L’OPERAZIONE MPS-MEDIOBANCA LA PAGANO I CONTRIBUENTI – L’OBBROBRIO PARTORITO DAL GOVERNO CON CALTAGIRONE E DELFIN PREVEDE 2,9 MILIARDI DI CREDITI FISCALI PER LA BANCA SENESE (CIOÈ GETTITO FISCALE IN MENO NEI PROSSIMI DUE ANNI)– DELLA VEDOVA (+EUROPA): “MELONI ENTRA A GAMBA TESA NEGLI EQUILIBRI DI MERCATO, SCHIERANDO IL SUO GOVERNO ALLA TESTA DI UNA ARDITA OPERAZIONE FINANZIARIA…”
Mps: da ops su Mediobanca utilizzo 2,9 mld Dta, a regime sinergie per 700 mln
LUIGI LOVAGLIO - FOTO LAPRESSE
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - L'aggregzione tra Mps e Mediobanca, se realizzata, permettera' "di beneficiare del valore delle Dta di Mps" e il nuovo Gruppo sara' "in grado di accelerare l'utilizzo di 2,9 miliardi di Dta nei prossimi sei anni, con 0,5 miliardi all'anno e un significativo beneficio di capitale".
Lo si legge nella nota di Mps con cui la banca senese annuncia il lancio di una ops su Piazzetta Cuccia. Il nuovo Gruppo, inoltre, beneficera' "di sinergie ante imposte a regime per circa 700 milioni all'anno, di cui circa 300 milioni rappresentate da sinergie di ricavo, circa 300 milioni da sinergie di costo e circa 100 milioni da sinergie di funding".
Mps-Mediobanca, Della Vedova: Meloni mette cappello su ardita operazione
(askanews) - "Meloni si scopre banchiere e mette il cappello e la faccia sulla scalata ostile a Mediobanca da parte di MPS, di cui il Tesoro è il primo azionista, in un gioco che dovrebbe arrivare al controllo di Generali.
giorgia meloni e giancarlo giorgetti foto lapresse 1
Quindi Meloni, cresciuta anche elettoralmente nella propaganda ostile ai 'poteri forti' e contro le banche avide, oggi entra a gamba tesa negli equilibri di mercato, schierando il suo Governo alla testa di una ardita operazione finanziaria basata su catene di controllo e partite fiscali, le DTA di cui MPS è portatrice dal periodo in cui le perdite venivano coperte dai contribuenti e che porterebbero al nuovo gruppo a non pagare nemmeno le tasse che Mediobanca paga oggi e pagherebbe sugli utili; legittimo, ovviamente, ma un po' paradossale essendo una decisione dello stesso MEF". Lo afferma il deputato di Più Europa Benedetto Della Vedova.
benedetto della vedova foto di bacco (2)
"Meloni - prosegue - ha già detto che l'operazione va bene, prima ancora che sia il mercato a chiarire se i valori messi in campo e le strategie industriali si riveleranno congrue oppure no. Peraltro, l'uscita di oggi della Presidente del Consiglio, getta un'ombra sulla minaccia del Golden Power contro UniCredit nella scalata a BPM, oggi socio del MEF nell'operazione MEDIOBANCA. Meloni arbitro e giocatore della finanza italiana: non va bene. Prima il Governo privatizzi definitivamente MPS, poi i soci privati facciano ciò che meglio ritengono. Chiedo a Meloni: se poi l'operazione che lei oggi si intesta dovesse essere rifiutata dal mercato, che fa? Chiede a Giorgetti di dimettersi?", conclude Della Vedova. Pol/Arc
LE MANI DELLA DESTRA SUL TESORO DEL CREDITO E L’OBIETTIVO GENERALI
Estratto dell'articolo di Francesco Manacorda per "la Repubblica"
https://www.repubblica.it/economia/2025/01/25/news/mps_mediobanca_offerta_ultime_notizie-423960293/
[…] È la guerra dei due mondi […] ed è ovviamente una guerra che punta a un bottino ben preciso: le Generali di Trieste, la compagnia assicurativa dove Mediobanca ha poco più del 13% e che gestisce oltre 800 miliardi di risparmi dei suoi clienti. Soldi che molti vorrebbero governare.
Uno scontro legittimo, con i suoi protagonisti: Francesco Gaetano Caltagirone, grande costruttore romano, collezionista di antiche monete imperiali, ha investito da tempo prima nelle Generali e poi in Mediobanca: oggi ha appena meno del 7% della compagnia e il 7,5% di piazzetta Cuccia. Accanto a lui, da anni, prima il patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio e adesso i suoi eredi: in Generali sono a un soffio dal 10%, in Mediobanca appena sotto il 20%.
Forti della loro quota complessiva, i due grandi soci, hanno a lungo cercato di entrare nella stanza dei bottoni della banca e della compagnia. Ma finora senza risultati.
Quella Mediobanca che con Enrico Cuccia fu la regista dei patti di sindacato e delle piramidi societarie, sotto la guida di Alberto Nagel si è infatti aperta al mercato e si è chiusa alle richieste dei grandi soci.
La strada migliore per guidare l’istituto fuori da possibili conflitti d’interesse e assicurare soddisfazione a tutti gli azionisti – è il mantra di Nagel, da diciassette anni amministratore delegato – è quella di avere un cda il più possibile indipendente; tanto da far presentare la lista da proporre agli azionisti ogni tre anni per il rinnovo del consiglio allo stesso cda uscente.
Una linea che Mediobanca ha usato in casa e che ha appoggiato anche in Generali, mentre piazzetta Cuccia cambiava pelle: non solo banca d’investimento, ma anche credito al consumo e della gestione del risparmio. Dietro lo schermo dell’indipendenza del cda – ribattono dal fronte avverso – si mantiene lo status quo : Nagel appare inamovibile e in Generali – è la tesi – continua a comandare Mediobanca.
[…] Il problema è che l’arbitro – l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni – si è messo la maglietta di una delle due squadre ed è sceso in campo. Il primo passo a inizio 2023, quando un emendamento al disegno di legge sul mercato dei capitali, presentato pone vincoli strettissimi alla lista del cda. Accolta con grande favore da Caltagirone, quella norma diventa legge.
Poi, quando il 25 novembre scorso l’Unicredit lancia la sua offerta per comprare Banco-Bpm, le cose si fanno davvero tempestose. Nei piani del governo, infatti, Banco-Bpm dovrebbe unirsi a Mps e dare vita al “terzo polo” bancario italiano, fortemente connotato in senso nazionale.
giorgia meloni giancarlo giorgetti foto lapresse
Per questo il Mef ha appena venduto, a inizio novembre, le quote della banca senese eredità del salvataggio pubblico: al Banco-Bpm il 5%, a Caltagirone un altro 5%, agli eredi del Vecchio quasi il 10%. E lo stesso ministero rimane il primo azionista, con l’11,7%%. Ecco così che, quando si concretizza l’offerta di Unicredit su Banco-Bpm, il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti annuncia subito di essere pronto a utilizzare il golden power – i poteri speciali del governo in caso di acquisizioni estere che minaccino la sicurezza nazionale – contro la banca offerente.
Scarsa la portata legale dell’esternazione, forte quella politica: il governo si è visto sfumare sotto il naso l’opportunità di trasformare la banca che fu del Pci nel “suo” istituto e non è contento.
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Nelle stesse settimane un altro fronte si apre: il cda delle Generali, con l’ad Philippe Donnet, studia un dossier per unire in una joint venture con i francesi di Natixis, i rispettivi patrimoni di risparmio gestito.
[…] No, è un esproprio del risparmio italiano, ribattono – in minoranza – i consiglieri che fanno capo a Caltagirone e ai Del Vecchio. Di nuovo da Palazzo Chigi si agita lo spettro minaccioso del golden power, mentre uno schieramento politico solidamente radicato nella maggioranza, ma che sconfina anche a sinistra, si straccia le vesti per il rischio – un rischio che non esiste, assicura Donnet – di cedere il risparmio italiano allo straniero.
MPS - MEDIOBANCA - UNICREDIT - BANCO BPM - GLI INTRECCI
È il momento giusto per partire con un’operazione che provi a risolvere le cose una volta per tutte: Mps, con l’indispensabile appoggi dell’azionista pubblico, lancia un’offerta di sue azioni ai soci di Mediobanca per fondere piazzetta Cuccia nella banca senese. Deciderà il mercato, si spera. Ma intanto lo Stato è diventato banchiere d’assalto. E non è una buona notizia.