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LETTA E SACCOMANNI PROVANO A SFORBICIARE DEL 25% GLI STIPENDI DEI MAGNAGER DI STATO (MA CON MILLE CAVILLI PER EVITARLO)
Flavia Amabile per "la Stampa"
Si sta studiando un sistema «differenziato» per porre un tetto agli stipendi dei manager. Con un emendamento al decreto del Fare presentato dal governo nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato il governo prova a riproporre una norma che da due anni non riesce a farsi strada in Parlamento.
L'emendamento, fortemente voluto dal governo e dal sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta, anche stavolta non vede d'accordo tutti i gruppi politici. E nella seduta fiume della notte si proverà a raggiungere l'intesa definitiva sul testo. Per il momento la norma prevede che il tetto ai compensi dei manager non si applichi soltanto alle società controllate da capigruppo con titoli azionari quotati. Per le società quotate a controllo pubblico si prevede una riduzione del 25% dei compensi, ma solo in sede di rinnovo degli organi di amministrazione.
Le novità , secondo il testo del governo, si applicano dal primo rinnovo successivo all'entrata in vigore della legge, tranne se nei 12 mesi precedenti già si siano adottate riduzioni dei compensi «almeno pari» a quelle previste con la nuova norma.
Per le società emittenti titoli azionari quotati, in sede di rinnovo degli organi di amministrazione, si prevede che venga sottoposta all'approvazione dell'assemblea degli azionisti una proposta in materia di remunerazione degli amministratori con deleghe conforme ai criteri richiamati, con l'obbligo per l'azionista di controllo pubblico, di votare favorevolmente alla proposta.
La proposta di modifica prevede inoltre il divieto per tutte le società a controllo pubblico, ad eccezione di quelle emittenti titoli azionari quotati e loro controllate, di corrispondere agli amministratori con deleghe bonus, indennità o benefici economici di fine mandato. La disposizione pone anche l'obbligo per gli amministratori con deleghe di riversare i compensi percepiti per incarichi in società controllate o partecipate.
Intanto, finalmente una buona notizia sul versante fiscale. Con la pubblicazione di una circolare dell'Agenzia delle Entrate, d'ora in poi chi verserà le imposte dovute per il saldo, il primo acconto Irpef, Ires e Irap in ritardo, ma entro i 30 giorni successivi alla scadenza e in misura inferiore al dovuto verranno almeno in parte «graziati».
In particolare, secondo quanto comunica una nota dell'Agenzia delle Entrate, sia le eventuali sanzioni in caso di controlli (30%) sia quelle ridotte previste per il ravvedimento operoso, vanno calcolate solo sull'importo residuo non pagato, senza distinzione fra imposta e maggiorazione dello 0,40%.
Così, il contribuente che si accorge di aver commesso un errore ha a disposizione due scadenze per mettersi in regola attraverso l'istituto del ravvedimento operoso, a patto che l'Amministrazione finanziaria non abbia già iniziato un'attività di controllo. Potrà , cioè, versare tributi e relativi interessi entro i 30 giorni successivi alla scadenza, beneficiando così dell'agevolazione della sanzione ridotta al 3% dell'importo versato in ritardo, oppure entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno in cui è stata commessa la violazione; in questo caso, la sanzione passa al 3,75%.
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