POTERI IN MOVIMENTO – IN MEDIOBANCA LA POLTRONA DI NAGEL HA INIZIATO A TRABALLARE: BOLLORÈ E PALENZONA NON SI FIDANO PIÙ (SALGONO LE QUOTAZIONI DI STEFANO MARSAGLIA) – IL BLITZ FALLITO SU PATUANO E GRECO - I DESTINI (FRANCESI) DI TELECOM
DAGOREPORT
Ma quanto è solida la poltrona di Alberto Nagel ai vertici di Mediobanca? E’ questa la domanda che circola con insistenza nei salotti della finanza milanese dopo che l’ad di Piazzetta Cuccia sembra aver perso qualsiasi feeling con Vincent Bollorè e con Fabrizio Palenzona. Ovvero con i suoi due primi azionisti, visto che Unicredit controlla l’8,60% di Mediobanca e il gruppo Bollorè ha in mano il 7,96%.
ALBERTO NAGEL E SALVATORE LIGRESTI
Nagel, mentre era sotto inchiesta per la vicenda Ligresti, aveva deciso di “guardare all’estero” e allentare i legami con l’Italia. Si era praticamente trasferito a Londra in una sorta di finto esilio, ma va detto che le grandi banche d’affari britanniche non gli hanno fatto quasi toccar palla. E in autunno è tornato a Milano con la convinzione di poter fare il kingmaker della finanza italiana.
Il primo colpo, far fuori Rotolone Scott Jovane da Rcs, gli è entrato facile facile. Il protettore dell’ex ad della Rizzoli, John Elkann, aveva infatti deciso di mollare la patata bollente e si è affidato a Mediobanca. E Nagel ha tirato fuori dal cilindro il nome di Laura Cioli, sua grande protetta. Unico inconveniente della vicenda è che Scott Jovane è poi rapidamente approdato alla guida del gruppo Banzai, il cui secondo socio è un arcinemico di Nagel, ovvero Matteo Arpe.
Il secondo colpo, per ora, non è andato a segno ed è quello di far fuori Marco Patuano da Telecom Italia, dove Mediobanca è stata a lungo socia. Qui va detto, prima di spiegare la vera natura del legame tra Bollorè (che ha il 15% di Telecom) e Nagel, che il rapporto tra il finanziere bretone e l’ad di Telecom è mediato da Nagel stesso.
Nella battaglia contro Patuano, Nagel si è mosso di concerto con il presidente Giuseppe Recchi, suo compagno di immersioni. Per ora, il blitz è fallito per una serie di motivi: il mercato (e i fondi d’investimento) sostengono Patuano e il manager ha anche una discreta copertura “politica”, visto che è in ottimi rapporti con Claudio Costamagna, il banchiere che Matteo Renzi ha messo ai vertici della Cassa Depositi e Prestiti.
Non a caso, Patuano è molto favorevole al piano di investimenti sulla fibra ottica che è nel cuore del premier cazzaro, mentre Recchi è molto più freddo sul tema. E nella fattispecie ha anche pienamente ragione, perché Telecom non ha un vero interesse proprio a cablare tutta l’Italia.
Il terzo colpo, fallito anch’esso, era quello di togliere Mario Greco dalle Generali (primo azionista Mediobanca) e di spostarlo alla guida di Telecom Italia. Qui si è mosso in prima persona Bollorè, servendosi anche di Nagel, ma Greco non ci è cascato (Telecom è un bel casino, mentre il Leone va che è un piacere). E poi gli altri due grandi soci di Trieste, Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, si sono fieramente opposti.
MARIO GRECO AD ASSICURAZIONI GENERALI
La partita in Telecom è dunque apertissima. Chi gli ha parlato giura che Bollorè abbia un solo obiettivo: prendersi la società e basta, per poi magari fonderla in Orange. Adesso il finanziere bretone farà entrare quattro suoi uomini di fiducia nel cda Telecom perché vuole capire veramente come stanno le cose e che prospettive ha il gruppo italiano.
Anche Recchi è descritto da chi ci ha parlato come abbastanza spaventato e da un paio di settimane si spende per dire che lui e Patuano vanno d’accordo e che non è vero che l’ad non sapesse nulla della conversione delle azioni di risparmio che ha diluito il peso di alcuni soci.
marco patuano ad telecom italia
Nel consiglio Telecom continua intanto a sedere anche Laura Cioli e questa cosa ha mandato letteralmente in bestia Bollorè, che non capisce perché la manager non si dimette e ovviamente ne incolpa Nagel.
In effetti, Telecom e Rcs sono gruppi non direttamente concorrenti, ma si muovono entrambi nel campo dei contenuti editoriali e quindi la Cioli sarebbe “parte correlata”. Eppure il responso di alcune valutazioni legali fatte nel week-end in sede Telecom è che Cioli è sì parte correlata, ma non sarebbe in conflitto d’interessi. Una vera magìa italiana. Quindi resta dove sta, alla faccia di Vivendi.
LAURA CIOLIgiuseppe recchi saluta il pubblico
E ora torniamo da dove eravamo partiti, da Piazzetta Cuccia. Nelle ultime settimane i rapporti tra Palenzona e Nagel si sono molto raffreddati. Qualcuno arriva a dire che il banchiere di Unicredit si sarebbe sentito lasciato solo nella vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto, ma più probabilmente non condivide l’attivismo di Nagel da quando è tornato da Londra. I rapporti tra Palenzona e Bollorè, invece, sono ottimi.
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE E PALENZONA jpeg
E Bollorè, in definitiva, non si fida più di Nagel. La diffidenza parte da lontano, da due episodi mai dimenticati. Il primo è la detronizzazione di Antoine Bernheim dalle Generali, che secondo il finanziere bretone fu tradito proprio da Nagel. Il secondo è più recente e riguarda Fonsai, che Nagel pilotò verso Unipol invece che tra le braccia della francese Groupama.
STEFANO MARSAGLIA GIOCA A POLO
Se l’asse Palenzona-Bollorè stia per stringersi e convergere sulla poltrona di Nagel è ancora difficile da capire. Certo è che il vero uomo di Monsieur Vivendi in Piazzetta Cuccia ormai è il braccio destro di Nagel, il torinese Stefano Marsaglia.