L’ANNO DEL DRAGONE – FINO AL 2012 GLI INVESTIMENTI CINESI IN ITALIA ERANO PARI A 147 MILIONI. NEL 2014, QUASI 3 MILIARDI IN TLC, ENERGIA E INDUSTRIA E ORA, DOPO PIRELLI, IL PROSSIMO COLPO POTREBBE ESSERE BORSALINO
Gianluca Paolucci per "La Stampa"
La prossima preda potrebbe essere Borsalino. Una delle sei cordate che (finora) si sono fatte avanti per mettere le mani sullo storico marchio del Made in Italy è infatti cinese. Niente di sorprendente, se si considera che lo scorso anno l’Italia è stato il secondo Paese in Europa per ammontare di investimenti cinesi. Da Pechino, secondo i calcoli di Bloomberg, sono arrivati quasi 3 miliardi di euro, l’Italia è seconda solo alla Gran Bretagna.?
Più curiosa, piuttosto, un’altra circostanza. Se mai dovesse andare in porto, l’affare Borsalino rappresenterebbe quasi un’eccezione nello shopping cinese in Italia. Che invece di comprare i «gioiellini» - veri o presunti - della moda e dell’alimentare Made in Italy come hanno fatto a mani basse dagli arabi ai francesi, ha preferito concentrarsi su settori molto meno glamour. Industria, energia, infrastrutture, telecomunicazioni. A parte Krizia (pagata 35 milioni) o l’8% di Ferragamo, gli olii d’oliva Sagra e Berio o gli yacht Ferretti (75 milioni), l’elenco degli investimenti di Pechino in Italia è fatto di nomi meno noti, ma ben più pesanti.
riccardo bocca twitta renzi con tronchetti afef e naomi
Praticamente ignorato il mattone amato da arabi e fondi Usa, il principale investimento fatto finora è il 35% di Cdp Reti, pagato 2,1 miliardi dal gigante pubblico State Grid Corporation. Cdp Reti è una società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti che, a sua volta, detiene i pacchetti di controllo di Terna e Snam. Ovvero la rete elettrica del Paese e il sistema di approvvigionamento, stoccaggio e distribuzione del gas in Italia.
Poi c’è il 40% di Ansaldo Energia, passato da Finmeccanica a Shanghai Electric Group. E ancora, l’ingresso della People’s Bank of China in una lunga serie di società quotate, sempre prendendo poco più del 2% del capitale. Ovvero, la soglia che fa scattare l’obbligo di dichiarare il possesso dei titoli. L’elenco è questo: Eni, Enel, Fca, Telecom Italia, Prysmian, Generali. Un segnale di presenza, diciamo. Letto dagli ottimisti come manifestazione di fiducia nel sistema-Paese, ma che ha sollevato anche qualche interrogativo. ?
tian guoli presidente di bank of china
Di certo non c’è nessun dossier di vendita di asset italiani che non faccia un giro dalla parti di Pechino, Hong Kong o Shanghai. Oltre a Borsalino, un gruppo cinese starebbe valutando ad esempio il Molino Stucky, hotel veneziano già di Bellavista Caltagirone. Ultimamente va di moda anche il calcio, per dire: fantomatici compratori cinesi appaiono qua e là praticamente in ogni trattativa, senza escludere Inter prima e Milan adesso. L’unico affare andato in porto nel mondo del pallone, guarda caso, è quello che ha visto il passaggio della società che detiene i diritti della Serie A, la Infront, al gruppo Dalian Wanda, guidato da un ex militare. Valutazione, secondo le indiscrezioni, un miliardo di euro.?
Altro elemento certo è che l’amore per l’industria italiana è scattato di recente: secondo i dati della Farnesina, fino al 2012 il flusso degli investimenti diretti in Italia dalla Cina era pari a 147 milioni di euro. Cosa è cambiato in pochi anni nella visione di Pechino - da rilevare che gli investimenti più importati provengono da imprese statali - che ha reso l’Italia così appetibile? «Dopo anni di crisi, forse il gigantesco cartello “Saldi” appiccicato sopra la Penisola», scherza un banker.