INFRASTRUTTURE DA PAZZI – IL CROLLO DEL VIADOTTO SULL’AUTOSTRADA DEI BENETTON ACCENDE UN FARO SULLE OPERE PUBBLICHE: PER CANTIERARNE UNA I BUROCRATI IMPIEGANO 1500 GIORNI – IN COMPENSO PER IL PONTE SULLO STRETTO GIA’ SPESI 350 MILIONI
Sergio Rizzo per il Corriere della Sera
Al di là della facile metafora a proposito del Paese che crolla, due cavalcavia venuti giù nel giro di quattro mesi e mezzo con tre morti e sei feriti, portano a una conclusione perfino ovvia: le strade italiane non attraversano il loro periodo migliore di forma.
È così dal Nord al Sud, come appare evidente a chi le percorre tutti i giorni. Le ragioni sono molteplici. A cominciare dalla cronica carenza di risorse. Per continuare con la scriteriata frammentazione delle competenze fra Stato, Regioni e quel che resta delle Province. E concludere con la ordinaria follia degli appalti made in Italy.
L' AUMENTO DELLE TARIFFE
Tutto questo vale però per la struttura viaria normale, quella cioè dove non si paga il pedaggio. Se invece parliamo delle autostrade, la musica è completamente diversa. Lì, intanto, i soldi non mancano di sicuro. Ogni primo gennaio che Dio manda sulla terra c' è una sola certezza: l' aumento delle tariffe autostradali. È successo anche all' inizio di quest' anno, con rincari che vanno dallo 0,24% dell' autocamionabile della Cisa al 7,88% della Bre.Be.Mi., passando per lo 0,64% della società Autostrade che gestisce anche il tratto dove si è verificato ieri il drammatico crollo.
La motivazione con cui vengono regolarmente autorizzati dallo Stato gli aumenti è la necessità di far fronte ai lavori di adeguamento della rete e alle manutenzioni, che dunque pagano gli utenti di tasca propria. Senza che per giunta l' autorità dei Trasporti, esclusa dalla partita in base alla legge (!), possa arginare le pretese di una lobby fra le più potenti che esistono. Le sovrapposizioni di competenze, poi, qui non hanno occasione di manifestarsi.
Quanto infine agli appalti, sono gestiti dalle concessionarie medesime e si è faticato non poco per ottenere la riduzione della percentuale di lavori che queste possono realizzare «in house» con proprie società.
Visto dunque da questa prospettiva il disastro di ieri, avvenuto mentre erano in corso lavori di allargamento della A14, non avrebbe niente a che vedere con quello di fine ottobre sulla strada che collega Milano a Lecco. Né con il crollo del viadotto Scorciavacche in Sicilia, all' inizio del 2015.
Ma neppure con i cedimenti strutturali del ponte sulla statale 115 fra Trapani e Agrigento o di quel pilone del viadotto Himera sulla Palermo-Catania. Meno che mai con la tragedia del ponte Italia sulla Salerno-Reggio Calabria, anch' esso venuto giù giusto due anni orsono. Se non fosse che la frequenza con cui si ripetono casi di questo genere non può non dare da pensare.
UN' OCCASIONE MANCATA
Ossessionati (giustamente) dal rigore di bilancio, tagliamo la spesa pubblica senza il necessario coraggio, per la paura di incidere la carne viva o il timore di toccare interessi intoccabili. Continuando così a sprecare lo stesso un sacco di soldi ma al tempo stesso smettendo di prenderci cura del nostro Paese. Un esempio?
L' ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli aveva stimato un risparmio della bolletta elettrica del Paese di 300 milioni l' anno soltanto adeguando il livello eccessivo della nostra illuminazione notturna a quello degli altri Paesi. Con 300 milioni l' anno si potrebbe pagare una manutenzione in profondità di qualche centinaio di chilometri di strade, o contribuire a finanziare un piano straordinario nazionale di riassetto idrogeologico del costo stimato in 1,5 miliardi. Inutile dire che la proposta di Cottarelli, insieme a tante sue altre, è caduta nel vuoto. Tipico di un Paese strabico e allergico al buonsenso.
LO SPRECO DELLA LUCE
Dunque teniamo troppe luci inutili accese ma non curiamo le infrastrutture, che ne hanno un bisogno disperato. Non curiamo nemmeno un territorio fragilissimo, e fatalmente un terremoto distruttivo in media ogni cinque anni ci presenta l' inevitabile conto astronomico: in termini di vite umane, di patrimoni storici e artistici inestimabili andati perduti e di denari per rimettere in piedi città e borghi antichi.
Incapaci di comportarci come un buon padre di famiglia che tutti i mesi deve far quadrare il bilancio, mentre i viadotti crollano per l' incuria o la sciatteria riusciamo a spendere per le poche strade e ferrovie che costruiamo somme elevatissime rispetto agli altri Paesi sviluppati. Impiegando anche tempi enormemente superiori. Le statistiche dicono che per cantierare un' opera pubblica del valore di oltre 50 milioni servono al Sud non meno di 1.500 giorni. E confermano che un chilometro di autostrada o di alta velocità ferroviaria costa qui in media oltre 30 milioni, il triplo che in Francia o Spagna.
Il bello è che a questa assurdità nella quale tutti sono coinvolti, dalle burocrazie delle varie amministrazioni alle imprese, nessuno ha mai voluto concretamente metterci mano. Valanghe di parole, diluvi di convegni, slavine di promesse. Il risultato? Al massimo qualche toppa, talvolta rivelatasi peggiore dello stesso buco, ed è ancora troppo presto per dare un giudizio compiuto sul nuovo codice degli appalti.
Il progetto del Ponte sullo Stretto
GLI EFFETTI DELLA CORRUZIONE
Per non parlare degli effetti della corruzione: quattro anni fa uno studio del governo di Mario Monti era arrivato alla conclusione che il malaffare fa lievitare mediamente del 40 per cento il costo delle opere pubbliche. Di quelle che si realizzano, ovviamente. Perché nell' Italia dove i viadotti cadono come le mosche succede che si siano già spesi 350 milioni, con il rischio di arrivare fino a un miliardo, per un ponte che non si farà mai. Quello che avrebbe dovuto attraversare lo Stretto di Messina, e avrà fatto lavorare certamente più gli avvocati che gli ingegneri.