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“I DAZI AL 25% CI SPAVENTANO MOLTISSIMO” – L’APPELLO DI LUCIA ALEOTTI, VICEPRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA (E PRESIDENTE DI PHARMAFIN, LA HOLDING CHE CONTROLLA MENARINI): “SERVE UNA REAZIONE FORTE E URGENTISSIMA. TUTTE LE FORZE DI UN GRANDE PAESE QUALE L'ITALIA, IL GOVERNO MA ANCHE L'OPPOSIZIONE, DOVREBBERO FAR SENTIR COLLETTIVAMENTE LA LORO VOCE PER CHIEDERE UN TOTALE CAMBIO DI PASSO” – “LA RISPOSTA CHE DARÀ L'EUROPA NON SIA UNA CONTRAPPOSIZIONE PERCHÉ PERDEREMMO ENTRAMBI…
Estratto dell’articolo di Paolo Baroni per “La Stampa”
«Il rischio di dazi al 25% è una minaccia che spaventa moltissimo, che non si spiega considerando che l'Europa è sempre stato un partner degli Stati Uniti e non un avversario commerciale» sostiene Lucia Aleotti, vicepresidente di Confindustria con delega al Centro studi e grande industriale farmaceutico (è presidente di Pharmafin, la holding che controlla il gruppo Menarini).
Il presidente Orsini ha parlato di "ora buia"...
«Concordo. La cosa che preoccupa di più è che questo rischia di essere il colpo finale ad un settore, quello industriale, che in Europa è fortemente provato dalle scelte politiche del Green deal […]».
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Cosa dovrebbe fare ora l'Europa?
«Serve una reazione forte e urgentissima, un salto di qualità nel sostegno alle imprese.
Mercoledì a Bruxelles hanno presentato il nuovo Clean industrial deal, ma purtroppo non va nella direzione giusta, non dà minimamente la spinta che serve per rilocalizzare nel continente imprese ed occupazione.
Noi già oggi siamo il continente più virtuoso del mondo in termini di rispetto ambientale e queste politiche rischiano di consegnare le nostre produzioni soprattutto alla Cina che invece dagli anni Novanta a oggi ha moltiplicato per cinque le proprie emissioni di Co2».
[…] «[…] di fronte ad una iniziativa come quella annunciata da Trump va suonata la campana d'allarme, non solo nelle sedi europee, ma in tutte le famiglie, in tutte le aziende perché l'economia del nostro continente è sull'industria che si regge».
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E il nostro governo cosa dovrebbe fare?
«Tutte le forze di un grande paese quale l'Italia, il governo ma anche l'opposizione, dovrebbero far sentir collettivamente la loro voce in sede europea per chiedere un totale cambio di passo ed una attenzione vera alla questione industriale. Sarebbe davvero importante».
Se alla fine si andasse muro contro muro e l'Europa ai dazi Usa rispondesse con altri dazi?
«Auspichiamo che la risposta che darà l'Europa non sia una risposta di contrapposizione perché perderemmo entrambi».
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Le nostre imprese rischiano?
«L'Italia è un grande paese esportatore e l'export è la componente della nostra economia che più delle altre ha tenuto in piedi l'Italia negli ultimi anni ed ha fatto crescere anche le medie imprese. È chiaro che per noi il rischio è grande e non riguarda solo le nostre esportazioni ma anche la possibilità che le esportazioni cinesi, una volta impedite di approdare negli Stati Uniti, possano arrivare addirittura da noi sottocosto».
Le imprese di loro cosa possono fare per attenuare lo tsunami che si profila?
«È difficile dare una risposta univoca per tutte le tipologie di impresa. Sicuramente la cosa che stanno cercando di fare, e che chiedono anche all'Unione europea di agevolare, è l'apertura di nuovi mercati.
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Penso innanzitutto al Mercosur: poter avere rapporti con l'area dell'America latina è importantissimo in questo momento».
Lei è anche un industriale farmaceutico, sulla carta uno dei settori più esposti ai nuovi dazi...
«C'è una grande interconnessione tra Italia e Stati Uniti in termini di sia di esportazioni che di importazioni. Le imprese americane hanno investito in Italia e le nostre hanno investito negli Usa e questo è uno dei migliori esempi di fattiva collaborazione.
Se si allarga lo sguardo al livello di sistema Italia un elemento importante da tenere in considerazione è proprio il fatto che le nostre imprese hanno investito mediamente, nel periodo 2022-2023, 5 miliardi di euro all'anno negli Usa a fronte di investimenti americani nel nostro paese per un miliardo e mezzo. Per noi gli Usa non sono terra di conquista ma di investimento e questo è un elemento importante che adesso andrebbe tenuto nella giusta considerazione».
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