FAME DA DRAGONE – I CINESI HANNO MESSO LE MANI SULL’ENERGIA ITALIANA E HANNO SEMPRE PIÙ VOGLIA DI ASSET TRICOLORI IN SVENDITA – PER GLI ESPERTI SI CONCENTRERANNO SULL’ENERGIA
Paola Jadeluca per “Affari & Finanza - la Repubblica”
Dalla Cina all’Italia, passando per la Russia. Nella nuova ondata di acquisizioni da parte della Cina infrastrutture ed energia sono diventati gli asset più appetibili. E l’Italia, in fase di dismissioni, è entrata nelle mire di espansione del Dragone in questi settori. Gas ed elettricità sono ora nel portafoglio degli investimenti cinesi esteri dopo l’acquisizione del 35% di Cdp Reti da parte di State Grid Corporation of China, la più grande società elettrica al mondo, di proprietà dello Stato. Cdp Reti, controllata dalla Cassa depositi e prestiti, ha il 30% di Snam, il gruppo del gas e dei gasdotti, e il 30% di Terna, l’operatore delle linee elettriche. E per la campagna acquisti arriva in Italia il premier Li Keqiang.
L’operazione, del valore di 2 miliardi, si è conclusa in piena estate. Il deal di gran lunga maggiore, dopo una serie di acquisizioni di piccole quote, poco superiori al 2%, in Eni, Enel e anche Telecom. Altra operazione più consistente, in termini di partecipazioni, è stata quella siglata tra Shanghai Electric, colosso mondiale nella produzione di macchinari per la generazione di energia e attrezzature meccaniche, con il Fondo Strategico Italiano per rilevare il 40% di Ansaldo Energia, pari a 400 milioni. Siamo solo agli inizi. La fame di materie prime ha da tempo portato i cinesi in Africa, ricca di risorse. Una vera e propria colonizzazione, considerata l’estensione delle acquisizioni e partecipazioni in questo continente.
Il China Global Investement Tracker – compilato da The American Enterprise Institute e The Heritage Foundation, due think tank Usa – ha seguito le tracce degli investimenti cinesi nel mondo, disegnando una mappa che riflette una precisa strategia di espansione. Acciaio, rame, alluminio e minerali vari in Australia. Energia idrica in Cambogia e Myanmair. Metalli in Filippine e Indonesia. Energie alternative in Usa e a Singapore. Ancora rame in Cile e Perù. Ovunque ci sia petrolio, dall’Iran al Venezuela. Le rotte del gas portano invece dall’Indonesia all’Iran, dal Canada al Kazaksthan.
Una ragnatela di investimenti che attraversa vari continenti. Nella marcia di integrazione nell’economia globale, ora la Cina sta passando dalle economie emergenti a quelle mature, e scommette sull’Europa. «Gli investimenti diretti possono diventare il principale motore della partnership tra Cina e Unione Europea», sostengono gli analisti di Deutsche Bank. Finora i flussi hanno seguito principalmente una direzione, dall’Ue verso la Cina, dove il Vecchio Continente è il più grande investitore.
La rotta si sta per invertire. I paesi Ue, come l’Italia e la Francia, sono indebitati e persino la Germania perde punti di Pil. La Cina, secondo le elaborazioni del Cesif, centro studi di Fondazione Italia-Cina, contava meno dell’1%, salito al 2% nel 2013, dello stock di capitale straniero globale, ma nei prossimi dieci anni è prevista una forte accelerazione. E l’Italia, come rivela un’inchiesta del Financial Times, è al primo posto nelle mire di espansione. In passato erano state le griffe del lusso o i marchi fashion del Made in Italy ad attrarre risorse.
Adesso è la volta di asset più rilevanti. «La principale concentrazione dei nuovi investimenti cinesi è diretta principalmente verso l’energia», spiega Frank Jurgen Richter, presidente di Horasis, organizzazione internazionale indipendente che da dieci anni organizza il Global China Business Meeting che quest’anno si terrà in Italia, in collaborazione con lo studio Ambrosetti. Proprio durante i giorni in cui è previsto l’arrivo in Italia del premier cinese Li Keqiang per la sua prima visita nel nostro Paese. L’Italia non ha grandi risorse naturali, ma i nostri gruppi sono impegnati in progetti internazionali nel settore dell’energia, dall’Africa alla Russia.
E, guarda caso, Li Keqiang arriverà in Italia dopo aver fatto una prima tappa in Russia, paese con il quale sono in corso negoziati per la realizzazione della grande rete dei gasdotti per pompare in Cina 38 milioni di metri cubi di gas all’anno. E sulle rotte dei gasdotti si incontrano anche le aziende italiane. Vale un appalto di 2 miliardi la costruzione della prima linea del tratto offshore del South Stream, il mega-gasdotto con cui la russa Gazprom promette di portare il metano in Europa bypassando l’Ucraina, appalto vinto in marzo dall’italiana Saipem, la controllata che l’Eni si accinge a vendere e che, secondo i rumor, potrebbe essere la potenziale preda del prossimo shopping cinese.
Perché no? La holding Eni, in fondo, ha già condotto in porto una maxioperazione in Monzambico con i cinesi. Un’alleanza che potrebbe portare lontano. «Le mani dei mandarini su asset strategici»: da più parti è scattato il warning. Gasdotti e altre reti, infatti, sono considerati infrastrutture sensibili. «Sono anche gangli di informazioni e l’Italia potrebbe diventare la porta d’accesso al più grande network di reti europee», commenta Francesco Galietti, Founder & Ceo di Policy Sonar, società di consulenza specializzata nell’analisi dei rischi politici e regolatori. Un timore non infondato: l’energia è come la tessera fedeltà del supermercato, profila gli utenti, fornisce informazioni.
Se dall’energia si passa alle Tlc o addirittura agli organi di informazione – secondo i rumor potrebbero essere future prede – i dati diventano ancora più sensibili. Ma come insegnano scandali famosi, vedi il caso Murdoch, lo spionaggio lo fanno anche gli occidentali. «Io credo che le acquisizioni cinesi siano trainate più da motivazioni economiche, piuttosto che politiche», racconta da Zurigo Shi Cortesi Jian, gestore del JB Asia Stock Fund di Swiss & Global, una cinese che si è formata nei campus americani ed è sposata a un italiano. Spiega Shi Cortesi: «Il mercato cinese per diverse industrie sta diventando molto competitivo e i ritorni sono molto bassi.
La situazione economica in Italia, come in Spagna e Portogallo, consente agli investitori cinesi di comprare a prezzi allettanti con la promessa di alti ritorni. Negli ultimi anni è partita la caccia agli asset di altri paesi che possano generare ritorni 2 o 3 volte superiori a quelli in Cina. Questa la motivazione alla base della stessa acquisizione in Italia da parte di China Power Grid». Go Global, è il diktat dell’Undicesimo piano quinquennale che ha prodotto una forte semplificazione burocratica e un massiccio supporto finanziario e legale alle imprese, per lo più statali, per realizzarlo. Un’integrazione che si sta realizzando anche nel real estate, nelle tlc, nelle tecnologie.
E ancor di più nei trasporti, compresi porti e aeroporti. Gli analisti fanno notare che l’acquisizione del porto del Pireo da parte dei cinesi è funzionale alla creazione di un grande hub di ingresso via mare per le merci cinesi dirette in Europa. Un porto qui, un gasdotto là: i flussi degli investimenti danno corpo a un nuovo blocco economico-politico: Eurasia. Il nuovo mercato unico tra Russia, Bielorussia, Kazakistan e Armenia dal 1 gennaio 2015 cambierà la road map dell’economia globale.
L’unione corre anche sui binari: la Cina ha varato un piano che prevede l’utilizzo dei treni ad alta velocità per il trasporto merci tra Europa e Asia. In parte è già realtà: la tedesca Bmw, per esempio, utilizza i binari per far arrivare la propria componentistica auto da Lipsia a Shenyang: 11.000 chilometri in tre settimane. Li Keqiang fa la rotta inversa: dalla Russia all’Italia, con una tappa intermedia dalla premier tedesca Merkel.