L’IMMANE SFIGA DI MPS – 2008: PER POCHE ORE IL MONTEPACCHI NON RIUSCI’ A VENDERE LE “SOFFERENZE” A LEHMAN BROTHERS
Vittorio Da Rold per Il Sole 24 Ore
I destini di Banca Mps e di Lehman Brother si sono sfiorati come due asteroidi nel cosmo dell'universo bancario nel lontano 2008, alla vigilia della bancarotta che segnò l'inizio della crisi economica globale. La vicenda è rimasta segreta e solo ora si è aperta una falla tra i pochi che la conoscevano e che l'hanno mantenuta riservata fino ad oggi. Ma andiamo con ordine.
Esattamente poco prima del fallimento della banca d'affari americana la banca del Monte dei Paschi di Siena era pronta a cedere il proprio portafoglio dei debiti in sofferenza per creare valore all'attivo e ridurre i costi di gestione interna. Una cessione che seguiva parzialmente le orme di quella fatta il 6 dicembre 2005 da Banca Intesa che aveva ceduto "pro soluto" circa 9 miliardi di euro di sofferenze lorde del gruppo a una società costituita da Fortress e Merrill Lynch.
Allo stesso tempo, Intesa Gestione Crediti, controllata di Banca Intesa, aveva perfezionato la vendita sempre a Fortress e Merrill Lynch dell'81% di Castello Gestione Crediti, società cui era stato in precedenza conferito il ramo d'azienda di Intesa Gestione Crediti inerente l'attività di gestione delle sofferenze. Insomma il deal era diventato nella mente dei dirigenti di Mps un modello da seguire. Così tutto sembrava ormai in dirittura d'arrivo.
Domenica 15 settembre 2008 a Siena tutto era pronto per accogliere i banchieri di Lehman Brothers, a quel tempo considerati i "maestri dell'Universo" in tema di riassetti bancari e da lì a poche ore avrebbero dovuto siglare l'accordo che avrebbe permesso a Mps di incassare un profitto e di cedere attivi problematici con un alleggerimento dei costi di gestione.
Ma il 15 settembre 2008 all'una e quarantacinque della notte tra domenica e lunedì, la Banca d'affari americana a sorpresa venne lasciata fallire dal Tesoro Usa che dopo aver salvato altri soggetti aveva pensato di lasciare al proprio destino una banca d'affari che non aveva filiali retail e, quindi, non avrebbe dovuto allarmare i piccolo risparmiatori. In realtà , la storia è andata in modo molto diverso, poiché i derivati e i bond di Lehamn Brother erano disseminati in tutti i portafogli che contavano nel mondo senza dimenticare anche quelli dei comuni italiani.
Derivati che, come "mine" ancora inesplose, ancora oggi deflagrano e fanno saltare qualche bilancio in giro per il mondo. Così quel deal tra Lehman e Mps saltò e la storia della banca senese prese una strada che avrebbe potuto essere molto diversa perché Siena avrebbe potuto avere una preziosa iniezione di liquidità che avrebbe forse potuto evitare altri fatali esercizi di finanza creativa.
A quel tempo Lehman era guidata da Richard Fuld, chiamato «il gorilla» per i suoi modi poco convenzionali al limite della rozzezza e nella lista delle più grandi banche d'affari, Lehman era considerata quarta dopo Goldman Sachs, Morgan Stanley e Merrill Lynch. Nessuno a quel tempo poteva sospettare che la divisione titoli immobiliari di Lehman, che aveva acquistato in massa i pericolosi ma ancora poco conosciuti "mutui subprime", operazione che avrebbe trascinato nel baratro tutta la struttura finanziaria con sede sulla 6th Avenue a New York.
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