di maio ilva calenda emiliano

ILVA, CHIUSO L'ACCORDO: PER ANDARE IN C*LO A CALENDA, DI MAIO HA FATTO PERDERE MESI, MA ALLA FINE LA CICCIA DELL'ACCORDO È LA STESSA DI QUELLA DEL PD, LA STESSA ''GARA ILLEGALE'' VINTA DA ARCELOR-MITTAL CON SIMILI LIVELLI DI OCCUPAZIONE - INFATTI L'EX MINISTRO TWITTA: ''COMPLIMENTI A DI MAIO PER AVER CAMBIATO IDEA E IMBOCCATO LA STRADA GIUSTA''. LO STABILIMENTO NON DIVENTERÀ UN PARCO GIOCHI, COME SOGNATO DA GRILLO (E SOTTOSCRITTO DAI GRILLINI PUGLIESI)

 

Domenico Palmiotti per www.ilsole24ore.com

 

Sei anni per arrivare ad una svolta col passaggio dell’Ilva, sino al 2012 in mano ai Riva, dai commissari di Stato al nuovo azionista Arcelor Mittal e un anno di trattative con Mittal per chiudere l’accordo sindacale. Probabilmente poche altre vertenze, relative a crisi industriali complesse, hanno avuto un tempo di gestione così lungo.

 

 

luigi di maio 3

Ma qui la partita non era facile. Per tanti motivi. Perché a luglio 2012 è intervenuta la Magistratura che ha sequestrato senza facoltà d’uso gli impianti del siderurgico di Taranto per disastro ambientale; perché, per alcuni anni, c’è stato un aspro conflitto tra magistrati e Governo; perchè per l’Ilva c’è voluto un intervento legislativo senza precedenti; e perché se la posta in gioco era rilevante, oneroso era anche il rilancio industriale dell’Ilva e la messa in sicurezza ambientale del sito di Taranto.

 

 

Basti pensare che, tra acquisto e investimenti, Mittal ha messo sul piatto 4 miliardi. Senza il commissariamento da parte dello Stato, scattato a giugno 2013, una volta che i Riva si erano dimessi dal board a seguito dell’offensiva della magistratura, e senza l’amministrazione straordinaria scattata a gennaio 2015, l’Ilva, seduta su una montagna di debiti, sarebbe fallita lasciando a terra 15mila persone (allora, oggi sono meno di 14mila). E invece il commissariamento, sia pure molto lungo e con tante difficoltà, ha comunque tenuto in piedi l’Ilva.

 

IMPIANTO ARCELOR MITTAL

Certo, l’azienda perde un milione di euro al giorno, ma va anche detto che non c’è stato un mese in cui non siano stati pagati gli stipendi a tutti i dipendenti.

 

I 10.700 assunti il punto di svolta

E adesso, firmato l’accordo, tocca ad Arcelor Mittal, dopo la gara di aggiudicazione vinta a giugno battendo la concorrenza di Acciaitalia (con Jindal e Cassa Depositi e Prestiti), scrivere una pagina nuova. Avviando il rilancio industriale del gruppo siderurgico e accelerandone la messa a norma ambientale. Oggi l’intesa è stata messa nero su bianco, ma sindacati e Mittal hanno cominciato a trattare un anno fa. Mesi di trattative, incontri su incontri al Mise, mediati dall’ex ministro Carlo Calenda e dall’ex vice ministro Teresa Bellanova, ma senza mai riuscire a raggiungere un punto fermo. Anche quando Calenda ha provato l’affondo, il rush finale non si è mai visto. Non c’erano le condizioni ma, soprattutto, non c’erano i numeri.

 

La bozza di intesa Calenda, presentata il 10 maggio scorso e subito respinta dalla maggioranza dei sindacati, prevedeva 10mila assunti, circa 1.200-1.500 addetti travasati nella società mista Ilva-Invitalia (società quest’ultima controllata dal Tesoro) che avrebbe fatto un pezzo di bonifiche e altre attività, e il resto - circa 2mila lavoratori - smaltiti attraverso gli esodi volontari, agevolati e incentivati (200 milioni il plafond destinato).

 

RENZI CALENDA

Calenda assicurava zero esuberi alla fine del percorso, nel senso che tutti avrebbero avuto una “protezione” o una ricollocazione. Ma i sindacati non si sono fidati. Percorso incerto, a rischio, dicevano. E in quanto ai 10mila assunti, hanno ritenuto il numero troppo basso. Hanno tentato di schiodare Mittal da quota 10mila ma non ci sono riusciti. La multinazionale, pur pressata, teneva duro e rispondeva: la mia offerta era di circa 8mila addetti, sottoscrivendo il contratto di acquisizione, ho già fatto un passo avanti portandomi a 10mila. E quando Mittal ha fatto un’apertura, si è attestato su 10.100 assunti rinviando l’assunzione di altri 400 nel 2023. Tra cinque anni. Un tempo troppo lungo, commentarono le sigle metalmeccaniche.

 

L’accordo con Di Maio

Con la gestione del ministro Luigi Di Maio, quando ieri pomeriggio si è aperta la fase conclusiva del negoziato, si è partiti - nuova proposta di Mittal - da un numero di occupati più alto: 10.300. Di cui 10.100 entro fine anno e altri 200 entro fine 2021. Prima differenza rispetto alla bozza Calenda: 300 assunti in piú e due anni in meno sui tempi complessivi. Ma anche quest’offerta non ha convinto i sindacati. Che ieri sera insistevano tutti sulla necessità di alzare l’asticella.

 

La richiesta che circolava andava da 10.500 a 10.700 addetti. E anche il Mise lavorava per far crescere il numero degli occupati. Col passare delle ore - la trattativa è durata tutta la notte -, l’obiettivo dei 10.700 non sembrava impossibile. E stamattina Di Maio lo ha rilanciato ponendolo con forza ad Arcelor Mittal che ha detto di sì. Alla fine, quindi, il saldo è positivo: 700 assunzioni in più (o 200 in più, se si considerano che l’ultima ipotesi presentata all’allora “tavolo Calenda”). Confermata la tutela dell’articolo 18 già prevista in precedenza.

gentiloni calenda

 

 

Scompare la società mista

Si è dovuta alzare l’asticella degli occupati diretti anche perché, rispetto alla bozza Calenda, la gestione Di Maio ha fatto venir meno l’ipotesi della società mista. E quindi tutto il personale Ilva - circa 13.500 lavoratori tra Taranto, Genova, Novi Ligure e Paderno Dugnano - è stato ripartito su due fronti: i 10.700 che transitano a Mittal, nelle quattro società costituite allo scopo - la capogruppo più quelle dei servizi -, e quelli che beneficeranno dell’esodo volontario incentivato e anticipato.

 

Con quest’ultimo, si pensa di coinvolgere dalle 2.500 alle 2.800 personedando loro un bonus di 100mila euro lordi a testa (previsto anche nel piano precedente). Il bonus sarà finanziato dai canoni di fitto - 180 milioni all’anno - che Mittal, prima di acquisire l’Ilva, verserà all’amministrazione straordinaria dei commissari. Che resta in carica. Rafforzata, poi, la clausola che tutela chi, a fine piano industriale, dovesse essere a rischio: Mittal gli farà una proposta di assunzione.

 

 

Il nodo ambientale

Insieme all’occupazione, l’ambiente era l’altro fronte delicato. Essendo l’Ilva un’azienda con emissioni impattanti. A fronte dei pareri dell’Autorità Anticorruzione (nella gara di aggiudicazione dell’Ilva ci sono delle criticità) e dell’Avvocatura dello Stato (il documento deve ancora essere desecretato), ad un certo punto è sembrato profilarsi che tutto potesse saltare. Ma Di Maio ha subito chiarito: il fatto che la gara sia illegale non ne determina, automaticamente, l’annullamento. Occorre che sia colpito anche un pubblico interesse concreto. E questo pubblico interesse, ha aggiunto Di Maio, lo si può ancora tutelare se sul piano ambientale e occupazionale si arriva ad un’intesa decisamente migliore e più avanzata.

avvocatura dello stato

 

Sull’ambiente, in verità, Mittal aveva già fatto passi avanti ai primi di luglio quando sottopose al ministro uno schema dal quale, per una serie di lavori, si evinceva che i tempi, rispetto al contratto di giugno 2017 e al Dpcm di settembre 2017 (l’Aia), erano stati ridotti da un minimo di sei ad un massimo di trenta mesi. Sull’aspetto tempistiche, Mittal ha ulteriormente lavorato e gli “addendum” rispetto al contratto di acquisizione sono parte dell’accordo odierno. Adesso la nuova offerta si sostanzia in tempi piú stretti, ulteriori interventi, nuovi obiettivi da raggiungere come abbattimento di emissioni.

 

 

Le reazioni del territorio

ilva taranto 6

Positive quelle del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, e del presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo. «Alla fine ha prevalso il buon senso in tutti e la politica strumentale ha fatto un passo indietro» dice Melucci riferendosi a quanti, tra Cinque Stelle, movimenti vari e ambientalisti radicali, hanno battuto sulla chiusura dell’Ilva. «L’accordo è positivo, si chiude una fase molto difficile, ma la vera partita comincia adesso - dichiara Cesareo -. Il rilancio industriale dell’Ilva e il suo risanamento ambientale possono essere una battaglia vincente se si lavora tutti insieme, se c’è condivisione e se il nuovo investitore si apre al territorio e si confronta positivamente con esso. Penso che Mittal lo farà senz’altro».

 

Delusi, arrabbiati, critici, tutti coloro che in questi mesi, rivolgendosi a Di Maio e ai ministri dell’Ambiente, Sergio Costa, della Salute, Giulia Grillo, non hanno fatto altro che chiedere la dismissione del siderurgico e l’avvio di una riconversione economica dell’area di Taranto. Nel mirino sono i Cinque Stelle. I cinque parlamentari eletti a marzo sono accusati di “tradimento elettorale” e vengono invitati a dimettersi anche se, per la verità, mai Di Maio ha parlato di chiusura dell’Ilva.

ilva taranto 5

 

Nemmeno quando è venuto a Taranto a febbraio per la campagna elettorale. Non ha pagato la fuga in avanti di alcuni pentastellati, inclini più ad assecondare il pressing della base e dell’elettorato che a guardare la realtà. Basti pensare che a giugno, incontrando i sindacati, Lorenzo Fioramonti, oggi sottosegretario all’Istruzione, ha parlato di chiusura progressiva dell’Ilva. Per non parlare di Beppe Grillo che aveva ipotizzato laddove oggi ci sono altiforni e acciaierie, un mega parco giochi.

 

 

Ultimi Dagoreport

jd vance papa francesco bergoglio

PAPA FRANCESCO NON VOLEVA INCONTRARE JD VANCE E HA MANDATO AVANTI PAROLIN – BERGOGLIO HA CAMBIATO IDEA SOLO DOPO L’INCONTRO DEL NUMERO DUE DI TRUMP CON IL SEGRETARIO DI STATO: VANCE SI È MOSTRATO RICETTIVO DI FRONTE AL LUNGO ELENCO DI DOSSIER SU CUI LA CHIESA È AGLI ANTIPODI DELL’AMMINISTRAZIONE AMERICANA, E HA PROMESSO DI COINVOLGERE IL TYCOON. A QUEL PUNTO IL PONTEFICE SI È CONVINTO E HA ACCONSENTITO AL BREVE FACCIA A FACCIA – SUI SOCIAL SI SPRECANO POST E MEME SULLA COINCIDENZA TRA LA VISITA E LA MORTE DEL PAPA: “È SOPRAVVISSUTO A UNA POLMONITE BILATERALE, MA NON È RIUSCITO A SOPRAVVIVERE AL FETORE DELL’AUTORITARISMO TEOCRATICO” – I MEME

jd vance roma giorgia meloni

DAGOREPORT – LA VISITA DEL SUPER CAFONE VANCE A ROMA HA VISTO UN SISTEMA DI SICUREZZA CHE IN CITTÀ NON VENIVA ATTUATO DAI TEMPI DEL RAPIMENTO MORO. MOLTO PIÙ STRINGENTE DI QUANTO È ACCADUTO PER LE VISITE DI BUSH, OBAMA O BIDEN. CON EPISODI AL LIMITE DELLA LEGGE (O OLTRE), COME QUELLO DEGLI ABITANTI DI VIA DELLE TRE MADONNE (ATTACCATA A VILLA TAVERNA, DOVE HA SOGGIORNATO IL BUZZURRO), DOVE VIVONO DA CALTAGIRONE AD ALFANO FINO AD ABETE, LETTERALMENTE “SEQUESTRATI” PER QUATTRO GIORNI – MA PERCHÉ TUTTO QUESTO? FORSE LA SORA “GEORGIA” VOLEVA FAR VEDERE AGLI AMICI AMERICANI QUANTO È TOSTA? AH, SAPERLO...

giovanbattista fazzolari giorgia meloni donald trump emmanuel macron pedro sanz merz tusk ursula von der leyen

SE LA DIPLOMAZIA DEGLI STATI UNITI, DALL’UCRAINA ALL’IRAN, TRUMP L’HA AFFIDATA NELLE MANI DI UN AMICO IMMOBILIARISTA, STEVE WITKOFF, DALL’ALTRA PARTE DELL’OCEANO, MELONI AVEVA GIÀ ANTICIPATO IL CALIGOLA DAZISTA CON LA NOMINA DI FAZZOLARI: L’EX DIRIGENTE DI SECONDA FASCIA DELLA REGIONE LAZIO (2018) CHE GESTISCE A PALAZZO CHIGI SUPERPOTERI MA SEMPRE LONTANO DALLA VANITÀ MEDIATICA. FINO A IERI: RINGALLUZZITO DAL FATTO CHE LA “GABBIANELLA” DI COLLE OPPIO SIA RITORNATA DA WASHINGTON SENZA GLI OCCHI NERI (COME ZELENSKY) E UN DITO AL CULO (COME NETANYAHU), L’EMINENZA NERA DELLA FIAMMA È ARRIVATO A PRENDERE IL POSTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, L’IMBELLE ANTONIO TAJANI: “IL VERTICE UE-USA POTREBBE TENERSI A ROMA, A MAGGIO, CHE DOVREBBE ESSERE ALLARGATO ANCHE AGLI ALTRI 27 LEADER DEGLI STATI UE’’ – PURTROPPO, UN VERTICE A ROMA CONVINCE DAVVERO POCO FRANCIA, GERMANIA, POLONIA E SPAGNA. PER DI PIÙ L’IDEA CHE SIA LA MELONI, OSSIA LA PIÙ TRUMPIANA DEI LEADER EUROPEI, A GESTIRE L’EVENTO NON LI PERSUADE AFFATTO…

patrizia scurti giorgia meloni giuseppe napoli emilio scalfarotto giovanbattista fazzolari

QUANDO C’È LA FIAMMA, LA COMPETENZA NON SERVE NÉ APPARECCHIA. ET VOILÀ!, CHI SBUCA CONSIGLIERE NEL CDA DI FINCANTIERI? EMILIO SCALFAROTTO! L’EX “GABBIANO” DI COLLE OPPIO VOLATO NEL 2018 A FIUMICINO COME ASSESSORE ALLA GIOVENTÙ, NON VI DIRÀ NULLA. MA DAL 2022 SCALFAROTTO HA FATTO IL BOTTO, DIVENTANDO CAPO SEGRETERIA DI FAZZOLARI. “È L’UNICO DI CUI SI FIDA” NELLA GESTIONE DI DOSSIER E NOMINE IL DOMINUS DI PALAZZO CHIGI CHE RISOLVE (“ME LA VEDO IO!”) PROBLEMI E INSIDIE DELLA DUCETTA - IL POTERE ALLA FIAMMA SI TIENE TUTTO IN FAMIGLIA: OLTRE A SCALFAROTTO, LAVORA PER FAZZO COME SEGRETARIA PARTICOLARE, LA NIPOTE DI PATRIZIA SCURTI, MENTRE IL MARITO DELLA POTENTISSIMA SEGRETARIA-OMBRA, GIUSEPPE NAPOLI, È UN AGENTE AISI CHE PRESIEDE ALLA SCORTA DELLA PREMIER…

francesco milleri andrea orcel carlo messina nagel donnet generali caltagirone

DAGOREPORT - A CHE PUNTO È LA NOTTE DEL PIÙ GRANDE RISIKO BANCARIO D’ITALIA? L’ASSEMBLEA DI GENERALI DEL 24 APRILE È SOLO LA PRIMA BATTAGLIA. LA GUERRA AVRÀ INIZIO DA MAGGIO, QUANDO SCENDERANNO IN CAMPO I CAVALIERI BIANCHI MENEGHINI - RIUSCIRANNO UNICREDIT E BANCA INTESA A SBARRARE IL PASSO ALLA SCALATA DI MEDIOBANCA-GENERALI DA PARTE DELL’”USURPATORE ROMANO” CALTAGIRONE IN SELLA AL CAVALLO DI TROIA DEI PASCHI DI SIENA (SCUDERIA PALAZZO CHIGI)? - QUALI MOSSE FARÀ INTESA PER ARGINARE IL DINAMISMO ACCHIAPPATUTTO DI UNICREDIT? LA “BANCA DI SISTEMA” SI METTERÀ DI TRAVERSO A UN’OPERAZIONE BENEDETTA DAL GOVERNO MELONI? O, MAGARI, MESSINA TROVERÀ UN ACCORDO CON CALTARICCONE? (INTESA HA PRIMA SPINTO ASSOGESTIONI A PRESENTARE UNA LISTA PER IL CDA GENERALI, POI HA PRESTATO 500 MILIONI A CALTAGIRONE…)

donald trump giorgia meloni

DAGOREPORT - LA DUCETTA IN VERSIONE COMBAT, DIMENTICATELA: LA GIORGIA CHE VOLERA' DOMANI A WASHINGTON E' UNA PREMIER IMPAURITA, INTENTA A PARARSI IL SEDERINO PIGOLANDO DI ''INSIDIE'' E "MOMENTI DIFFICILI" - IL SOGNO DI FAR IL SUO INGRESSO ALLA CASA BIANCA COME PONTIERE TRA USA-UE SI E' TRASFORMATO IN UN INCUBO IL 2 APRILE QUANDO IL CALIGOLA AMERICANO HA MOSTRATO IL TABELLONE DEI DAZI GLOBALI - PRIMA DELLE TARIFFE, IL VIAGGIO AVEVA UN SENSO, MA ORA CHE PUÒ OTTENERE DA UN MEGALOMANE IN PIENO DECLINO COGNITIVO? DALL’UCRAINA ALLE SPESE PER LA DIFESA DELLA NATO, DA PUTIN ALLA CINA, I CONFLITTI TRA EUROPA E STATI UNITI SONO TALMENTE ENORMI CHE IL CAMALEONTISMO DI MELONI E' DIVENTATO OGGI INSOSTENIBILE (ANCHE PERCHE' IL DAZISMO VA A SVUOTARE LE TASCHE ANCHE DEI SUOI ELETTORI) - L'INCONTRO CON TRUMP E' UN'INCOGNITA 1-2-X, DOVE PUO' SUCCEDERE TUTTO: PUO' TORNARE CON UN PUGNO DI MOSCHE IN MANO, OPPURE LEGNATA COME ZELENSKY O MAGARI  RICOPERTA DI BACI E LODI...