HO RIMASTO SOLO – E’ ARRIVATA L’ECLISSI PER BOLLORE’? IN NOME DELLE PLUSVALENZE HA TRADITO OGNI AMICIZIA, A ROMA COME A PARIGI: DA BERNEHIM (''LA RICONOSCENZA È UNA MALATTIA DEL CANE NON TRASMISSIBILE ALL'UOMO") A GERONZI, A BERLUSCONI – GLI UNICI RIMASTI VICINO IN ITALIA SONO DUE FRANCESI: DONNET (GENERALI) E MUSTIER (UNICREDIT). BASTERANNO? – LA POLITICA, SIA FRANCESE CHE ITALICA, GLI HA ORMAI GIRATO LE SPALLE
Ettore Livini per Affari&Finanza – la Repubblica
La nemesi, alla fine, è arrivata: Vincent Bolloré, il raider bretone sbarcato in Italia per raccogliere i cocci del capitalismo di relazione, si presenta alla madre di tutte le sue battaglie - quella contro Elliott per Telecom Italia - con un piccolo problema: non ha più santi in paradiso.
La politica l' ha abbandonato: l' intero arco costituzionale tricolore - dai Cinque Stelle a Fratelli d' Italia (Silvio Berlusconi, ovviamente, compreso) - ha applaudito la discesa in campo di Cdp per difendere gli interessi nazionali nell' ex-monopolio delle tlc. Le authority - dall' Agcom alla Consob - monitorano le sue mosse passo passo. E quando si è guardato attorno in cerca di un' altra sponda cui appoggiarsi, si è dovuto arrendere alla realtà: è rimasto solo.
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Tutti gli "amici" o presunti tali che hanno accompagnato il suo assalto alla finanza italiana, sono spariti nel nulla. Qualcuno, come gli è successo più volte anche in Francia, l' ha fatto fuori lui. Usandolo quando gli serviva, per poi sacrificarlo alla sacra causa del potere quando non era più di alcuna utilità. Altri - come Antoine Bernheim - sono scomparsi dopo aver provato sulla propria pelle quanto è elastico il termine amicizia per "Bollò", come lo chiamano oltralpe.
Persino Mediobanca - dove pure con il suo 7,8 per cento l' imprenditore francese dovrebbe contare qualcosa - sembra essersi ritirata in un prudente Aventino per non scatenare la guerra nucleare in un azionariato dove il numero uno di Vivendi convive con il suo ex-amico Berlusconi e con un Unicredit a guida francese, sospettato di intelligenza con il raider transalpino. L' epopea italiana di Bolloré del resto è una strada a zig zag, costruita sulle relazioni usa e getta e culminata ora nel doppio impasse su Mediaset e Tim che valgono per Parigi qualcosa come 1,2 miliardi di minusvalenze potenziali.
BERNHEIM, ONCLE TONIÒ
Il primo mattone del suo impero tricolore è stato posato proprio in Mediobanca e per interposta persona. Ovvero tramite "Oncle Toniò" - come lo chiamava lui al secolo Antoine Bernheim. Caro amico di sua madre prima del matrimonio e poi anche del padre, mostro sacro della finanza transalpina, socio gerente di Lazard. Lo sbarco nel Bel Paese risale al 1999. Toniò è furioso. Mediobanca l' ha sfrattato dalla poltrona di presidente Generali.
È ai ferri corti anche con il vertice di Lazard, reo - a suo parere - di non averlo difeso. E decide di chiedere una mano al giovane e ambizioso Vincent, che per lui rappresenta - ha spiegato la vedova - "un figlio spirituale". Detto fatto. Bolloré compra una quota chiave di Lazard e minaccia di scalarla. L' estabilishment parigino impone un armistizio e il bretone esce di scena con una solida plusvalenza di 300 milioni e un' opzione per rilevare il 2,8% di Mediobanca.
Sono tempi complicati per il capitalismo tricolore. La scomparsa di Enrico Cuccia scatena gli appetiti degli aspiranti eredi al vertice del "salotto buono", con Unicredit e Capitalia che provano a far fuori il delfino Vincenzo Maranghi . Bolloré e Bernheim fiutano aria di battaglia e rastrellano in gran segreto azioni di Mediobanca. E al momento buono colpiscono cercando la benedizione della politica. Ottenere quella di Silvio Berlusconi, il premier, non è difficile. Bernheim l' ha aiutato nella sfortunata avventura televisiva di La Cinq in Francia.
A fare da tramite è Tarak Ben Ammar, che Silvio conosce nel 1985 ad Hammamet (lui in visita a Craxi, Tarak in loco per girare un film) e che è in buoni rapporti con Bolloré. Un incontro a Roma con Massimo D' Alema, allora leader dell' opposizione, garantisce la copertura politica a 360 gradi. Poi parte l' offensiva: «Nel marzo 2003 Berlusconi mi chiama dicendomi di incontrare due persone, Tarak e Bolloré - ha spiegato Cesare Geronzi, allora al vertice di Capitalia - . Quest' ultimo mi disse subito di aver comprato il 20% di Mediobanca Gli feci comprendere che doveva scegliere se riportare l' ordine o restare nel sottoscala ».
Bollò voleva sentirsi dire proprio quello. Negozia l' armistizio, silura Maranghi, vara l' asse con Geronzi e Alessandro Profumo, allora al vertice Unicredit, e stabilizza con un blocco di soci francesi l' azionariato di Piazzetta Cuccia. Rimettendo alla presidenza delle Generali Oncle Toniò. «Io sono in Italia solo per fare l' autista di Bernheim», si schernisce.
Ovviamente, lo dirà la storia, non è così. Le cose, dopo quel 2003 di fuoco, proseguono con il vento a favore. L' asse con Profumo e Geronzi tiene. Almeno fino al 2010 quando a far saltare intese e amicizie nella galassia Bolloré è la crisi del gruppo Ligresti. Don Salvatore, il patron del gruppo assicurativo, è nei guai. E chiede aiuto al finanziere bretone ("un amico", dirà illudendosi la figlia Jonella).
Bolloré entra nel capitale della Premafin, la holding della famiglia siciliana e pilota assieme a Profumo un salvataggio assieme alla transalpina Groupama. Alberto Nagel e Renato Pagliaro, i manager di Mediobanca, non gradiscono un accordo passato sopra la loro testa. E parte una lunga battaglia di posizione che culminerà con l' intervento della Consob che obbligherà Groupama a un' Opa su Premafin Sai. Costringendo i francesi a defilarsi e pilotando l' ex-impero Ligresti verso Unipol.
PARRICIDIO IN GENERALI
Questa partita fa implodere il cerchio magico italiano di Bolloré. Profumo - logorato dalla presenza dei libici nel capitale di Unicredit - è costretto a lasciare la banca malgrado il sostegno di Tarak e Ligresti. Il parricidio si consuma però in Generali. Bernheim è nel mirino dei soci italiani («azionisti mafiosi », li etichetta lui). Bolloré lo difende finché può. «Dietro ogni cosa che ho fatto c' è Antoine», dice quando Oncle Toniò viene insignito della Legione d' onore. Alla fine però cede. Trieste silura Bernheim e affida la presidenza a Geronzi. Toniò non le manda a dire.
«Salopard!» («Mascalzone») urla a Bolloré in un evento pubblico. «La riconoscenza è una malattia del cane non trasmissibile all' uomo» rincara la dose. Ma così va la vita se si è in affari con Bollò. Geronzi, per dire, viene silurato poco dopo in un' altra operazione di potere su Generali che servirà a Bolloré per ricucire con Nagel e Pagliaro.
Stesso trattamento è riservato a Berlusconi, un rapporto che pareva inossidabile. Il raider bretone lo illude con un accordo che pilota Vivendi e Mediaset verso le nozze e sgrava il Biscione della zavorra della pay-tv.
Poi, mentre Berlusconi è ricoverato in ospedale per i suoi problemi di cuore, fa saltare l' intesa e inizia a scalare le tv di Cologno. E solo l' intervento a gamba un po' tesa delle authority e del governo Gentiloni in appoggio all' ex leader del centrodestra ha salvato Mediaset dalla scalata.
La vicenda Berlusconi e gli "strappi" in Telecom hanno finito per avvelenare anche i rapporti con la politica. Matteo Renzi ha schierato Enel contro la Telecom a trazione transalpina. I 5 Stelle hanno dato l' ok al contropiede di Cdp, schierandosi così anche loro contro Vivendi.
I pochi amici italiani, a questo punto, sono paradossalmente francesi. Philippe Donnet, ad delle Generali, è stato fino al 2016 nel consiglio di Vivendi. Il tam tam parigino iscrive tra i suoi supporter anche Jean Pierre Mustier, numero uno di Unicredit che avrebbe un buon rapporto con Yannik Bolloré, figlio di Vincent e patron di Havas.
Basteranno questi puntelli per salvare la campagna d' Italia del bretone? Si vedrà. Nessuno, conoscendone le mille risorse, lo dà di certo già per morto solo perché si ritrova senza troppi amici.
La vecchia legge di Cuccia (articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto) vale ancora oggi e Bollò ha in cassa il cash per resistere all' isolamento. specie dopo la vendita di Ubisoft e la partita di giro Havas-Vivendi. La sua speranza è che in suo soccorso arrivi il potentissimo capitalismo di relazioni transalpino. In grado se volesse di sparigliare senza troppa difficoltà le carte. Ma anche lì, a occhio, di supporter non sembrano essergliene rimasti molti.