AVVISO AI NAVIGATI: GLI EURO-FALCHI SPINGONO DRAGHI AD ANNUNCIARE LA FINE DEL QUANTITATIVE EASING GIA’ AL SUMMIT DEL 14 GIUGNO IN LETTONIA - IL CAPO DELLA BUNDESBANK, WEIDMANN, E IL CAPO ECONOMISTA DELLA BCE, PETER PRAET, HANNO DETTO CHE "I TEMPI SONO MATURI" - A FARNE LE SPESE SARÀ L'ITALIA. CHE POTREBBE RICEVERE UN DOPPIO COLPO DALLE CONSEGUENZE IMPREVEDIBILI…
1 - IL PIANO DRAGHI VERSO LO STOP LA BCE ACCELERA L' USCITA
Alessandro Barbera per la Stampa
Se qualcuno a Roma sperava che gli attacchi alla Banca centrale europea e a Mario Draghi avrebbero allungato la vita al piano di acquisti di titoli pubblici ha probabilmente fatto male i conti. L'uscita a sorpresa - mercoledì scorso - del capo economista Peter Praet è il segno che Francoforte è ormai prossima ad annunciare lo stop definitivo. Fino a poche settimane fa era opinione comune - persino alla Bundesbank - che ciò sarebbe avvenuto nell' ultima riunione prima della pausa estiva, a fine luglio. Ora i bookmaker scommettono su un messaggio chiaro già nella riunione di questo giovedì a Riga.
Che ciò sarebbe accaduto era noto da mesi. Nel gergo tecnico dei banchieri centrali si chiama "tapering", ed è la strategia attraverso la quale si esce da una lunga fase di politica monetaria espansiva e di tassi zero. Per evitare di creare scossoni sui mercati la manovra di uscita deve essere lenta e prevedibile, un po' come quelle di attracco di un transatlantico. Partito da ottanta miliardi di acquisti al mese nel 2015, allargato alle obbligazioni private, il piano è sceso prima a sessanta e poi a trenta miliardi di euro.
Dovrebbe scadere il 30 settembre, ma logica vuole ci sia un'ultima proroga (si parla di dieci o quindici miliardi) fino al 31 dicembre. Praet ha giustificato la decisione con l'imminente avvicinamento dell' obiettivo di inflazione al due per cento in tutta l'area della moneta unica. Le cose non stanno così; la verità è che quando iniziano le grandi manovre di uscita, cambiare rotta è molto pericoloso. Sia per le aspettative dei mercati sia per il rischio - a forza di crear moneta - di alimentare bolle speculative.
Del resto il trend rialzista dei tassi è in atto anche negli Stati Uniti: il giorno prima della Bce - mercoledì - la Federal Reserve aumenterà di almeno un quarto di punto il tasso di riferimento all' 1,75 per cento. Se la polemica in Italia - e non solo - sul ruolo della Bce poteva contribuire ad accelerare il processo di uscita dal "quantitative easing", lo ha fatto. Gli analisti di Bank of America ne sono assolutamente convinti: l'accordo mai esplicitato fra la Bce e i governi era «prudenza fiscale in cambio di sostegno monetario».
Chiudere il piano subito dopo l' insediamento del governo giallo-verde significherebbe spiegare ai mercati che Francoforte non è disposta a lasciare che la sua politica monetaria sia «presa in ostaggio». Quale migliore occasione per un'istituzione che ha nel suo dna l'indipendenza dalla politica?
2 - PRESSING SU DRAGHI
Sandro iacometti per “Libero Quotidiano”
Non è detto che Mario Draghi giovedì decida di far calare definitivamente il sipario sulla grande operazione di acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce. L' ex governatore di Bankitalia, che nel 2012 ha fermato l' attacco degli speculatori sui debiti sovrani con un semplice annuncio (il famoso «whatewer it takes», qualunque cosa sarà necessaria), sa bene quale sia il potere delle parole sui mercati. E forse aspetterà fino all' ultimo prima di ufficializzare la data, per ora fissata al prossimo settembre, in cui il bazooka del quantitative easing verrà riposto in soffitta.
C'è chi scommette che la riunione buona della Banca centrale sarà quella del 26 luglio. Certo è che il pressing dei falchi europei per una stretta già nel vertice previsto per la settimana prossima a Riga è altissimo. Nei giorni scorsi sia il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, sia il capo economista della Bce, Peter Praet, hanno detto che i tempi sono maturi e che il summit del 14 giugno sarà decisivo per chiarire una volta per tutte che oltre l' autunno non si può andare.
A fare le spese di questo assedio a Draghi, manco a dirlo, sarà l'Italia. Che dalle notizie che arriveranno da Riga potrebbe ricevere un doppio colpo dalle conseguenze imprevedibili. Se la Bce dovesse annunciare la data, i mercati reagiranno immediatamente, avventandosi sui Paesi ritenuti, a torto o a ragione, meno preparati a camminare senza lo scudo del quantitative easing.
SOTTO LE BOMBE
giovanni tria e claudio borghi
Non solo. Se il termine degli acquisti sarà confermato a settembre, la fine della protezione coinciderà con i giorni in cui il nuovo esecutivo dovrà presentare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza e la manovra finanziaria per il 2019. Sarebbe un po' come tentare di far entrare un filo nella cruna dell' ago mentre tutt' intorno piovono le bombe. Impresa difficile anche per un veterano di Via XX Settembre, figuriamoci per un professore appena arrivato al ministero dell'Economia come Giovanni Tria.
È di questo che si parlerà nel vertice convocato per domani dal premier Giuseppe Conte con i ministri economici. Ed è in quest'ottica, soprattutto, che va letta l'intervista (la prima dall'insediamento) rilasciata ieri da Tria al Corriere della Sera.
GIUSEPPE CONTE LUIGI DI MAIO MATTEO SALVINI
Una lunga chiacchierata in cui il ministro, fregandosene qua e là del contratto siglato da Matteo Salvini e Luigi Di Maio e guardandosi bene dal lasciare trapelare anche la seppur minima cifra, ha tentato di rassicurare i mercati (che venerdì hanno fatto schizzare lo spread a 280 punti) facendo professione di assoluta fedeltà ai vincoli europei sulla finanza pubblica.
Dopo aver spiegato, in perfetto stile Padoan, che i fondamentali dell'Italia sono buoni e che l'economia va a gonfie vele, il ministro ha subito messo in chiaro che «la posizione del governo è netta e unanime», che «non è in discussione alcun proposito di uscire dall'euro» e che l'esecutivo «è determinato a impedire in ogni modo che si materializzino condizioni di mercato che spingano all' uscita».
luigi di maio giuseppe conte matteo salvini
Non è che l'inizio. I conti, che arriveranno solo a settembre, «saranno del tutto coerenti con l'obiettivo di proseguire sulla strada della riduzione del rapporto debito/Pil. È un obiettivo esplicito del governo» su cui «non devono esserci dubbi». E per stare proprio tranquilli, «la preparazione della Nota di aggiornamento del Def seguirà a un dialogo costante con la Commissione Ue».
PUGNI SUL TAVOLO
Altro che rivedere i trattati, sbattere i pugni sul tavolo. L'Italia sarà più obbediente di un cagnolino, rispetterà «gli obblighi costituzionali» sulle coperture, non rilancerà la crescita «tramite deficit spending» e seguirà rigidamente la disciplina di bilancio, non perché lo chiede l'Europa, «ma perché non è il caso di incrinare la fiducia sulla nostra stabilità finanziaria».
In questo scenario, ovviamente, trovano poco spazio sia il reddito di cittadinanza sia la flat tax, su cui Tria non spende neanche una parola.
Escono di scena anche i minibot per creare una valuta nazionale alternativa, che pure sono nel contratto. Mentre la legge Fornero non sarà più né abolita né superata. Ci saranno solo «miglioramenti, sapendo che su queste materie non si improvvisa».