LE GOOD BANK COME LA SORA CAMILLA: TUTTI LE VOGLIONO, NESSUNO SE LE PIGLIA - I GRANDI GRUPPI, PER NON CACCIARE ALTRI SOLDI PER ETRURIA & CO, CHIEDONO DI FAR SLITTARE LA VENDITA AL 2017 - ALTRIMENTI, DEVONO APRIRE I CAVEAU PER 1,5 MILIARDI DI PERDITE ACCUMULATE DALLE BANCHE 'SALVATE'
Andrea Greco per “La Repubblica”
La strada per vendere le quattro banche salvate a novembre è molto stretta e ripida. Se si arrivasse in cima ci sarebbe comunque un prezzo alto da pagare per il settore, che dovrebbe spartirsi circa 1,5 miliardi di perdite a fine anno: circa 300 milioni per Intesa Sanpaolo, sui 250 per Unicredit, un centinaio per Ubi e così via.
protesta dei risparmiatori davanti a bankitalia 4
Di qui i nervi dei banchieri, e la tentazione di rovesciare il tavolo invocando lo Stato pagatore: o almeno rimandarlo a Bruxelles a trattare scadenze meno vessatorie che spostino al 2017 la cessione forzosa di Marche, Etruria, Cariferrara e Carichieti. Tuttavia, come ha detto lunedì il ministro Pier Carlo Padoan, di nazionalizzazioni bancarie «non se ne vede la necessità».
Il governo è in trincea: lo si è visto nella riunione di due giorni fa al Tesoro, sollecitata dalla Banca d' Italia, che nel suo duplice ruolo - vagamente in conflitto - di controllore del credito e di autorità di risoluzione per le quattro good bank teme per lo stallo nella vendita, slittata due volte e che non si perfeziona sull' offerta a prezzi simbolici fatta da Ubi per Marche, Etruria e Chieti. «E' una partita complessa, può incidere sulla stabilità finanziaria del paese - ha detto ieri il dg Salvatore Rossi -. Bankitalia è attenta a che non vengano ventilate ipotesi di contagio».
Ubi ieri ha svolto un consiglio di gestione, che s' è limitato a fornire un' informativa sul dossier, niente di più. L' ad Victor Massiah non recede dalle strenui condizioni chieste per muoversi: conteggiare un avviamento negativo da un miliardo, scontare crediti di imposta da 400 milioni, adottare da subito i suoi modelli avanzati di riservazione rispetto a quelli delle prede (ancora ispirati alle vecchie banche fallite), infine comprare le tre banche già ripulite dai crediti problematici, che ammontano a 3,4 miliardi netti.
Le prime tre condizioni sono al vaglio della vigilanza a Francoforte, che finora non deflette né affaccia sconti di sorta; la quarta potrebbe risolversi con un affare in privato. Lo stesso presidente delle good bank Roberto Nicastro lo aveva scritto ai dipendenti settimana scorsa: «Per facilitare la cessione abbiamo anche avviato un ulteriore progetto di vendita dei crediti problematici ».
Lì dietro ci sarebbe Atlante, il fondo consortile che ha già comprato Vicenza e Veneto Banca, e s' appresta a rilevare parte dei 9 miliardi di sofferenze di Mps. Il fondo, che da tempo studia questo dossier, potrebbe muoversi insieme a operatori specializzati, magari Apollo e Lone Star che s' erano offerti di comprare a peso le 4 banche nell' asta estiva.
C' è un nodo tecnico, perché gli incagli sono più difficili da vendere: possono tornare in bonis, e oltre ai crediti ci sono i relativi contratti di finanziamento, che si possono cartolarizzare solo tramite attori terzi. Qui potrebbe tornare in gioco anche Fonspa, che già lavora con Atlante (valuta le sofferenze Mps) ed è tra i pochi in Italia ad aver comprato contratti di finanziamento. L' alternativa, radicale per le ricadute socio-contabili, sarebbe trasformare in sofferenze gli incagli da vendere.
La Commissione Ue è in «contatti stretti e costruttivi con le autorità italiane», e ribadisce le «buone ragioni» dietro il rinvio, non si sa per quanto. Palla a Francoforte.