CRAC & THE CITY - LA LONDRA FINANZIARIA È GIÀ PRONTA ALLA MORTE DELL’EURO E A RISPOLVERARE GLI SCAMBI DI TITOLI NELLE VECCHIE VALUTE - DEUTSCHE BANK E AXA HANNO GIÀ INIZIATO A FARE TEST: SE L’EURO SPARISSE LA CITY CONTINUEREBBE A SCAMBIARE DALL’ISTANTE SUCCESSIVO - MA L’APOCALISSE NON SAREBBE INDOLORE: PER LE SOLE BANCHE BRITANNICHE IL COSTO DI UN EURO-CRAC SAREBBE TRA 75 E 100 MLD DI STERLINE, SENZA CONTARE STRUMENTI DERIVATI PER I QUALI STIMARE GLI EFFETTI È MOLTO PIÙ COMPLICATO…

Gianluca Paolucci per "la Stampa"

Basta girare un interruttore». Un gestore di fondi basato a Londra, con asset in gestione per circa 10 miliardi di euro sull'azionario europeo, sintetizza così come la City si stia preparando da tempo allo «scenario peggiore»: il breakup dell'euro, la fine della moneta unica. La chiacchierata si svolge in uno dei tanti pub intorno a Liverpool Street, dopo le sei strapieni di ragazzi in abito grigio con una pinta di birra in mano appena usciti dal loro ufficio nel vecchio cuore finanziario della città. Il nostro interlocutore spiega come la più importante piazza finanziaria del mondo, Londra appunto, viva queste giornate di tensione sull'eurozona.

Nella fase più acuta della crisi - dice -, tra novembre e inizio dicembre, grandi gruppi come Fidelity - il più grande gestore di fondi del mondo, con oltre 1600 miliardi di asset in gestione banche come Deutsche Bank o gruppi assicurativi come Axa hanno «rispolverato» i vecchi sistemi di trading pre-euro e hanno iniziato a fare test. Ipotizzando che da un giorno all'altro la tedesca Bayer torni ad essere scambiata in marchi, la francese Bnp Paribas in franchi e le italiane Eni o Enel in lire. Con un sistema di cambi fissi, come nella fase che ha preceduto l'introduzione della moneta unica.

«In teoria, ma solo in teoria, se l'euro finisse di esistere la City continuerebbe a fare scambi dall'istante successivo», spiega un trader di una importante banca americana. «Questo metterebbe al riparo l'industria della finanza londinese da uno stop dell'attività, che tra l'altro aggiungere problemi a problemi». Hsbc, una delle più grandi banche mondiali, lo ha detto più o meno chiaramente pochi giorni fa: noi possiamo essere pronti. Icap, la principale piattaforma di scambio tra dealer per capitalizzazione di mercato - basata a Londra ovviamente - è pronta da metà dicembre.

Dell'argomento si è interessata anche la Fsa, l'equivalente londinese della Consob, che con grande discrezione ha chiesto alle istituzioni finanziarie basate nella capitale britannica di procedere con i test. In pratica, il sistema pre-euro è stato ripristinato come «backup», pronto ad entrare in funzione se tutto andasse male. E se ad uscire fosse solo la Grecia?

«Credo che non ci sarebbero problemi, basta utilizzare il backup solo per gli scambi in dracme. Anche se sinceramente vorrei conoscere quel mio collega che iniziasse a comprare Sirtaki-bond in quel caso». Tutto tranquillo dunque? «No, non direi. Questa è la City, poi c'è tutto il resto». Il premier britannico David Cameron ha detto appena mercoledì scorso ai Comuni che la situazione dell'eurozona «porta grandi rischi per tutti». Secondo una stima della Fsa circolata nei mesi scorsi per le sole banche britanniche il costo diretto di un euro-crac sarebbe tra 75 e 100 miliardi di sterline, senza contare strumenti derivati e prodotti overthe-counter per i quali stimare gli effetti è molto più complicato.

Doug McWilliams, del Center for Economic and Business Research, stima in 300 miliardi di dollari, pari a circa il 2% del pil dell'eurozona, l'onere per l'uscita «ordinata» della Grecia dall'euro. Ma un collasso disordinato porterebbe perdite per circa 1000 miliardi, pari al 5 per cento del prodotto interno lordo totale dei paesi che adottano la moneta unica. E' il numero, enorme, che il Guardian metteva ieri in prima pagina.

Anche se i governi restano spiazzati, la City il piano B ce l'ha già. Ma questo non sembra tranquillizzante. Fino a qualche giorno fa, in uno di questi pub poteva capitare d'incontrare anche qualcuno del team di Bruno Iksil, «la balena di Londra», quello che con le sue scommesse sui derivati sintetici ha fatto perdere circa tre miliardi di dollari a Jp Morgan. «Tieni presente che se un derivato è una salsiccia fatta con tanti pezzi di carne diversa, i derivati sintetici sono una salsiccia fatte con tante salsicce. E pensa che il suo desk doveva occuparsi di coprire i rischi presi dalle altre divisioni».

 

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