luigi gubitosi franco bassanini

TOGLITI QUELLA VESTAGER - A BRUXELLES IL DOSSIER RETE UNICA NON SARÀ UN SEMPLICE CASO ANTITRUST: L'INTEGRAZIONE VERTICALE TRA RETE, TELEFONIA, CONTENUTI SARÀ DAVVERO DIFFICILE DA FAR DIGERIRE ALLA COMMISSARIA DANESE, DA SEMPRE NEMICA DEI ''CAMPIONI NAZIONALI'' CHE POSSONO SCHIACCIARE I RIVALI. MA È ANCHE CAMBIATO IL MONDO, FRANCIA E GERMANIA STANNO METTENDO IN ATTO POLITICHE DECISAMENTE PROTEZIONISTICHE E LE REGOLE DELLA CONCORRENZA E DEGLI AIUTI DI STATO SPESSO NON VALGONO PER I DUE PAESI PIÙ ''PESANTI''

 

Innocenzo Genna per

https://www.lastampa.it/economia/2020/09/22/news/bruxelles-e-l-affaire-rete-unica-1.39335944

 

 

Il dossier Rete Unica che sarà presto esaminato a Bruxelles non sarà un semplice caso antitrust. Non si discuterà solo del fatto che TIM, l’operatore che da decenni è subentrato nella rete telefonica della SIP, stia per acquisire Open Fiber, la società di Cassa Depositi ed Enel che sta sviluppando una rete nazionale in fibra ottica. La discussione è probabilmente destinata ad andare ben oltre e verosimilmente abborderà il tema della politica industriale europea nelle telecomunicazioni degli ultimi 20 anni.

margrethe vestager

 

Non solo un caso antitrust

L’operazione Rete Unica non può essere un semplice caso antitrust perché il dossier sottoposto a Bruxelles è stupefacente: l’Italia, l’unico paese europeo a non aver mai avuto storicamente una concorrenza tra reti nazionali di accesso al broadband (a parte la Grecia) ad un certo punto, nel 2016, decide di superare questo gap, con la creazione di Open Fiber, ma poi nel 2020 ci ripensa, riconsegnando il new entrant all’incumbent telefonico. Per di più, quest’ultimo dichiara, come condicio sine qua non, che manterrà il controllo della nuova rete, che quindi verrà integrata in un operatore verticalmente integrato. Una cosa del genere è difficile da spiegare negli handbook di concorrenza.

 

Nonostante qualche fuga di notizie, la Commissione europea non si è ancora pronunciata ufficialmente sul tema, perché non lo si fa mai finché non sia notificato qualche cosa di preciso e con i dettagli. Quindi, quando il progetto Rete Unica comincerà a prendere forma, allora la Commissione Europea ci guarderà dentro. Tuttavia, pochi giorni fa il commissario alla concorrenza Vestager, incalzata dalla stampa, ha anticipato, con poche stringate parole, quello che già da tempo ritenevamo: e cioè che bisognerà esaminare con attenzione le implicazioni verticali della Rete Unica, vale a dire i rapporti con gli operatori attivi nel retail. Tradotto per chi non sa leggere dall’asciutta prosa scandinava: la pretesa di TIM di mantenere il controllo della Rete Unica, come un qualsiasi operatore verticalmente integrato, è un problema.

 

Abbandonare la competizione infrastrutturale?

L’unico modo per uscire da un cul de sac, che potrebbe essere imbarazzante per il governo italiano e dannoso per TIM, è quello di ampliare il tema: questo non è solo un caso antitrust, bisogna ridiscutere alcuni temi di policy industriale, a cominciare dal dogma della infrastructure competition che ha caratterizzato la regolamentazione europea degli ultimi 20 anni.

LUIGI GUBITOSI FRANCESCO STARACE

 

Il caso italiano, infatti, si basa sull’assunto che la competizione tra due infrastrutture sia uno spreco di risorse, mentre invece sarebbe meglio accorpare questa funzione in un unico soggetto, la c.d. Rete Unica, che dovrebbe prendersi l‘incarico di sviluppare l’infrastruttura che serve. E’ una visione che però, senza una narrativa ad hoc, ci riporta indietro ai tempi della SIP ed al monopolio legale, quando non esistevano servizi a parte il telefono e si viveva in un mondo dove il dirigismo economico dello Stato non si poteva mettere in discussione.

 

Questa visione non esiste più da almeno 20 anni e sicuramente è stata abbandonata ovunque in Europa, dove nessun paese si sognerebbe di ricostituire un monopolio delle infrastrutture di telecomunicazioni. La regolamentazione europea, dal 1998 a questa parte, riflette questo stato di cose: gli investimenti infrastrutturali scaturiscono dalla competizione tra più operatori (infrastructure competition); tuttavia, poiché non sarebbe realistico chiedere a ciascun operatore di costruirsi la propria rete, coloro che non ce l’hanno possono accedere a quelle esistenti per via di regolamentazione, ma solo se tali reti siano dominanti nel mercato (il che normalmente accade con la rete dell’incumbent, cioè l’ex monopolista telefonico).

 

Si tratta di una visione difficile da smentire perché, oltre che essere confermata dal recente Codice Europeo delle Comunicazioni elettroniche, parla con i dati: laddove vi è stata concorrenza tra due operatori di rete, in genere l’incumbent locale e la rete televisiva via cavo, entrambi gli operatori hanno investito in reti di nuova tecnologia in modo da poter meglio competere, e questo ha creato un circolo virtuoso sul resto del mercato. In Italia e Grecia, dove tale concorrenza non è mai esistita per ragioni storiche, gli investimenti sono rimasti al palo finchè non è successo qualche cosa di nuovo: nel caso italiano, è stata la creazione di Open Fiber nel 2016, che ha ripreso la precedente rete di Metroweb ed ha iniziato ad espanderla, costringendo TIM a rispondere in qualche modo. Il quadro di cui sopra è pienamente riflesso dalle statistiche europee sulla connettività, il c.d. DESI Index.

 

Il precedente del 2012 e la radicalizzazione dell’infrastructure competition

 

Margrethe Vestager

La tensione tra infrastructure competition, da un lato, e regolamentazione all’accesso, dall’altro, è stata da sempre il let motiv della policy europea delle telecomunicazioni. Nel 2012 TIM e le sue “sorelle” (Orange, Telefonica, Deutsche Telekom, ecc) furono abili nel perorare il loro caso con il Presidente della Commissione Europea, Barroso.

 

Ne seguì, il 12 luglio 2012, una famosa sterzata del commissario digitale dell’epoca, l’olandese Kroes, che impose una brusca radicalizzazione della teoria dell’infrastructure competition: per costringere ad investire di più in reti in fibra ottica, si decise che il prezzo dell’accesso alle vecchie reti in rame, quelle degli incumbent telefonici come TIM, sarebbe stato “stabilizzato”, cioè non sarebbe sceso come invece ti aspetteresti da una vecchia rete che sta diventando obsoleta. Inoltre, seguirono delle iniziative legislative che miravano alla deregolamentazione delle nuove reti in fibra ottica. In altre parole, l’accesso alla rete telefonica diventa di fatto più caro, quello alle fibre ottiche più difficile. Il messaggio a tutti era chiaro e forte: fatevi la vs rete in fibra ottica, e non chiedete troppo aiuto dalla regolamentazione.

 

Proprio per questo, insomma, il cammino della Rete Unica appare ora arduo perché il suo principale proponente, TIM, è stato per anni il principale campione della teoria dell’infrastructure competition. TIM ha sempre difeso la propria rete telefonica dalle pretese della regolamentazione sostenendo che gli operatori alternativi avrebbero semmai potuto costruirsi la propria rete, e l’accesso doveva essere una questione di mercato o di autoregolamentazione, ma non di regolamentazione.

 

luigi gubitosi, amministratore delegato di tim – giovanni ferigo, chief executive officer di inwit – aldo bisio, amministratore delegato di vodafone italia

Alla fine l’evento si è avverato: è nata una rete alternativa, quella di Open Fiber, sulla quale molti operatori alternativi (Vodafone, SKY, Wind ecc) si sono buttati e quindi si stanno creando le premesse per una sostanziale deregolamentazione del settore. Di fronte a questo nuovo stato di cose, la narrativa di TIM è cambiata: due reti sono uno spreco, ne basta una.

 

Il caso visto dall'Europa

A Bruxelles hanno buona memoria e quindi il cambio di posizione sarà stato notato. Gli altri grandi operatori (Orange, Deutsche Telekom ecc) manifestano solidarietà attraverso l’associazione di categoria ETNO ma, nel cuore dei rispettivi comitati esecutivi, si chiedono se l’operazione italiana alla fine convenga anche a loro: abbandonare l’infrastructure competition vuol dire tornare ad una forte regolamentazione di settore.

 

Negli altri paesi europei non vi è una reale possibilità di ri-monopolizzazione, perché difficilmente le telco telefoniche potrebbero comprarsi la locale rete cavo televisiva.  Inoltre, se TIM ricostituisce il monopolio della rete d’accesso in Italia, il mercato italiano per loro si chiude. Sarà anche per questo che le dichiarazioni di ETNO la prendono un po’ alla larga: si parla di obiettivi ma si resta vaghi sui metodi e sugli assetti di mercato.

 

Il co-investimento, ovvero l’arma di distrazione di massa

I supporter della Rete Unica sembrano puntare tutte le loro speranze sul tema del “co-investimento”, ma rischiano di rimanere delusi. L’istituto del co-investimento è stato introdotto con l’art. 76 del nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni elettroniche e consente di deregolamentare delle nuove reti in fibra ottica costruite congiuntamente, a fronte di alcuni impegni dell’incumbent esaminati ed approvati dall’autorità di regolazione. Ma si tratta di una norma estremamente dettagliata e con numerose condizioni che devono essere rispettate a garanzia della concorrenza. In altre parole, non si tratta di un qualsiasi investimento congiunto, ma di una fattispecie molto caratterizzata; e, ad ogni modo, il tema del co-investimento è solo un tema di regolamentazione, in altre parole sarà poco rilevante per l’antitrust, e si porrà solo dopo un’eventuale autorizzazione della Vestager.

LUIGI GUBITOSI FRANCO BASSANINI

 

Conclusioni

Il dossier a Bruxelles è quindi complesso ed inizia in salita, sia che lo si veda come un caso antitrust, oppure come un’innovazione di politica industriale.

 

A mio parere, per trovare una soluzione che non metta a repentaglio la rincorsa italiana alla connettività ultra-broadband, frustrando gli obiettivi di digitalizzazione del Paese, mandando su tutte le furie gli operatori alternativi e mettendo persino in imbarazzo le sorelle europee di TIM, il progetto di Rete Unica dovrà essere rivisto ma soprattutto ammodernato: non un ritorno al passato, con la ricostituzione del monopolio verticalmente integrato, ma un balzo nel futuro, con una grande rete nazionale neutrale, dove per neutralità intendiamo terzietà ed indipendenza dalle altre telecom (TIM e tutti gli altri), che potranno parteciparla ma non controllarla. Di fronte alla magnitudo di questo progetto, il tema della presenza dello Stato nella Rete Unica diventa persino secondario.

 

 

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA ALL’ASSEMBLEA GENERALI HA DECISO IL VOTO DI UNICREDIT A FAVORE DELLA LISTA CALTAGIRONE? LE MANGANELLATE ROMANE RICEVUTE PER L’OPS SU BPM, L’HANNO PIEGATO AL POTERE DEI PALAZZI ROMANI? NOOO, PIU' PROBABILE CHE SIA ANDATA COSÌ: UNA VOLTA CHE ERA SICURA ANCHE SENZA UNICREDIT, LA VITTORIA DELLA LISTA MEDIOBANCA, ORCEL HA PENSATO BENE CHE ERA DA IDIOTA SPRECARE IL SUO “PACCHETTO”: MEJO GIRARLO ALLA LISTA DI CALTARICCONE E OTTENERE IN CAMBIO UN PROFICUO BONUS PER UNA FUTURA PARTNERSHIP IN GENERALI - UNA VOLTA ESPUGNATA MEDIOBANCA COL SUO 13% DI GENERALI, GIUNTI A TRIESTE L’82ENNE IMPRENDITORE COL SUO "COMPARE" MILLERI AL GUINZAGLIO, DOVE ANDRANNO SENZA UN PARTNER FINANZIARIO-BANCARIO, BEN STIMATO DAI FONDI INTERNAZIONALI? SU, AL DI FUORI DEL RACCORDO ANULARE, CHI LO CONOSCE ‘STO CALTAGIRONE? – UN VASTO PROGRAMMA QUELLO DI ORCEL CHE DOMANI DOVRA' FARE I CONTI CON I PIANI DELLA PRIMA BANCA D'ITALIA, INTESA-SANPAOLO…

donald trump ursula von der leyen giorgia meloni

DAGOREPORT - UN FACCIA A FACCIA INFORMALE TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP, AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, AFFONDEREBBE IL SUPER SUMMIT SOGNATO DA GIORGIA MELONI - LA PREMIER IMMAGINAVA DI TRONEGGIARE COME MATRONA ROMANA, TRA MAGGIO E GIUGNO, AL TAVOLO DEI NEGOZIATI USA-UE CELEBRATA DAI MEDIA DI TUTTO IL MONDO. SE COSÌ NON FOSSE, IL SUO RUOLO INTERNAZIONALE DI “GRANDE TESSITRICE” FINIREBBE NEL CASSETTO, SVELANDO IL NULLA COSMICO DIETRO AL VIAGGIO ALLA CASA BIANCA DELLA SCORSA SETTIMANA (L'UNICO "RISULTATO" È STATA LA PROMESSA DI TRUMP DI UN VERTICE CON URSULA, SENZA DATA) - MACRON-MERZ-TUSK-SANCHEZ NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE LA MELONI NEL RUOLO DI MEDIATRICE, PERCHÉ NON CONSIDERANO ASSOLUTAMENTE EQUIDISTANTE "LA FANTASTICA LEADER CHE HA ASSALTATO L'EUROPA" (COPY TRUMP)...

pasquale striano dossier top secret

FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI PALAZZI E NELLE PROCURE, CHE IL TENENTE DELLA GUARDIA DI FINANZA, AL CENTRO DEL CASO DOSSIER ALLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA (MAI SOSPESO E ANCORA IN SERVIZIO), POSSA INIZIARE A “CANTARE” – LA PAURA SERPEGGIA E SEMBRA AVER "CONGELATO" LA PROCURA DI ROMA DIRETTA DA FRANCESCO LO VOI, IL COPASIR E PERSINO LE STESSE FIAMME GIALLE. L’UNICA COSA CERTA È CHE FINCHÉ STRIANO TACE, C’È SPERANZA…

andrea orcel francesco milleri giuseppe castagna gaetano caltagirone giancarlo giorgetti matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - IL RISIKONE È IN ARRIVO: DOMANI MATTINA INIZIERÀ L’ASSALTO DI CALTA-MILLERI-GOVERNO AL FORZIERE DELLE GENERALI. MA I TRE PARTITI DI GOVERNO NON VIAGGIANO SULLO STESSO BINARIO. L’INTENTO DI SALVINI & GIORGETTI È UNO SOLO: SALVARE LA “LORO” BPM DALLE UNGHIE DI UNICREDIT. E LA VOLONTÀ DEL MEF DI MANTENERE L’11% DI MPS, È UNA SPIA DEL RAPPORTO SALDO DELLA LEGA CON IL CEO LUIGI LOVAGLIO - DIFATTI IL VIOLENTISSIMO GOLDEN POWER DEL GOVERNO SULL’OPERAZIONE DI UNICREDIT SU BPM, NON CONVENIVA CERTO AL DUO CALTA-FAZZO, BENSÌ SOLO ALLA LEGA DI GIORGETTI E SALVINI PER LEGNARE ORCEL – I DUE GRANDI VECCHI DELLA FINANZA MENEGHINA, GUZZETTI E BAZOLI, HANNO PRESO MALISSIMO L’INVASIONE DEI CALTAGIRONESI ALLA FIAMMA E HANNO SUBITO IMPARTITO UNA “MORAL SUASION” A COLUI CHE HANNO POSTO AL VERTICE DI INTESA, CARLO MESSINA: "ROMA DELENDA EST"…