ALITALIA D’ARABIA - I CINQUE ERRORI DI ETIHAD CHE HANNO PORTATO LA COMPAGNIA DI NUOVO SULL’ORLO DEL CRAC: IL BREVE RAGGIO, LA CONCORRENZA A FIUMICINO DELLE LOW-COST, I RAPPORTI CON LE BANCHE, I RAPPORTI CON IL GOVERNO (MONTEZUMA DOVE SEI?), E LE STRATEGIE FALLIMENTARI SU VOLI, ACQUISIZIONI E NETWORK INTERNAZIONALE - COSA SUCCEDERÀ NEL FUTURO
Lucio Cillis per ‘Affari e Finanza - la Repubblica’
Cambiano i medici, ma il malato non ce la fa proprio a guarire. La cartella clinica di Alitalia parla chiaro: a due anni dall' arrivo di Etihad, il quadro sanitario è sempre tragicamente lo stesso. Le perdite viaggiano a oltre un milione al giorno. Per ogni euro entrato in cassa, la società perde 12 centesimi. «Sarà la compagnia più sexy d' Europa», aveva promesso James Hogan - numero uno del vettore degli emiri - a inizio 2015. «Andremo in utile nel 2017 e non saremo più dipendenti da banche e altri sostegni», aveva illuso tutti il presidente Luca Cordero di Montezemolo.
NICOLE KIDMAN NELLO SPOT ETIHAD
Invece eccoci qua: 24 mesi dopo, i soci sono stati costretti a riunioni d' emergenza sotto Natale per trovare i quattrini necessari per fare il pieno agli aerei, il profitto è un miraggio (nel 2015 le perdite dovrebbero essere attorno ai 400 milioni) e il vertice sta preparando l' ennesimo piano industriale per il rilancio dell' azienda. Con lo Stato tirato per la giacchetta per garantire aiuti e ammortizzatori dopo aver già speso 6,1 miliardi - calcola l' Istituto Bruno Leoni - per tenere in volo l' aerolinea. Etihad, pensavano tutti due anni fa, è la scelta giusta. Altro che l' armata Brancaleone dei capitani coraggiosi messi assieme da Intesa per il salvataggio pilotato dal governo Berlusconi.
Quello era un gruppo eterogeneo, senza esperienza in un mondo difficile e a bassi margini come l' aviazione civile e con pochi soldi in tasca. Il nuovo alleato del Golfo, sostenevano pure le Cassandre più pessimiste, è la panacea di tutti i mali: ha i soldi - tanti - la voglia d' investire, il know-how nel settore. Si sbagliavano. Abu Dhabi ha in effetti messo molti quattrini (quasi 700 milioni finora), i servizi dell' aerolinea tricolore - lo riconoscono anche gli esperti internazionali come l' inflessibile CapaAviation - sono molto migliorati. Ma il risultato finanziario dei loro sforzi è sotto gli occhi di tutti.
Un disastro, con la società - come in un eterno dejà vu - di nuovo sull' orlo del crac. Dove hanno sbagliato Hogan & C.? Ecco i cinque errori strategici di Etihad e come gli uomini del Golfo, con un una caparbietà che sfiora l' accanimento terapeutico, spera di guarire il malato.
Il nodo breve raggio
Il primo peccato capitale degli emiri è sotto gli occhi di tutti.
L' incapacità di attaccare subito con decisione il "bubbone" che apre una voragine nei conti del gruppo: un network troppo concentrato sui voli a breve e medio raggio. Dove Ryanair, Easyjet e le altre low cost dettano legge. Hogan aveva sul tema idee chiare: «Non ci sono pasti gratis, non siamo un bancomat senza fine - aveva detto prendendo la cloche del gruppo - In Alitalia serve un cambiamento radicale e immediato». A rigore aveva preso pure la direzione corretta: la prima mossa è stata ridurre del 25% le rotte domestiche, con la scure caduta in particolare sul Roma-Milano, e del 5% quelle a medio raggio.
james hogan di etihad a roma foto lapresse
Alla resa dei conti, però, è stato poco più di un placebo. Troppo poco e troppo tardi per rimettere in rotta i conti: la quota dei voli interni sul network è scesa dal 58% di due anni fa al 54% dell' estate scorsa. AirFrance- Klm, per dire, è al 18%, Lufthansa al 17% e British-Iberia sono al 24%. Il valore medio dei biglietti venduto dal vettore italiano è di 150 euro contro i 350 di Lufthansa. E il nuovo piano industriale, non a caso, prevede come punto centrale una drastica riduzione dei collegamenti a breve medio raggio con l' ipotesi estrema di appaltarli direttamente alle low-cost. Sperando non sia troppo tardi.
EDOARDO BARALDI - LETTA ETIHAD
Il caso Fiumicino
È il secondo grande errore di Etihad, dicono molti osservatori. Costato il posto, dice il tam tam di settore, a Silvano Cassano, primo ad dell' era del Golfo, dopo solo un anno di lavoro. Gli emiri, come i capitani coraggiosi, hanno scelto Roma come hub. Ma non sono riusciti a difenderlo dall' assalto delle low-cost, come hanno fatto con successo i rivali continentali. I numeri parlano chiaro: le low-cost rappresentavano solo il 16% dei decolli e degli atterraggi a fine 2013 al Leonardo da Vinci. Nel 2015 erano già salite al 25% e oggi, calcolano gli analisti, sono vicine al 35%.
Nell' estate di quell' anno Ryanair, Easyjet, Vueling e Norwegian hanno aggiunto nello scalo capitolino oltre 200 nuovi voli, meno solo dei cinque aeroporti di Londra e il doppio di Barcellona. «La concorrenza delle compagnie a basso costo ha un effetto chiaro - dice Andrea Giuricin, professore di Mobility management all' Università MilanoBicocca - rende più complicato gestire i voli a breve e medio raggio necessari per alimentare il network intercontinentale ». Quello che in teoria rende di più.
Il 12% circa dei passeggeri sul lungo raggio Alitalia arrivava proprio dal feederaggio.
Le frizioni con le banche
Il terzo nodo irrisolto è quello dei rapporti con Poste e le banche azioniste in Alitalia. Etihad, in questo caso, ha dovuto far di necessità virtù. La Ue obbliga infatti una compagnia europea ad aver almeno per il 51% soci continentali. Il problema però è che tanto le Poste come IntesaSanpaolo e Unicredit sono state trascinate nel capitale quasi con la forza, per amor patrio.
E fin dall' inizio hanno detto chiaro e tondo che non avrebbero messo altri soldi (comprensibilmente visto che gli istituti di credito hanno perso nella società qualcosa come 500 milioni). Limitando di molto la possibilità di investimenti per i nuovi collegamenti a lungo raggio che - come ricorda Giuricin - «hanno bisogno di almeno un paio di anni per andare a reddito».
hogan cassano montezemolo renzi d'amico
Gli aerei intercontinentali a disposizione di Alitalia sono saliti così "solo" da 22 a 24, molto meno di quello che avrebbero voluto forse gli emiri. Ora si parla di nuove aperture e di 15 jet in più. Noccioline però rispetto ai rivali: Iag e AirFrance hanno sette volte i collegamenti intercontinentali di Alitalia. Lufthansa il quintuplo dei voli. Un' altra cosa che non ha funzionato nell' era degli emiri sono i rapporti con i palazzi romani. Di chi sia la colpa non si sa.
I rapporti con Roma
Etihad si aspettava una serie di "aiutini" di Stato che in realtà sono arrivati solo in parte. Il cahier des doléances è stato ribadito più volte da Hogan: il governo dice lui - gli avrebbe promesso di aprire Linate ad alcune rotte supplementari. Quelle verso la Russia, ma soprattutto la rotta su Abu Dhabi, necessaria per strappare ai concorrenti il ricco traffico premium a lungo raggio del Nord. Gli uomini del Golfo si aspettavano anche che l' esecutivo mettesse un freno alle low-cost. Che - sostengono - non c' è stato.
E quando Ryanair ha puntato i piedi minacciando l' abbandono di alcune basi per il rialzo delle tasse aeroportuali, Roma ha fatto retromarcia. Risultato le low cost hanno oggi il 48,3% del mercato tricolore contro il 32% del 2007 e la società irlandese ha sorpassato Alitalia per passeggeri trasportati nel paese. E che sia un problema più di strategie che di tagli agli organici lo dicono i numeri: il costo per posto offerto al chilometro di Alitalia è di 6,5 centesimi.
Quasi il doppio di Ryanair (3,4) ma meno di Air France (10,5) e anche persino di Eurowings, la low cost di Lufthansa (8).
I dubbi sul futuro
L' ultimo buco nero della strategia di Etihad vola ben sopra il tema Alitalia. E tira in ballo la strategia del gruppo cresciuto (a differenza dei rivali del Golfo) non comprando aerei ma rilevando compagnie. Una scelta che non ha dato i risultati sperati. Almeno in Europa. La crescita organica di Emirates e Qatar pare funzionare meglio.
cramer ball luca di montezemolo
Abu Dhabi invece ha già rimesso in discussione i suoi piani e - forse non a caso - in queste settimane sono emerse le voci di un possibile addio di Hogan: Air Berlin si è rivelata un salasso per i conti del gruppo ed è stata in qualche modo smembrata dividendone gli asset tra la Tui e Lufthansa. Air Serbia funziona ma con numeri ridotti e grazie a una concorrenza ridotta all' osso dalle low-cost.
Come uscirne? Il tam tam di settore dice che Etihad è pronta alla svolta stringendo un' intesa molto più stretta con Lufhansa.
Gli emiri smentiscono, ma gli analisti sono certi che oltre al fumo ci sia anche un po' d' arrosto e che la compagnia si stia muovendo verso un modello più simile a quello che ha visto Qatar allearsi a British e Iberia. I tempi lunghi sul piano Alitalia, sussurra qualcuno, sono legati proprio alla necessità di arrivare a un chiarimento a monte prima di scrivere a valle strategie destinare a diventare obsolete in poche settimane.
In un eventuale asse Lufthansa-Etihad, del resto, il ruolo di Alitalia sarebbe ben diverso: una sorta di vettore regionale come Swiss e Austrian (controllate dai tedeschi) con un hub secondario come Zurigo e Monaco che Berlino ha dimostrato di saper far funzionare. Peccato un' aerolinea potrebbe permettersi 10-12 milioni di passeggeri.
E Alitalia oggi ne ha circa 23.