DEL VECCHIO HA DECISO DI PASSARE GLI ULTIMI ANNI DELLA VITA A SCARDINARE QUEL CHE RESTA DEL SALOTTO BUONO DELLA FINANZA ITALIANA: HA MESSO NEL MIRINO DONNET E NAGEL, STUFO DI AMMINISTRATORI DELEGATI CHE NON ASCOLTANO GLI AZIONISTI. LUI DA ATTIVISTA INTENDE STRINGERE PATTI CON I FONDI STRANIERI, E CERCA UNA SPONDA IN MUSTIER, CHE È IN DIFFICOLTÀ…
DAGONEWS
Leonardo Del Vecchio (84 anni), dopo una vita ad accumulare soldi e successi industriali stando abbastanza lontano dal centro dell'agone economico-finanziario italiano, ha deciso di passare l'ultima parte della vita a fare l'''attivista'', a rompere le scatole a quello che fu il salotto buono del capitalismo e che oggi è invece pienamente contendibile. Soprattutto per qualcuno che ha ciò che manca agli altri: una notevole liquidità.
Il suo pallino resta quello che ha portato all'uscita di grandi manager dal gruppo Luxottica, tanto da arrivare al suo ritorno al vertice: l'autoreferenzialità degli amministratori delegati. Non capisce perché i manager di oggi si dimentichino degli azionisti, convinti di essere gli unici capaci di gestire le aziende. Per Del Vecchio un buon ad deve ascoltare sempre il ''padrone'', invece di passare il tempo a inseguire intricati piani di bonus, che stanno distruggendo interi settori, poiché spingono i dirigenti a non avere una visione di lungo periodo, e a incassare il massimo nel minor tempo possibile.
philippe donnet gabriele galateri di genola alberto minali
La retribuzione e le stock option si basano spesso sul successo di piani di tagli, licenziamenti, fusioni e acquisizioni, che si possono portare a termine nell'arco di pochi mesi, e sono perlopiù slegate dai risultati di lungo periodo. In questi anni si sono viste buonuscite da capogiro pure per chi ha lasciato aziende sull'orlo del precipizio.
Chi ha messo nel mirino il ricco imprenditore? Ovviamente Donnet, capo delle Generali, e Nagel, da molti anni al comando di Mediobanca. Del Vecchio vuole scardinare gli assetti tra Milano e Trieste, magari stringendo un patto con fondi stranieri, e diventare molto vocal, come dicono in America, fare molto rumore sulle scelte strategiche dei gruppi in cui investe. Una sponda potrebbe trovarla anche in Mustier: l'ad di Unicredit non naviga in acque tranquille, visto che da molti anni è impegnato in una ricerca incessante della fusione ideale.
Sul tavolo restano sempre i soliti nomi: Commerzbank e Société Générale, con i negoziati che si arenano sempre sulla solita questione: non trovano la quadra sul valore dei rispettivi asset. Ma è chiaro che se Unicredit dovesse arrivare alle agognate nozze, il suo ruolo di primo azionista di Mediobanca e a cascata di azionista di controllo di Generali, dovrebbe cambiare…