SE NE VA A 81 ANNI ENNIO DORIS, FONDATORE E PRESIDENTE DI BANCA MEDIOLANUM - PENSIERI, PAROLE, OPERE E MISSIONI DEL PATRON AMICO-SOCIO DEL CAV: “MI SERVIVANO CAPITALI ENORMI, APPROFITTAI DI UN VIAGGIO A GENOVA PER PORTARE MIA MOGLIE A PORTOFINO. SUL PORTICCIOLO VIDI BERLUSCONI CHE PARLAVA CON UN PESCATORE CHE STAVA RIPARANDO LE RETI E...” – “CON SILVIO NON ABBIAMO MAI LITIGATO, È TROPPO BUONO E PER LUI L’AMICIZIA HA UN VALORE ASSOLUTO” – LE SCODELLE DI CAFFELATTE, I SUDOKU E L’AMORE MONOGAMO PER LINA: "'UN PO' TI INVIDIO', MI RIPETE SEMPRE BERLUSCONI. 'HAI TROVATO SUBITO LA..." - BERLUSCONI: "CI HA LASCIATO UN GRANDE UOMO, UN GRANDE PATRIOTA"
Si è spento alle due e 12 minuti di questa notte Ennio Doris, fondatore e presidente onorario di Banca Mediolanum. Lo annunciano la moglie Lina Tombolato e i figli Sara e Massimo, che "in questi giorni di lutto" desiderano "mantenere uno stretto riserbo", che chiedono a tutti di "voler rispettare".
I dipendenti e i collaboratori del gruppo, si legge in una nota, "si stringono uniti e partecipi attorno alla famiglia Doris e, con enorme commozione, rendono omaggio a Ennio Doris, grande uomo e straordinario imprenditore".
LA VITA DI ENNIO DORIS
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http://tgcom24.mediaset.itDa tgcom24.mediaset.it
Si è spento questa notte, all’età di 81 anni, Ennio Doris, fondatore e presidente onorario di Banca Mediolanum. Lo hanno reso noto la moglie Lina Tombolato e i figli Sara e Massimo. Nato il 3 luglio del 1940, per oltre quarant’anni è stato indiscusso protagonista della grande finanza italiana nonché imprenditore, banchiere e fondatore di Banca Mediolanum, una delle più importanti realtà del panorama bancario nazionale.
Sposato dal 1966 con Lina Tombolato, lascia due figli, Massimo e Sara,e sette nipoti: Agnese, Alberto, Anna, Aqua, Davide, Luna Chiara e Sara Viola. Nel 1992 gli viene conferita l’Onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e nel 2002 quella di Cavaliere del Lavoro. Sempre nel 2002 consegue il Master honoris causa in “Banca e Finanza” della Fondazione CUOA. Dal 2000 al 2012 ha ricoperto la carica di Consigliere in Mediobanca S.p.A. e di Banca Esperia S.p.A.
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Dal 1996 è stato Amministratore Delegato di Mediolanum S.p.A, holding del Gruppo, sino al 2015, anno della fusione per incorporazione in Banca Mediolanum. Fino a allo scorso 3 novembre 2021 Ennio Doris ha ricoperto la carica di Presidente di Banca Mediolanum, giorno nel quale è stato nominato, a seguito di delibera assembleare, Presidente Onorario. Ennio Doris ricopriva altresì la carica di Presidente Onorario di Fondazione Mediolanum Onlus.
Una vita costellata di successi - Nel 1969 inizia l’attività nel campo della consulenza finanziaria presso Fideuram, occupandosi di gestione dei risparmi delle famiglie e, dal 1971 al 1981, in Dival (Gruppo Ras), dove 2 partito con un gruppetto di collaboratori, in pochi anni arriva a gestire oltre 700 professionisti.
Nel febbraio 1982, dopo l’incontro a Portofino con Silvio Berlusconi e con il supporto imprenditoriale e logistico del Gruppo Fininvest, Ennio Doris fonda Programma Italia, la prima rete di consulenti globali nel settore del risparmio, con un’idea tanto semplice quanto potente e innovativa: “diventare il punto di riferimento della famiglia italiana per il risparmio”. Inventa così un nuovo modo di fare banca, avvicinando la finanza alle persone e creando un modello industriale precursore dei tempi. Nei primi anni Novanta “importa” dal Regno Unito l’idea di una banca senza sportelli, quando internet inizia a muovere i primi passi anche in Italia.
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Un’intuizione, anche questa, in cui scorge con lungimiranza le trasformazioni che ancora oggi investono profondamente il settore bancario. La sua è una scommessa sul futuro, un invito a non aver paura. Perché l’intelligenza e la capacità di costruire fiducia tra le persone resteranno al centro di tutto: “le filiali faranno la fine delle cabine telefoniche. Ma non sparirà la presenza umana” avrà modo di commentante negli anni successivi. Nella sua visione, infatti, questo innovativo modello di banca assegna un ruolo ancor più cruciale alle persone: “consulenti che guidano il cliente nelle scelte fondamentali della loro vita, in un mondo sempre più complesso”. Nel 1995 nasce Mediolanum S.p.A., la holding a cui fanno capo tutte le società del conglomerato del Gruppo, e questa riorganizzazione permette la quotazione in Borsa nel 1996 e, nel 1998, l’ingresso nel listino Mib30.
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Nel 1997 Programma Italia si trasforma in Banca Mediolanum, la più innovativa banca telematica d'Italia, nata senza sportelli, la prima a dare il servizio di home banking con telefono e il teletext con il televisore di casa, fondendo così le potenzialità dell’approccio tecnologico con la professionalità del 3 consulente finanziario.
ENNIO DORIS
Stefano Lorenzetto per il Corriere della Sera pubblicato da Dagospia
Dicono che la sua arma migliore sia il sorriso con cui persuade i clienti, arrivati alla cifra record di 1,5 milioni. Ma forse il segreto di Ennio Doris, 80 anni compiuti venerdì scorso, è un altro: lo sguardo dei Rizzardi, gli zii di sua madre Agnese.
Quello magnetico di Carlo, maestro elementare a Tombolo, nel Padovano, che ipnotizzò intere generazioni di bambini, 60 per volta, terza, quarta e quinta in un’unica classe.
«Entrava in aula, la cagnara cessava di colpo e chi stava per dare un calcio al compagno restava pietrificato con il piede a mezz’aria», ricorda divertito Doris. Non che l’altro zio, Giovanni, fosse da meno: una sera a cena fissò il gatto che lo molestava e il felino, terrorizzato, balzò fuori dalla finestra rompendo il vetro.
Per non parlare di mamma Agnese: «Le rare volte in cui discuteva con papà, lei a un certo punto lo trafiggeva con gli occhi e lui li distoglieva da sé gridando “fute, fute!”, le due paroline usate per far scappare il gatto».
Alberto Doris, il padre, era un mediatore di bestiame. Lo chiamavano El Vai, storpiatura di Edelweiss, le sigarette preferite, quelle con la stella alpina sul pacchetto.
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Suo figlio Ennio divenne «el fiólo del Vai carne», la ragione sociale di famiglia nel soprannome. A 10 anni avrebbe voluto abbracciare lo stesso mestiere. Una nefrite lo costrinse a cambiare strada: ragioniere. Oggi il fondatore di Banca Mediolanum può dire che si trattò di un colpo di reni per fare gol nella vita.
Però un po’ di stalla le toccò lo stesso.
«Per fortuna. Lì capii che il lavoro serve a dimostrare chi sei. Il venerdì alle 2 di notte davo alle vacche il bevarón, acqua e semola, che le gonfiava, facendole sembrare più pasciute.
Poi le strigliavo ben bene e alle 4 del mattino le portavamo al mercato di Castelfranco Veneto. Difficile che qualcuna tornasse indietro».
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Come le venne in mente, nel 1998, di fondare una banca senza sportelli?
«Il porta a porta lo imparai nel 1960 all’Antoniana, da impiegato nell’agenzia di San Martino di Lupari. Di pomeriggio era chiusa e così consegnavo a domicilio gli assegni circolari. Pensai di applicare il metodo in Italia. Capivo che gli sportelli avrebbero fatto la fine delle cabine telefoniche, nonostante un’agenzia fosse arrivata a valere 8-10 milioni di euro».
La molla era scattata 30 anni prima.
«Sì, il giorno in cui decisi di lasciare la banca e andare a lavorare per Dino Marchiorello, titolare delle Officine di Cittadella. Scesi dalla mia Fiat 850 con i tappetini di plastica e salii sulla sua Citroën Pallas. I piedi affondarono nella moquette. Pensai: ne avrò una uguale. Nel 1981, divenuto broker della Dival, gruppo Ras, guadagnavo 100 milioni al mese».
Allora perché cercarsi altri affanni?
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«Sono abituato a inseguire le cose in cui credo. Mi dia pure dell’incosciente. Nel 1969 avevo lasciato Marchiorello per vendere fondi d’investimento con Fideuram. A trascinarmi fu Gianfranco Cassol, un mio ex compagno di scuola. “Si lavora a provvigione”, mi spiegò.
Formula magica, che di solito spaventa tutti. Il guadagno dipendeva solo da me. Mi alzavo alle 6 e cenavo dopo mezzanotte. Sabato compreso. La domenica mattina riunione con Cassol, il pomeriggio dedicato alla famiglia. Vivevo per i clienti».
Mi ha persuaso: le do dell’incosciente.
«Il successo è solo statistica. Ogni tot persone, di sicuro una i soldi te li dà».
Uno dei primi fu un falegname.
«Esatto. Mi allungò un assegno da 10 milioni di lire e mi chiese: “Sa che cosa le ho dato?”. Sì, 10 milioni. “No, lei si sbaglia”. Controllai la cifra: era corretta. “Le ho dato questi”, e mi mostrò i calli mostruosi che aveva sui palmi delle mani.
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“Si ricordi che io non posso permettermi il lusso di ammalarmi, perché senza risparmi la mia famiglia morirebbe di fame”. Una pugnalata al cuore. Diventare altruista fu il mio modo di essere egoista. Dovevo trasformarmi nel medico del risparmio, dare alla persone i farmaci giusti per le loro esigenze: polizze infortuni, previdenza integrativa, assicurazioni, fondi comuni, servizi bancari, case».
E così nacque Programma Italia, progenitrice del gruppo Mediolanum.
«Ma servivano capitali enormi, che non avevo. Approfittai di un viaggio a Genova, dove incontrai il fiscalista Viktor Uckmar, per portare mia moglie a Portofino. E sul porticciolo chi vidi? Silvio Berlusconi. Parlava con un pescatore che stava riparando le reti.
Lo riconobbi perché la sua foto era su Capital, a corredo di un’intervista in cui dichiarava: “Chi ha una buona idea, si rivolga a me”. Gli dissi: la ammiro molto, posso stringerle la mano? Ne fu lusingato.
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Premettendo che raccoglievo 10 miliardi di lire al mese per Dival con una squadra di 800 persone, gli illustrai brevemente un progetto sugli immobili. Lui mi pose tre domande. Alla terza, dimostrò di aver capito il mio settore più di me. Non avevo mai conosciuto in vita mia una simile capacità d’impadronirsi di un argomento. Passati 15 giorni, mi convocò ad Arcore».
Voleva saperne di più?
«Già. Mi ricevette in veranda. Mi ero presentato con un dossier che raccoglieva i profili di 3.000 clienti, giusto per dimostrargli che non partivo da zero. In quel momento mia madre mandò dal cielo un colpo di vento che sparse tutti quei fogli sul prato.
Le pagine sembravano migliaia, anziché un centinaio. Di solito Berlusconi era abituato a incontrare interlocutori del genere: “Guadagno tanto, quindi deve darmi di più”. Io gli dissi solo: da lei non voglio niente, facciamo una società al 50 per cento. Ci stringemmo la mano. Non servì altro».
ENNIO E MASSIMO DORIS SULLA COPERTINA DI FORBES
Il suo socio ha scritto di lei: «Ennio con Fedele Confalonieri e Gianni Letta costituisce la mia trinità amicale». Quindi lei sarebbe lo Spirito Santo?
«Silvio è sempre generoso, anche nei paragoni. Per lui l’amicizia ha un valore assoluto. Non la tradirà mai».
Avete litigato qualche volta?
«Impossibile. È troppo buono. Nel 1982 suo cugino Giancarlo Foscale, responsabile amministrativo di Fininvest, cacciò un dirigente che rubava. Silvio era negli Stati Uniti. Al suo ritorno, staccò un cospicuo assegno al licenziato.
ennio e il figlio massimo doris
Foscale s’inalberò: “Ma come? È un ladro”. E lui: “No, è un malato. Ha il vizio del gioco d’azzardo. Ma ha anche due bambini”».
Lei è monogamo, Berlusconi proprio no. Nessun contrasto su questo?
«“Un po’ t’invidio”, mi ripete sempre. “Hai trovato subito la donna giusta”».
Fantastico. Perciò la ricerca continua.
«La mia Lina aveva 15 anni. In una settimana ci fidanzammo. La sposai nel 1966. Resta uguale: eterea come Katharine Hepburn, bella come Sophia Loren».
ennio doris piersilvio berlusconi
In che modo conquista i clienti?
«Dimostrandogli che io per primo sono convinto. Puoi mentire con la parola, ma non con il corpo. Il mio maestro Cassol la chiamava “vendita verità”».
Che garanzie può dare con un debito planetario che ha superato i 253.000 miliardi di dollari, il 322 per cento del Pil?
«Non esiste istituto al mondo in grado di garantire alcunché. Anche se ha la tripla A delle agenzie di rating, può fallire. Sopra i 100.000 euro i depositi bancari non hanno protezione. Con la deflazione i tassi d’interesse sono negativi o quasi. L’unica che può salvarci è l’economia reale.
Ma le azioni sono rischiose per definizione. Se però lei possedesse per ipotesi quote di tutte le aziende del mondo, non perderebbe mai, perché le borse cresceranno sempre. Purtroppo i risparmiatori si fanno guidare dall’emotività, come insegna lo psicologo Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia».
Quanto costò salvare quelli di Mediolanum dal crac Lehman Brothers?
«Alla mia famiglia 63,5 milioni, alla Fininvest 56,5. Il più bell’investimento di sempre, perché l’anno dopo la raccolta schizzò da 2,8 a 5,89 miliardi».
Per Chiara Amirante, che si occupa di emarginati da quando guarì da un male che la stava rendendo cieca, lei è «una bellissima Dio-incidenza».
«Si sorprese perché, su suggerimento di mia moglie, la chiamai a parlare ai nostri 300 manager riuniti a Merano. È stata una benedizione di Dio incontrarla».
Ne deduco che lei crede in Dio.
«Moltissimo. Sono nato nel paese dove da giovane fu curato il futuro san Pio X, appena ordinato prete. La parrocchia mi mandò a una scuola di formazione politica a Treviso affinché imparassi la differenza fra democrazia e comunismo. Infatti diventai assessore della Dc. I miei miti sono De Gasperi e don Sturzo. Veneravo Pio XII, così alto e magro da sembrare puro spirito. E Karol Wojtyla».
«Non potete servire Dio e la ricchezza», ammonisce Gesù nel Vangelo.
«Tra Dio e mammona, ho sempre messo al primo posto Dio. Il denaro è solo un mezzo. Come il coltello: può uccidere o diventare il bisturi che salva».
Ogni domenica va a Tombolo, ho letto.
«È vero. Ho bisogno dell’aria del mio paese, degli amici d’infanzia. Giocavamo a briscola da Giosuè e da Mea, ma hanno chiuso. Ora ci si trova al bar Centrale».
Mi dicono che risolve i sudoku al volo.
«Sono numeri. Quando a inizio anno mi mostrano i budget, noto subito le cifre stonate: vedo quello che c’è dietro».
Quanti soldi ha in tasca?
«Non uso il portafoglio. Tengo le banconote con un fermaglio, ma è in cassaforte». (Chiama la moglie Lina, se lo fa portare e le conta). «Sono 980 euro».
Mi confessa qualcosa che nessuno sa?
«Qualcosa che riguardi me? Le rivelo un segreto che da piccolo mi faceva molto soffrire. Per cena mi davano enormi scodelle di caffellatte, per cui di notte non facevo in tempo ad arrivare al gabinetto per la pipì.
Abitavamo in tre famiglie, 18 persone, nella stessa casa. La mattina mia madre lavava il materasso e lo metteva ad asciugare sulla finestra. Tutti lo vedevano. Ecco, ripensandoci, non era neppure un segreto».
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