O T’ELEVI O TE LEVI - YAHOO, AOL, MYSPACE, ALTAVISTA: SONO MOLTI GLI EX GIGANTI DEL WEB SCONFITTI E VENDUTI PER QUATTRO SOLDI - IL MOTIVO? NEL DIGITALE NON ESISTONO RENDITE DI POZIONE, CHI NON INNOVA COLA A PICCO - GOOGLE, FACEBOOK, APPLE, E INVESTONO MILIARDI OGNI ANNO PER NON ESSERE SUPERATI
Filippo Santelli per “la Repubblica”
Fulmineo, a volte spietato. Prendere o lasciare, è questo il gioco della Silicon Valley. Chi sta in alto, sulla cresta dell’innovazione, della popolarità, del valore, rischia di affondare. Per ogni Facebook, Apple o Google di cui si celebrano i fasti, ci sono una Aol, una MySpace, una Altavista di cui ci siamo già scordati. Vecchie glorie tecnologiche sommerse, un cimitero che questa settimana si è arricchito di un altro relitto. Non uno qualsiasi: Yahoo, la società che al suo apice era la porta di accesso alla Rete. Valeva 125 miliardi di dollari, è stata venduta a Verizon per 4,5, senza più punto esclamativo, destinata a sparire dentro Aol.
Di mezzo c’è anche la follia della speculazione. Prendete Pets.com, e-commerce di prodotti per animali emblema della bolla tech di inizio millennio, capace di passare in pochi mesi da 11 dollari a 19 cent di valutazione. Eppure dietro alle montagne russe delle aziende web c’è qualcosa di più sostanziale: “disruption” la chiamano, nuova veste digitale della distruzione creatrice del capitalismo.
«L’incrocio tra innovazione tecnologica e nuove abitudini culturali, che produce un diverso modello di impresa», sintetizza Paolo Cellini, professore di Economia digitale alla Luiss. Si ripete ovunque, questo schema. Aol per esempio fu la società che portò gli Stati Uniti sul web, insegnando loro a usare le mail. Finché una connessione ultra veloce fu a disposizione di tutti.
Così la società, che alla fusione con Time Warner, nel 2000, valeva oltre 220 miliardi di dollari, l’anno scorso è stata comprata da Verizon, sempre lei, per 4,4. Somiglia al caso di Tiscali, pioniere della Rete in Italia, che nel 2000 arrivò a valere in Borsa oltre 18 miliardi di euro, proiettandosi più in alto della Fiat. Per poi sgonfiarsi e ricominciare da zero.
Di cadute e promesse non mantenute è piena la storia del web. Il browser Netscape alla fine degli anni ‘90 fu soppiantato da Explorer, perché Microsoft lo aveva installato su tutti i sistemi Windows. Il motore di ricerca Altavista ha preceduto Google, ma non è stato capace di inventare quel geniale modo di farci soldi centrato sulla pubblicità.
E quando la News Corp di Rupert Murdoch si pappò MySpace per 580 milioni di dollari, pensava di essersi accaparrata “il” social network. Se non fosse che Facebook, di lì a poco, avrebbe convinto gli utenti che è bello mettere la faccia in Rete. Oggi MySpace, rivenduta per 35 milioni, è una nicchia per musicofili. E ora Yahoo, che dominava il web dei portali, quello con un unico portone di acceso, ma ha perso, sempre contro Google, in quello oceanico della ricerca.
Anche in altri settori i dominatori falliscono, superati da soggetti. «Ma nel digitale i consumatori sono al centro, e questo ha reso il processo molto più veloce», dice Cellini. Spesso con un solo vincitore, come ha scritto il guru Peter Thiel, creatore di PayPal e ora investitore d’assalto. Quelli del momento si chiamano Google, Facebook, Apple, e investono miliardi ogni anno per non essere superati. C’è chi dice con successo, imbattibili. Ma lo si diceva anche ieri di Microsoft, o l’altro ieri di Yahoo. «È impossibile capire da dove arriva la ‘disruption’», dice Cellini. E’ l’innovazione, bellezza, prendere o lasciare.