paradiso fiscale

LE VIE PER IL PARADISO (FISCALE) SONO INFINITE – CADUTO IL MITO SVIZZERO E SCOPERCHIATA PANAMA, CHI VUOLE PORTARE I SOLDI ALL’ESTERO HA COMUNQUE L’IMBARAZZO DELLA SCELTA: SINGAPORE, SEYCHELLES, EMIRATI, HONG KONG E (SORPRESONA) GLI STATI UNITI D’AMERICA

Ettore Livini per “la Repubblica”

 

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Addio (o quasi) a Svizzera, Lussemburgo e alle mitologiche Cayman. Il pressing dell’Ocse, le multe del Tesoro Usa, gli hacker e le soffiate di ex-impiegati stanno facendo traballare i vecchi santuari del segreto bancario. E i rifugiati più ricchi del mondo - quelli fiscali - stanno riaggiornando il “Tom-Tom” dell’evasione per riposizionare i loro tesoretti.

 

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La cifra in ballo è immensa: 7.600 miliardi di dollari - stima Gabriel Zucman dell’Università di Berkeley – l’8% della ricchezza globale, parcheggiati da Paperoni, criminali e dittatori lontano dagli occhi di fisco e tribunali nei paradisi offshore. Una pioggia d’oro che da qualche mese – a maggior ragione dopo i “Panama Papers” – «ha deciso di migrare verso lidi più sicuri», assicura Paolo Bernasconi, padre della legge anti-riciclaggio elvetica.

 

Destinazione «Dubai, Seychelles e lo stesso paese del Canale». E i tanti piccoli Eden tributari sopravvissuti a un’offensiva che «malgrado i progressi degli ultimi anni - ammette l’ex procuratore capo di Pizza connection - non ha ancora debellato le grandi fabbriche del nero all’estero».

 

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«Il telefono del nostro ufficio da ieri sera è caldissimo – spiega dietro garanzia dell’anonimato uno dei maggiori (e più disinvolti) “ottimizzatori fiscali” del Canton Ticino -. Molti clienti italiani, dopo l’addio di Berna al segreto bancario, avevano deciso di non aderire alla voluntary disclosure e di trasferire i conti a Panama. Ora sono terrorizzati. Cosa rispondo? Semplice. Che per chi vuole cambiare paese, c’è solo l’imbarazzo della scelta: noi, per dire, abbiamo appena aperto una fiduciaria in Dubai…».

 

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Così va il mondo: gli storici paradisi fiscali - garantisce il tributarista Tommaso Di Tanno «sono in via d’estinzione». Banche e intermediari sono sempre più restii a lasciar impronte digitali su operazioni di questo tipo. Ma il rimpiattino dei grandi evasori continua, previa aggiornamento delle mappe. Bahrein, Panama, Vuanatu e Nauru - gli unici paesi a non aver firmato lo scambio di informazioni con l’Ocse – sono sulla carta le nuove “mecche” del settore.

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«Anche il Libano, dove il settore bancario cresce malgrado tutto del 12% l’anno, resta un paradiso blindatissimo» assicura il Tax Justice Network. «I nostri clienti però preferiscono andare in zone dove oltre alla privacy c’è un ambiente finanziario più sviluppato» racconta l’esperto di Lugano. E il catalogo” d’offerte è ampio: «Singapore, gli Emirati, Hong Kong - spiega -. Dove con un po’ di cosmesi i soldi restano anonimi e si pagano pochissime tasse».

 

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Troppo lontano? No problem. Volendo, ci sono soluzioni più vicino a casa nostra. «Basta girare i propri beni a un trust e persino la Gran Bretagna può diventare più sicura, fiscalmente parlando, delle Cayman - ride uno dei maggiori tributaristi milanesi -. Certo, il professionista che lo crea fa concorso in riciclaggio. Ma il tasso di etica nel settore è molto variabile». «In Canton Ticino - conferma Bernasconi - va di gran moda la creazione di trust in Nuova Zelanda...».

 

 

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Le vie dell’evasione, insomma, sono infinite. E a volte portano in luoghi del tutto inattesi. «Sa dove sono scappati in molti? Negli Usa – racconta un secondo legale meneghino -. Se apri una Llc in Delaware o persino a Washington Dc sei invisibile all’erario».

 

Gli States sono balzati dal sesto al terzo posto del Financial Secrecy Index di Tax justice network (dietro Svizzera e Hong Kong) perché si rifiutano di scambiare dati con l’Ocse. Non solo. In molti stati è diventato legale creare trust che coprono i nomi dei beneficiari, purchè si accerti che i beni custoditi non siano frutto d’evasione. Risultato: per Peter Cotorcenau della zurighese Anaford Ag, miliardi di dollari a fine 2015 hanno lasciato le Cayman «per spostarsi negli Usa».

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«Gli Stati Uniti stanno diventando il più grande paradiso fiscale mondiale» ha scritto in una presentazione Andrew Penney, direttore generale della Rothschild. Il Nevada – dove la banca ha appena aperto un ufficio a due passi dai casinò di Reno - è l’ottava meta preferita dai protagonisti dei Panama Papers. «Molta gente ha chiuso le sue posizioni in Svizzera per trasferirle qui da noi», ha confessato a Bloomberg Alice Rokhar, responsabile dell’ufficio di Trident Trust a Sioux Fall in Sud Dakota, altra stella emergente del segreto bancario.

 

Difficile sorprendersi: le grandi aziende Usa, in fondo, hanno parcheggiato su conti offshore 2.400 miliardi. Tutto il mondo, quando si tratta di evadere le tasse, è paese.

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