COSA BOLLORÉ IN PENTOLA – STRANO DESTINO QUELLO DI VIVENDI: DOPO AVER OSTEGGIATO IN TUTTI I MODI L’OFFERTA DEL FONDO KKR SU TIM, ORA È DALLA STESSA PARTE DEGLI AMERICANI: IL NUOVO OBIETTIVO DI BOLLORÉ È VALORIZZARE AL MASSIMO LA RETE E INCASSARE PIÙ SOLDI POSSIBILI DALLA FUSIONE FIBERCOP-OPEN FIBER – LA PATATA BOLLENTE È IN MANO A CDP, AZIONISTA SIA DI TIM SIA DI OPEN FIBER: LA CASSA RISCHIA DI DOVER SBORSARE MOLTI (TROPPI) DANARI: L’AD DEL GRUPPO FRANCESE, DE PUYFONTAINE, HA FATTO SAPERE CHE NON ACCETTERÀ MENO DI 21 MILIARDI DI EURO…
Giovanni Pons per “la Repubblica – Affari & Finanza”
La rete telefonica di Telecom Italia è stata privatizzata nel lontano 1997 su impulso del governo Prodi, che per far entrare la lira nell'euro aveva concordato con la Ue un certo ammontare di privatizzazioni.
Fin da subito si capì che quella non era la scelta migliore, poiché lo Stato italiano consegnava nelle mani dei privati un asset strategico per il Paese (si pensi solo al nodo a Sud della Sicilia attraverso cui passano tutte le comunicazioni con il Medio Oriente) e anche molto redditizio.
Così, già a partire dal governo Prodi del 2006, cominciò il lungo percorso per riportare la proprietà della rete Telecom in mani pubbliche. Molti ricorderanno, in quell'anno, il famoso Piano Rovati, un foglietto consegnato a mano a Marco Tronchetti Provera, presidente Telecom dell'epoca, in cui si ipotizzava la separazione dell'infrastruttura dalla casa madre.
marco tronchetti provera telecom
La pressione dello Stato si fece ancora più forte nel 2015, quando il governo Renzi mise in cima alla sua agenda un ambizioso piano di digitalizzazione del Paese attraverso una rete ad alta velocità.
Ma Telecom, che aveva nei suoi bilanci il fardello del debito acceso nel 1999, non era in grado di fare quegli investimenti che Renzi chiedeva. E così Palazzo Chigi spinse in campo l'Enel per creare ex novo un'infrastruttura all'avanguardia che portasse la fibra ottica fin nelle case di tutti gli italiani, in concorrenza con Telecom.
Venne così battezzata Open Fiber e partì la corsa a coprire anche le aree del Paese dove non vi era una convenienza economica ad attivare una rete di quella portata (le cosiddette aree bianche) anche grazie ai contributi che venivano promessi dall'Europa.
Il risultato della concorrenza infrastrutturale tra Telecom e Open Fiber è stato che la prima ha incrementato i suoi investimenti per limitare l'impatto della seconda e questa ha concentrato l'attività più sulle aree nere (quelle a maggiore ritorno economico dove sono presenti più operatori, da Fastweb a Wind a Vodafone) che su quelle bianche.
Così qualcuno ha cominciato a realizzare che non fosse razionale avere due operatori che investono due volte nelle stesse zone (mancano da coprire anche gran parte delle aree grigie) e dunque dal 2019 si cominciò a parlare di rete unica, cioé della fusione tra una rete Telecom scorporata dalla casa madre con Open Fiber.
Un tormentone che ancor oggi non è concluso, ma che ha già visto la firma di un Mou (contratto preliminare) nell'estate 2020 e finito alle ortiche con il cambio della guardia a Palazzo Chigi, un tentativo di lanciare un'Opa da parte del fondo americano Kkr proprio con l'obiettivo dello scorporo della rete Tim, e un ricompattamento tra i due azionisti principali, Vivendi e Cdp, per procedere senza aiuti esterni alla divisione di Telecom e portare la rete all'altare con Open Fiber.
Si è così firmato a fine maggio un nuovo Mou, anch' esso non vincolante, in cui è scritto che Cassa depositi e prestiti (Cdp, controllata dal Mef) sarà l'azionista di riferimento della rete unica con i fondi Kkr e Macquarie soci di minoranza in una infrastruttura che non sarà "integrata verticalmente", cioé l'operatore Tim non eserciterà alcuna influenza.
In pratica, per tornare a una situazione di monopolio della rete italiana che dovrà essere approvata dalla Commissione Antitrust europea, Tim è passata dal pretendere il controllo (primo Mou) a non pretendere niente e uscire del tutto lasciando l'infrastruttura in mano a Cdp e ai fondi.
Un'inversione a U dettata dal principale azionista (24%) Vivendi che in sette anni di presenza dominante nella società italiana, e un investimento di oltre 3 miliardi, non è riuscita a imprimere una direzione industriale convincente.
gilberto benetton marco tronchetti provera tim
Da qui in avanti, infatti, Vivendi giocherà un'altra partita: non più al fianco di Cdp, ma allineata agli interessi dei fondi e del mercato che mirano alla massima valorizzazione della rete. Attraverso un'intervista a Repubblica l'ad del gruppo francese Arnaud de Puyfontaine ha fatto sapere che non accetterà una valutazione della rete sotto i 21 miliardi di euro, dando il via alla discussione sul nodo centrale dell'operazione, i valori degli asset.
Una partita in cui la posizione più difficile è quella della Cdp, che ha due interessi confliggenti: da una parte è azionista di Tim con il 10%, e quindi ha interesse a incassare il più possibile insieme a Vivendi, al fondo Kkr (azionista al 37,5% di Fibercop, la società che possiede la rete secondaria) e al mercato.
Dall'altra parte Cdp è proprietaria del 60% di Open Fiber, da cui Enel è uscita vendendo al fondo australiano Macquarie riuscendo a ottenere una valutazione molto generosa: 5,5 miliardi più 1,7 miliardi di debiti a fronte di una redditività ancora piuttosto bassa (150 milioni di mol).
Per fare un confronto con la rete Tim innanzitutto bisogna aspettare che l'ad Pietro Labriola decida quali pezzi far confluire nella società della rete (NetCo) e quali lasciare nella società dei servizi commerciali a famiglie e imprese (Serv-Co). In particolare quanto dei 20 miliardi di debito sarà preso in carico dalla società infrastrutturale (fino a 6 volte il margine operativo) e quanto ne rimarrà sulla ServCo.
Lo stesso vale per i 40 mila dipendenti, che dovranno essere suddivisi tra le due nuove società. Più alta sarà la cifra che Cdp e fondi saranno in grado di sborsare per comprare la NetCo, più i conti della ServCo saranno sostenibili, in quanto con l'incasso della vendita potrà abbattere il debito rimanente e stare con successo sul mercato. Ma fintanto che le parti non arriveranno a un valore preciso si assisterà a una dura battaglia.
Il fondo Kkr, avendo già investito 2 miliardi in Fibercop, sta vigilando con grande attenzione affinché in questa delicata fase non si trasferisca valore a favore di Open Fiber. L'ultima mossa di Labriola, che ha chiesto di aggiustare con l'inflazione i prezzi wholesale, mandando all'aria un anno di lavoro con l'Ag-Com, rischia di spostare clienti verso Open Fiber.
Così come l'affitto delle infrastrutture di Tim a Open Fiber, per le quali Kkr ha chiesto e ottenuto che non vengano conteggiate nella valutazione per la rete unica. Certo, la Cdp ha alle spalle il governo, che dopo 25 anni vuole tornare a controllare la rete e può impedire la vendita della stessa esercitando il golden power. Ma incastrare tutti i tasselli non è facile e non si può escludere che finisca con un nuovo nulla di fatto.
open fiber fibra otticapietro labriolapietro labriola sul tetto della sede milanese di tim a via negri PIETRO LABRIOLA