TRONCHETTI C’ERA – SECONDO LA PROCURA DI MILANO L’EX PRESIDENTE TELECOM SAPEVA DEI DOSSIER TAVAROLI – INDAGATO PER RICETTAZIONE E CORRUZIONE INTERNAZIONALE PER I 26 MLN € PAGATI AL MEDIATORE BRASILIANO NAJI NAHAS E MESSI IN CONTABILITÀ IN UNA POSTA CHIAMATA “CONTO DEL PRESIDENTE” - UNA INVERSIONE A “U” DA PARTE DEI PM CHE IN 5 ANNI DI INDAGINI E PROCESSI, L’AVEVANO RITENUTO SOLO UN TESTIMONE…
Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"
Ricettazione nel 2004 dei dati rubati al computer di un agente dell'agenzia Kroll dai «pirati» informatici della Security di Telecom nell'albergo Sofitel a Rio de Janeiro; concorso nell'hackeraggio di quel computer di Omar Oergensoy, ma anche in tutte le altre intrusioni informatiche già contestate al Tiger Team di Giuliano Tavaroli e Fabio Ghioni (compresi gli attacchi ai pc Rcs del giornalista Mucchetti e del manager Colao);
e corruzione internazionale per i 26 milioni di euro pagati dalla Telecom nel 2002-2006 come «consulenze» al mediatore brasiliano Naji Nahas e messi in contabilità in una posta chiamata «conto del Presidente»: sono le tre nuove ipotesi di reato per le quali Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli ed ex presidente fino al 2006 di Telecom, è ora indagato dalla Procura di Milano e ha ricevuto un invito a comparire per essere interrogato nei prossimi giorni.
L'atto segna una inversione a «u» della linea della Procura di Milano nell'inchiesta in corso dal 2005/2006 sui dossieraggi illegali praticati dalla Security di Telecom e Pirelli nell'era Tavaroli. Negli scorsi 5 anni di indagini e processi, i pm milanesi Napoleone-Civardi-Piacente avevano ritenuto Tronchetti un testimone, sia prima sia dopo l'interrogatorio del 27 giugno 2008 davanti ai pm e del 9 marzo 2010 davanti alla giudice Panasiti.
E anche la sua formale iscrizione tra gli indagati, emersa nel giugno 2010, era stata scarsamente significativa perché in realtà conseguente soltanto all'invio a Milano del fascicolo che il pm romano Saviotti aveva chiesto di archiviare su una questione di tabulati telefonici, ma che il gip capitolino Morgigni aveva ritenuto di competenza milanese.
Adesso, invece, è nell'inchiesta vera e propria sui dossieraggi che la Procura di Milano per la prima volta formula tre ipotesi di reato con il pm Nicola Piacente e il responsabile del pool reati contro la pubblica amministrazione Alfredo Robledo. Da dove la novità ?
In parte parrebbe l'effetto di una rilettura del materiale, pur da tempo noto, alla luce della sentenza con la quale il 29 maggio 2010 la giudice Mariolina Panasiti aveva assolto Tavaroli e Ghioni dall'accusa di essersi indebitamente appropriati (ai danni di Telecom e Pirelli) dei 34 milioni fatturati e pagati dalle due aziende nel 1997-2004 a investigatori privati come Emanuele Cipriani, imputato di associazione a delinquere nel processo in corso.
Nelle motivazioni di questa sentenza, contro la quale la Procura milanese ha fatto (e di recente perso) un ricorso in Cassazione che non recava però la firma del procuratore aggiunto Robledo, la giudice Panasiti aveva infatti espresso la convinzione che «le operazioni di investigazione ai danni di vari personaggi della vita politica ed economica italiana (Gnutti, Colaninno, Della Valle, Bernabè, Scaroni, De Benedetti, Tremonti, Bossi, Brancher)» non potessero «essere ricondotte ad iniziative esclusive ed autonome» di un Tavaroli «autoreferenziale» o di una Security aziendale «scheggia impazzita» per «drenare» risorse; ma fossero state «in realtà eseguite sulla scorta di un interesse aziendale, talora un interesse pressoché esclusivo del presidente delle due società Tronchetti Provera».
Il tutto all'insegna di «una gestione dei compiti e ruoli della Security pienamente conosciuta, ma anche condivisa a livello di vertici della azienda e dei vari funzionari». Ma evidentemente i pm devono ritenere d'aver acquisito qualche altro dato: nulla era infatti accaduto subito dopo la sentenza Panasiti di 18 mesi fa, che pur trasmetteva alla Procura «per quanto di sua competenza» il verbale di Tronchetti, ma nel contempo osservava che la consapevolezza del top manager «non poteva tout court ampliarsi immediatamente alla consapevolezza dei metodi assai spesso illeciti con cui le informazioni venivano acquisite».
In passato più volte l'avvocato di Pirelli, Roberto Rampioni, ha sostenuto che «neppure il più labile indizio accredita una conoscenza dei vertici societari sulle attività » illecite della Security di Tavaroli, che si sarebbe ritagliato un ruolo autoreferenziale. E ha spesso rimarcato come «fu proprio l'allora vertice di Telecom a dare mandato di denunciare subito le irregolarità individuate», e a «fornire tutta la documentazione spontaneamente all'Autorità giudiziaria, nella logica di una collaborazione piena ed esaustiva, senza riserve o censure».
Marco Tronchetti Provera TAVAROLIFabio GhioniMassimo Mucchetti - Copyright Pizzin cc34 vittorio colaoBERNABE DELLA VALLE