INTER-PACCO – MORATTI VUOLE I 300 MILIONI DELL’INDONESIANO THOHIR, MA NON INTENDE MOLLARE IL COMANDO. E NUN SE PO’ FA’ (ART. QUINTO: CHI HA I SOLDI HA VINTO)

Fabio Monti per "Corriere.it"

Per capire il senso e i tempi della trattativa (che prosegue, senza accelerazioni), fra Massimo Moratti ed Erick Thohir è necessario rifarsi al principio, che in qualche modo ha ispirato l'intera operazione. Il presidente dell'Inter ha pensato all'ipotesi (o forse alla necessità) di cedere una quota azionaria del club, non perché prossimo a portare i libri in tribunale, ma per dare più forza economica alla società nerazzurra, in tempi di fair play finanziario e di aumentata concorrenza internazionale.

L'idea era quella di ricalcare in parte l'ottima operazione conclusa con i cinesi il 1° agosto 2012, con la cessione del 15% del club e con l'impegno a costruire il nuovo stadio. Operazione poi sfumata, semplicemente perché il gruppo cinese non era nella condizione di poter chiudere una trattativa del genere all'estero, come è stato spiegato dalle autorità statali di Pechino.

Nel mese di aprile, Moratti ha avuto diversi contatti con gruppi esteri; qualche emissario è stato a Milano e ha visitato anche la Pinetina. Ai primi di maggio, è partita la trattativa con Thohir, che subito è sembrata seria e interessante, al punto che era apparso necessario coprirla dal massimo riserbo. A fine maggio, il primo incontro a Milano fra Moratti e Thohir, nel quale sono state valutate differenti opzioni, dalla cessione di una quota di minoranza (fino al 40%) a quella di una quota di maggioranza, che avrebbe cambiato completamente gli equilibri della società e avrebbe portato, in concreto, all'uscita di scena di Moratti.

Il presidente non è mai stato favorevole a questa soluzione, per almeno due motivi. Il primo: 18 anni alla guida dell'Inter pesano, però proprio per la passione morattiana per il nerazzurro, che rappresenta un pezzo fondamentale di vita di tutta la famiglia, non si chiude in maniera traumatica e in tempi ristrettissimi una storia che è legata anche all'amore per la città di Milano.

Il secondo: un ingresso soft (cioè con una quota di minoranza di partenza, destinata poi a crescere) da parte di un acquirente pur con grandi mezzi economico-finanziari (come è il caso di Thohir) avrebbe consentito a Moratti di valutare se il suo (teorico) successore sarebbe stato all'altezza del compito, perché, quando non c'è una passione (o una storia) di base, ci si innamora di un club e magari l'amore sfiorisce dopo un paio d'anni.

Anche se non c'è stata nessuna rottura fra le parti, il pressing esercitato da Thohir non è piaciuto a Moratti: perché, fino a prova contraria, è ancora lui il presidente e l'azionista di maggioranza dell'Inter; perché gli accordi erano chiari e prevedevano di procedere senza accelerazioni improvvise; perché era necessario un riserbo che, nell'ultimo mese, è venuto meno, visto che Thohir ha molto insistito sul fatto di essere pronto ad acquistare subito tutta l'Inter, venendo meno agli accordi di partenza e insistendo sul fatto che Moratti sarebbe rimasto a gestire l'ordinaria amministrazione. Una situazione surreale e irrispettosa rispetto al rapporto che esiste fra (i) Moratti e l'Inter.

Del resto il presidente si è già mosso concretamente anche per la prossima stagione: non si prende un allenatore come Mazzarri (e il suo staff) se si ha la valigia in mano. Non si procede a una riorganizzazione della società, se si vuole lasciare. Non si segue la squadra, come ha fatto il presidente in questi giorni e non si pensa a una campagna acquisti ben lontano dalla sua conclusione, se si ha intenzione di vendere il club.

Con notevole coerenza, Moratti non è mai venuto meno alla linea, che ha ispirato il suo lavoro dall'inizio di maggio: trovare chi possa dare maggiore solidità all'Inter, con la prospettiva di crescere nel tempo. I salti in avanti sono pericolosi e potrebbero portare anche a una rottura fra le parti, che ieri è stata evitata soltanto per una forma di rispetto verso chi è venuto a Milano.

 

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