YAHOO! NIENTE PIÙ TASSE! UN’ALTRA AZIENDA CHE LASCIA L’ITALIA PER L’IRLANDA - MUCCHETTI PROPONE L’EXIT TAX, UN’IMPOSTA SULLE AZIENDE CHE SE NE VANNO DALL’ITALIA, COME FIAT (A QUANTO PARE, SI DEVE SBRIGARE)

1. YAHOO! ABBANDONA L'ITALIA, I SERVIZI MIGRANO A DUBLINO
Raffaele Ricciardi per www.repubblica.it

La comunicazione è arrivata agli utenti che sfruttano i servizi di posta elettronica e affini: "In ragione del nostro costante impegno a fornire servizi eccezionali, abbiamo recentemente riorganizzato le nostre attività europee. A partire dal 21 marzo 2014, i nostri servizi saranno forniti da una società con sede in Irlanda". Il mittente è Yahoo!, che così annuncia al pubblico italiano un cambio che ha risvolti sul trattamento della privacy. In sostanza, o si chiudono i contratti entro l'inizio della primavera o la società dà per scontata l'accettazione del passaggio di consegne sulla società che gestisce le tematiche e le informazioni relative alla nostra privacy.

Ma l'annuncio svela il compimento di una riorganizzazione aziendale che riguarda la società guidata da Marissa Meyer e richiama alla mente scelte analoghe di altri gruppi multinazionali (Apple in primis) che hanno avuto parecchia risonanza per le annesse ricadute sulle tasse: è noto che Dublino offre numerosi vantaggi a chi vi pone il proprio domicilio fiscale (la pressione Uk sui big del web).

In una sezione di approfondimento del suo sito, Yahoo cerca di fugare questo dubbio: "Come per molte altre società, la struttura di Yahoo è determinata da esigenze di carattere commerciale. Ci sono numerosi fattori che influenzano le decisioni riguardanti le sedi in cui un'impresa opera. Al fine di promuovere una maggiore collaborazione e innovazione, stiamo aumentando il nostro organico a Dublino, continuando così a concentrare più "Yahoos" in meno sedi. Dublino è già la sede europea di molti marchi del settore tecnologico leader a livello mondiale ed ha già ospitato Yahoo per oltre un decennio".

Yahoo! Emea sarà quindi il nuovo titolare del trattamento dei dati personali al posto di Yahoo! Italia srl. Ma tra le domande e risposte approntate si legge anche che la società agisce "in qualità di nuovo fornitore dei servizi per i nostri utenti europei". Il che lascia supporre una sostituzione più ampia rispetto alle semplici questioni di privacy. Nel bilancio 2012 della srl italiana - ultimo disponibile depositato - si legge che la società è soggetta a "attività di direzione e coordinamento" da parte dei Yahoo! Sarl, mentre il socio unico è Yahoo! Netherlands B.V.

Si specifica quindi che "in virtù del contratto di commissionaire in essere con la mandante Yahoo! Sàrl", tutti i "servizi vengono venduti alla clientela in nome proprio ma per conto della suddetta mandante, verso il pagamento di una congrua commissione determinata secondo criteri di mercato". In quel documento, il conto economico riclassificato chiuso al 31 dicembre 2012 mostra ricavi per 10,8 milioni e un risultato netto di 457mila euro. La voce "imposte sul reddito" pesa per 209mila euro di Irap, mentre il riporto delle perdite fiscali dei primi tre esercizi porta a zero il conto dell'Ires.

Yahoo! Sarl, è invece la società che il gruppo ha stabilito in Svizzera, a Rolle, nel canton Vaud. Sempre nel bilancio 2012 della srl italiana si riporta un estratto del suo conto economico 2011: valore della produzione per 621 milioni di franchi, 8,2 milioni di imposte su reddito e 8 milioni di utile d'esercizio.

La stampa della Confederazione aveva accolto come una grande notizia la decisione della compagnia web di stabilirsi al riparo delle Alpi, ma dopo soli cinque anni - a fine 2013 - si è ritrovata a commentare una retromarcia: Yahoo! ha deciso di accentrare la gestione europea in Irlanda. Su swissinfo.ch, la portavoce Judith Serl aveva parlato di una decisione "non basata su questioni fiscali".

Posizione ribadita oggi dalla società, che risponde a una richiesta sul tema ricordando che la mossa segue l'annuncio dell'espansione delle attività irlandesi di un anno fa: "La struttura della nostra attività è guidata da esigenze di business e crediamo che sia nell'interesse dei nostri utenti avere Yahoo EMEA come fornitore di tutti i servizi per tutti gli utenti della regione". Due le ragioni industriali citate al riguardo: "L'Irlanda ha una vasta rete infrastrutturale di data center che ci aiuta a servire i nostri utenti europei nel modo più efficiente". In secondo luogo, "Dublino è già la sede europea di molti dei marchi tecnologici leader nel mondo ed è già dimora di Yahoo da oltre un decennio".


2. PERCHÉ DIFENDO LA EXIT TAX DALLE CRITICHE DEL PROF. FORTE (CON UNA CODA SULL'ENI)

Lettera di Massimo Mucchetti* al "Foglio"
*presidente della commissione Industria del Senato

Al direttore - Mi permetti di ringraziare Francesco Forte? Economista torinese di rango, già vicepresidente dell'Eni durante la Prima Repubblica, il professor Forte attribuisce a un'ideuzza sulla Fiat che avevo manifestato a un giornalista del Fatto un'influenza sul tasso di disoccupazione in Italia.

E dire che credevo all'irrilevanza del politico... Ma siccome ci credo ancora, per ridimensionare tutto tornerei al punto: se cioè il trasferimento della sede fiscale della Fiat a Londra non implichi, oltre all'esterovestizione dell'azionista della Stampa e del Corriere (può essere che interessi solo ai giornalisti, e nemmeno a tutti), anche il pagamento della Exit tax. Senza farla tanto lunga, questa imposta una tantum scatta nel momento in cui viene trasferita all'estero la base imponibile.

Esiste in molti paesi europei. Ha l'appoggio delle economie industriali, meno di quelle mercantiliste, ancorché pure l'Olanda ce l'abbia. Sappiamo bene che non sarà mai un'imposta a scoraggiare operazioni come quelle fatte dagli Agnelli. Ci vuole altro.

E, in questo "altro", per togliere un handicap all'Italia, abbiamo esortato a rendere legittime le azioni a voto multiplo, tipiche del capitalismo nordico, care ai nuovi Agnelli ma potenzialmente utili in tante imprese. Nell'occasione, poi, abbiamo legato lo sviluppo dell'auto alla politica industriale con due esempi. Primo, lo stato che si assume parte dei costi di ristrutturazione del settore ed entra pure nel capitale di talune case automobilistiche. Non è il Vangelo, ma non di rado funziona.

Secondo, l'importante accordo Gm-Politecnico di Torino che, assumendo ingegneri dai centri Fiat, contrasta il ridimensionamento della ricerca dell'unico produttore italiano in Italia. Abbiamo concluso auspicando un secondo produttore in Italia. Ma alla fine della giornata, ove mai la struttura dell'operazione Fca facesse emergere gli estremi per l'applicazione della Exit tax, perché dovremmo girare la testa dall'altra parte? L'Irap è l'Irap, e tutto quanto possa servire a ridurne l'incidenza sul costo del lavoro è benvenuto.

Grazie a Forte per i consigli. E però la tassa sulle migrazioni d'oro delle basi imponibili è un'altra faccenda. Specialmente quando, nel caso specifico, abbia alle spalle storie di tesoretti off shore come quelli attribuiti, secondo le gazzette, al ramo della dinastia che faceva capo all'Avvocato dalla di lui figlia, Margherita.

Forte censura la Exit tax sul piano giuridico. Come si fa a contestare le contestazioni di chi tenne lezione dalla cattedra di Luigi Einaudi? Sia solo consentito al cronista che fui di riferire come tante autorevolissime riserve non abbiano trovato molte conferme nelle sentenze. Forse nessuna, almeno finora. D'altra parte, la concorrenza fiscale tra stati dell'Unione europea e tra l'Unione e il resto del mondo è una politica che, ai tempi della globalizzazione, favorisce arbitraggi regolatori che generano problemi e paradossi disintermediando lo stato di diritto.

Diceva Nenni, a proposito dei moralisti: "C'è sempre uno più puro che ti epura". Direi oggi a proposito del fisco: "C'è sempre uno stato che abbassa l'aliquota più di te". Il Regno Unito, paradiso per la Fiat, si sente inferno quando l'Irlanda gli sottrae con smagati magheggi l'imponibile dei colossi del web realizzato sul suo territorio.

Per non pagare le tasse a Washington, le multinazionali Usa trattengono all'estero 800 miliardi di dollari di liquidità, accumulati in pochi anni dall'ultimo condono (che non portò al paese gli investimenti promessi a Bush Jr. ma dividendi aggiuntivi per gli azionisti, a carico dell'Erario).

E tuttavia la manifattura Usa oggi riprende a correre. Perché? Le tasse sono quelle di prima, ma due nuovi motori sono stati attivati: a) le ristrutturazioni industriali e bancarie, accettate dai sindacati anche perché ingentissimi finanziamenti statali in regime di deficit spending a sostegno della domanda interna fanno sperare che i sacrifici non saranno vani; b) i crescenti risparmi sui costi energetici derivanti dallo shale gas, un punto di pil secondo David Sandalow; e domani arriverà lo shale oil.

Ma quando, nel 2010, criticai sul Corriere l'Eni che non aveva capito per tempo la rivoluzione energetica Usa e i suoi effetti sui prezzi, il professor Forte, già allora preoccupato che facessi disastri, spargeva scetticismo sullo shale gas a difesa del management dell'Eni che aveva scommesso sull'allungamento dei contratti take or pay e sul rapporto privilegiato con la Russia di Putin.

 

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