035: “LA TRANSIZIONE AMBIENTALE DEVE TENER CONTO ANCHE DELLE RICADUTE SOCIALI ED ECONOMICHE SU TUTTE LE FILIERE ALTRIMENTI IL FUTURO È L'EUTANASIA DELLA NOSTRA INDUSTRIA” - A BRUXELLES FINGONO DI DIMENTICARE CHE L'80 PER CENTO DI TUTTO QUELLO CHE STA DIETRO A UN’AUTO ELETTRICA È CINESE, DALLE MATERIE PRIME PER REALIZZARE LE BATTERIE ALLA ALLE TECNOLOGIE, FINO AI COMPONENTI INDUSTRIALI…
1 - GIORGETTI: UN GRAVE ERRORE PUNTARE SOLO SULL’ELETTRICO
Umberto Mancini per “il Messaggero”
GIANCARLO GIORGETTI AL FESTIVAL DELL ECONOMIA DI TRENTO
«Il voto europeo sull'auto elettrica? Una grande delusione, una scelta ideologica. Perché il destino dell'auto non è solo elettrico, a meno che non si voglia fare un regalo alla Cina che su questo fronte è davanti a tutti». Le parole del ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti, dopo lo stop del Parlamento europeo alle auto a benzina e metano entro il 2035, sono chiare. Del resto da mesi il ministro è preoccupato, ben consapevole che sono a rischio non solo migliaia di posti di lavoro, ma anche una filiera industriale che è la spina dorsale del Paese e, fatto ancora più rilevante, una sovranità tecnologica decisiva nella sfida internazionale.
POSTI DI LAVORO A RISCHIO CON IL DIVIETO DI VENDITA DELLE AUTO A BENZINA E DIESEL
Il ministro però in fondo se l'aspettava. «Il voto è una delusione - dice al Messaggero - e non lo nascondo anche se l'esito era abbastanza scontato. E' stata una decisione ideologica e ho sperato fino all'ultimo che prevalesse, in certi deputati di area di centrosinistra, la preoccupazione per le ricadute negative sull'occupazione. Così non è stato, purtroppo, l'inversione di tendenza che avevo auspicato non c'è stata. E' mancata la consapevolezza del momento che stiamo vivendo.
Di fronte alla sacrosanta e legittima ricerca di un mondo ambientalmente compatibile non sono state prese in considerazione le richieste per percorsi più lenti che ci consentissero di affrontare meglio questo delicato passaggio verso il green che la guerra in Ucraina sta inasprendo ancora di più».
Come uscirne? «La mia posizione storica - sottolinea ancora il ministro della Lega - è per la neutralità tecnologica. Credo che la giusta visione della decarbonizzazione vada calata nella nostra realtà. La transizione ambientale deve tener conto anche delle ricadute sociali ed economiche su tutte le filiere altrimenti il futuro è l'eutanasia della nostra industria. Non si può restare sordi di fronte alle voci di imprenditori e lavoratori e alle loro legittime preoccupazioni.
e-Niro di Kia la piu affidabille
Non facciamole diventare grida di disperazione. L'impostazione europea vuole imporre ritmi e ideologie che impattano negativamente su alcuni paesi come l'Italia, la Germania e la Francia. Dobbiamo pensare - aggiunge il ministro - a strumenti che possano fare da contraccolpo a questo ennesimo shock che penalizza la nostra industria ed economia».
Giorgetti ovviamente non si arrende e rilancia.
«Abbiamo strumenti validi per dare una risposta alle conseguenze negative sulla nostra industria dell'automotive. Ci sono le misure del Pnrr, lo sviluppo del mondo delle batterie, l'industria 4.0. Voglio anche sottolineare che come Mise abbiamo sottoposto da tempo le nostre proposte per la riconversione industriale dell'automotive agli altri ministri.
giancarlo giorgetti foto mezzelani gmt 057
Mi riferisco al pacchetto di misure che completano quelle già varate per gli incentivi per l'acquisto di nuove auto non inquinanti. Abbiamo individuato due strumenti: contratti di sviluppo in una percentuale maggiore e accordi di innovazione per gli incentivi volti al sostegno agli investimenti per insediamento, riconversione, riqualificazione verso forme produttive innovative e sostenibili delle imprese del settore automotive. Detto questo voglio anche sottolineare che gli incentivi non bastano».
Servono, aggiunge, anche «il coraggio, la determinazione l'intraprendenza degli imprenditori. Spero che a breve potremo parlare anche di progetti italiani importanti pronti a essere realizzati».
Insomma, non c'è nessuna intenzione di mollare la presa. «Incontro con continuità - conclude il ministro - tutti gli esponenti del settore automotive e ne ascolto le esigenze e le problematiche. Non mi stancherò mai di dirlo: il futuro non è solo elettrico. L'ho detto più volte, io scommetto sull'idrogeno e magari con il tempo verranno sviluppate anche altre tecnologie.
FABBISOGNO DI POSTI DI LAVORO A PARITA DI MOTORI PRODOTTI
Bisogna fare attenzione a puntare tutto sull'elettrico: è una visione ideologica, miope che ignora la realtà industriale dell'Italia. Se accadesse davvero questo vorrebbe dire consegnare a alcuni paesi asiatici anche il settore dell'automotive, perdendo autonomia produttiva e vedremmo quello che stiamo purtroppo vivendo con il gas avendo scelto, tempo fa come Italia, di affidarci agli approvvigionamenti dalla Russia secondo una logica finanziaria e non politicamente strategica, al servizio del Paese. Ecco dovremmo tutti fermarci e riflettere su questo».
L'Europa sembra andare in direzione opposta, anche se poi spetterà ai singoli Stati articolare e modulare le scelte, magari cambiando direzione di marcia. E anche se in molti a Bruxelles fingono di dimenticare che l'80 per cento di tutto quello che sta dietro a un auto elettrica è cinese, dalle materie prime per realizzare le batterie alla alle tecnologie, fino ai componenti industriali.
2 - QUALI RISCHI CORRIAMO?
Giorgio Ursicino per “il Messaggero”
giancarlo giorgetti foto mezzelani gmt 055
Non è quasi cambiato nulla, ma la notizia è diventata ufficiale (si è accesa la luce rossa). Conviene mettersi all'opera perché, prima o poi (forse non nel 2035), il cambiamento arriverà veramente. Prima il clima, poi la tecnologia, infine l'Unione Europea: hanno sentenziato che l'auto zero emission potrebbe essere meglio di quella con il tubo di scarico. Tutti quanti dovremo saltare la barricata viaggiando nel silenzio.
Siamo nella UE e bisogna cercare di muoversi all'unisono, ma è evidente che fra la Germania e la confinante Polonia ci passa qualche generazione, soprattutto come reddito e potere d'acquisto. Quindi sarebbe sensato inserire le scadenze a scaglioni e non accendere la luce in tutto il continente nello stesso momento.
PARCO CIRCOLANTE
E noi? Siamo grandi e grossi, ma su certi parametri stiamo un po' nel mezzo. Fra questi, sicuramente, c'è la mobilità. Ma come, non siamo un popolo di poeti, navigatori e piloti automobilisti? Quanto a passione ed ampiezza del parco circolante non ci sta dietro nessuno, ma ci siamo un po' adagiati. Le italiche 40 milioni di vetture che circolano nella Penisola sono diventate vecchiotte e alcune sono dei veri e propri rottami. Non vengono sostituite per un solo motivo: mancanza di soldi. Quindi il problema è precedente alla transizione energetica ma, seriamente, non è stato mai affrontato.
ursula von der leyen con Frans TIMMERMANS e greta
Un groviglio che ha anche dei risvolti sociali perché, non dimentichiamolo, la mobilità deve essere per tutti. Un diritto irrinunciabile. Veniamo ai punti deboli del nostro Paese che, a meno di un notevole scatto di reni, ci faranno trovare impreparati al D day. Forse sarebbe meglio spostare l'asticella un pochino più in alto. Noi, ma non tutti. Nelle discussioni in sede di Consiglio non c'è nulla di più facile che ottenere una deroga. Esiste già nella detraibilità dell'Iva sulle vetture aziendali, da tempo immemorabile.
Che vuoi che sia. Sicuramente non posticiperanno Germania e Francia seguite da tutto il Nord Europa. Difficile che lo chiedano i nostri politici in prima linea nella lotta alla CO2. Molti Paesi, quello che dovrebbe diventare obbligatorio nel 2035, lo stanno già facendo ora. In Italia, diciamolo chiaramente, le colonnine per rifornirsi sono merce rara e poi abbiamo un'inclinazione per la doppia velocità. Al Nord, arrampicandosi sugli specchi, si può provare a viaggiare in elettrico. Da Roma in giù sarebbe da folli avventurarsi.
Le auto elettriche (ora, non nel 2035) costano molto di più di quelle termiche che i costruttori, però, hanno già smesso di produrre (siamo nel 2022...). Prova ne sia che, nonostante il crollo delle vendite, sono introvabili se non aspettando mesi (per questo c'è la richiesta di estendere a 180 giorni la validità degli ecobonus). Con poche macchine a batteria, nessuno investe sulle colonnine visto che un piano governativo è ancora molto sfocato. Il dilemma è un altro. Noi, oltre ad essere consumatori di auto un po' affannati, abbiamo una tradizione industriale invidiabile e, soprattutto, una componentistica eccellente che spinge il Pil e dà lavoro a tantissime persone.
Chi parla di mettere in difficoltà questo comparto, è evidente che non sa quello che dice. Va blindato, difeso con le unghie e con i denti, rinnovato affinché possa restare all'avanguardia, un asset fortissimo per l'export. Mercoledì il Parlamento europeo ha votato. Fra il testo formulato dalla Commissione e quello proposto dalle destre c'era pochissima differenza: 100% di auto elettriche o 90%. Per la grande industria, che le auto le deve produrre, è la stessa cosa.
Nessuno si metterà mai a lavorare sul 10% del mercato per produrre vetture vecchie di 20 anni che, magari, costeranno di più e saranno irrivendibili. Che affare è? Tutte le Case che operano in Europa, infatti, hanno già annunciato che smetteranno di produrre motori a scoppio nel 2030 prendendosi 5 anni di margine per gestire le rimanenze. Dobbiamo salvare i nostri fornitori che soddisfano i costruttori europei e creare le condizioni per restare competitivi. Il resto lo faranno loro con inventiva, passione e professionalità restando un punto di riferimento.