NON TI AMOS PIÙ - GENISH FURIOSO CONTRO IL FONDO ELLIOTT CHE LO HA DISARCIONATO DA TIM: ''NON SAPRANNO COME GESTIRE LA SOCIETÀ, SONO NAIF. HANNO FATTO UN PUTSCH SOVIETICO MENTRE ERO IN COREA''. MA QUELLI VOLEVANO RISULTATI E INVECE VEDEVANO SOLO IL TITOLO CALARE - ''VIVENDI CHE FARÀ? NON POTRÀ ACCETTARE UN BOARD CHE NON LA TUTELI''
Marco Zatterin per la Stampa
«Non si sono comportati da gentiluomini». La voce di Amos Genish arriva forte e chiara dalla Corea, col tono sicuro di sempre nonostante l' evidente furia. Il cda della Tim lo ha appena sfiduciato eppure trova uno spunto lieve quando gli si chiede come gli vada all' altra parte del globo.
«Ogni giorno è un buon giorno, anche se alcuni sono più interessanti e altri meno, e questo lo è di più», dice il top manager israeliano. «È stata una mossa sorprendente e contraria alla corporate governance - confessa -: non si aiuta l' immagine dell' azienda se si allontana il ceo in questa maniera».
Ce l' ha con Elliott, il fondo americano che detiene quasi il 9% dell' ex Telecom Italia e che, auspicando lo spezzatino della società e l' unificazione della rete Tlc, parla come fosse il ventriloquo del governo.
Giudica il suo defenestramento come «un inatteso e anormale andamento delle cose, almeno per quanto riguarda la corporate governance di una grande azienda». Si sente tradito dal presidente Conti più che sorpreso. Preoccupato per il futuro, anche perché «i mercati sono nervosi» e ora potrebbe accadere il peggio.
Come è andata, Mr Genish?
«Mentre ero nel mezzo di un viaggio di lavoro in Asia per parlare di 5G - e dopo che il presidente mi aveva assicurato che non ci sarebbe stato un cda, tranquillizzandomi per le indiscrezioni di segno avverso che circolavano - ecco che ne convocano la riunione e fanno un vero putsch sovietico ai miei danni. Non c' era un' emergenza, potevano aspettare venerdì. Evidentemente, ci sono dei motivi per cui si sono sentiti a loro agio nel farlo mentre ero via. Con un preavviso di dodici ore...»
Chi è il colpevole?
«Gli americani di Elliott hanno condotto una campagna segreta per molto tempo cercando di destabilizzare me e la società. Hanno interferito col mio lavoro e la mia capacità di manager. Se guardiamo le decisioni prese e quelle no, è evidente che il board non mi ha mai sostenuto. Il punto interrogativo sulla mia permanenza ha complicato il quadro. Il contesto ostile ha permeato di disfunzioni l' ambiente societario. Se qualcuno è da biasimare per come vanno le cose, o per come non sono andate, è il consiglio».
Come sta la Tim?
«A guardare la performance delle società rispetto agli altri operatori, si vede che andiamo bene. Tutti gli analisti hanno riconosciuto negli ultimi dati trimestrali una capacità di essere resilienti alle difficoltà del mercato».
Però il cda le ha votato comunque contro.
«Possiamo chiederci se non sia tutto dovuto alle due filosofie che animano Tim. Una è quella di chi vuole lo spezzatino della società per vendere i diversi pezzi, come Elliott ha sempre dichiarato dall' inizio. L' altra è di chi, come me, immagina un gruppo industriale integrato orientato al pieno sfruttamento del potenziale tecnologico a partire dal 5G. Questi approcci si sono scontrati sin dall' inizio. Era impossibile lavorare. Elliott mi ha sempre promesso sostegno a parole e non lo ha mai fatto».
E' amareggiato?
«Più che altro preoccupato. Elliott non conosce il settore delle Tlc come lo conosco io, non ha piena consapevolezza delle sfide che ci attendono. L' ultima cosa che farebbe bene alla Tim è uno spezzatino. Non funzionerebbe. Creerebbe uno scenario di caos. Loro credono di avere la soluzione rapida per risolvere i problemi. Io dico che non è così».
Il governo ha una strategia compatibile con Elliott. Crede che siano d' accordo?
«Non conosco le intenzioni del governo, al di là delle dichiarazioni pubbliche. So che vogliono una sola rete, come me, del resto. Ho spinto molto per avviare delle collaborazioni in tal senso, con Open Fiber e non solo. Il problema è chi debba controllare la rete. Si sceglie Tim? Oppure si fa un vero "deconsolidamento" come vorrebbe Elliott?»
La sua risposta è la uno.
«E' la soluzione migliore per l' Italia, anche se non ho avuto la possibilità di discuterne col governo. Il quale dovrebbe ragionare sulle incognite dal punto di vista finanziario - la parte più rilevante del debito è legata alla Netco - e occupazionale -, il numero dei dipendenti della ServiceCo potrebbe rivelarsi difficile da sostenere. Quando se ne renderà contro, non potrà che ripensarci».
Cosa farà Vivendi?
«Non posso parlare per gli azionisti. Ma immagino che non possano andare avanti in una situazione in cui i loro interessi non sono tutelati».
Elliott non l' ha capita o non voleva capirla?
«Gli americani non hanno accettato di studiare quello che stavo proponendo, la DgTim e il piano di trasformazione del gruppo. Non hanno fatto alcuno sforzo. Erano insoddisfatti per la lentezza con cui procedevano certe cose e chiedevano sempre il deleverage finanziario, in fretta».
Cosa ne viene a Elliott? Il titolo non sta volando.
«Le azioni non sono rimbalzate. Il mercato è nervoso. Il guaio è che se aspettano il piano del nuovo board, dovrà attendere a lungo. È facile star fuori dal gioco e criticare. E' più dura essere al posto del conducente e dover dare risultati remunerando gli azionisti. L' atteggiamento degli investitori potrebbe mutare drammaticamente perché tocca a loro portare dei risultati. Adesso, non credo che potranno farlo andando nella direzione opposta a quella che avevo impostato. Anzi, potrebbero deteriorare Tim».
Non hanno un piano?
«La loro conoscenza della società è naïf o superficiale. Le intenzioni non sono basate sui idee dimostrate».
Si è sentito difeso da Vivendi?
«Sì. In pieno e senza dubbio. In ogni momento. Quanto accaduto dipende dal fatto che sono finito nel fuoco incrociato fra Vivendi e Elliott».
In Italia c' è un sentimento anti-straniero, «Italiani prima», si dice. C' entra col caso Tim?
«Mi piacerebbe pensare che non ci sia una questione di nazionalismo dietro la decisione. Viviamo in un' economia globale, sono un manager globale, con una speranza e una competenza globali. Detto ciò, fatico a capire le tante pulsioni "anti" che mi hanno colpito negli ultimi mesi, dentro e fuori il board».
Cosa farà?
«Resterò nel consiglio e lavorerò negli interessi degli azionisti. Seguirò gli eventi che, credo, ci saranno».
Ora torna in Italia?
«Ho cambiato i piani. Sono sul primo volo disponibile (oggi, ndr). Non so quando verrò in Italia, non ho impegni, in questo momento».