UNA PENNICA CI SALVERÀ - CI HANNO SEMPRE DETTO CHE PER STARE BENE BISOGNA DORMIRE ALMENO OTTO ORE FILATE (MAGARI): MA SIAMO SICURI CHE IL SONNO IN UN’UNICA FASE SIA LA SCELTA MIGLIORE? SECONDO ALCUNI ESPERTI SAREBBE MOLTO MEGLIO SPEZZARE E DIVIDERLO IN DUE CICLI DA 4 ORE, PER AUMENTARE LA CONCENTRAZIONE E MIGLIORARE I PROBLEMI DI INSONNIA. MA CHI PUÒ DEDICARE TUTTO QUEL TEMPO AL RIPOSO?
Mariella Bussolati per www.businessinsider.com
Oggi sembra che siamo tutti adattati alle otto ore, ma, secondo Ekirch, i problemi di insonnia potrebbero avere origine dalla naturale tendenza a dormire invece in due fasi. Non a caso sono sorti proprio a partire dal secolo scorso. Oggi, nel mondo, le persone che soffrono di insonnia cronica sono circa il 10 per cento. Molte persone che si svegliano di notte vanno in ansia. Dovrebbero invece accettare, svegliarsi del tutto, fare qualcosa, e continuare dopo. Con una accortezza: le luci elettriche alterano il ciclo circadiano. Quindi bisognerebbe fare attenzione ad avere luci a bassa potenza, meglio ancora quelle di una candela.
Ce lo hanno detto fin da piccoli: per stare bene bisogna dormire otto ore. Poi nella pratica abbiamo visto che ce la si poteva fare anche con sette, o sei, e con un po’ di sonnolenza nell’arco della giornata. I pochi fortunati che si potevano permettere una pennichella, venivano ritenuti degli sfaccendati.
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Abbiamo sbagliato tutto. Il sonno in un unica fase, ovvero andare a dormire solo la sera e svegliarsi la mattina, non è l’unica possibilità e soprattutto non sembra essere un imperativo biologico.
Dormire in un unica sessione infatti è un’abitudine recente. Fino al 1700 si dormiva in un altro modo, e solo dai primi anni del 900, con l’era industriale, è diventata una pratica obsoleta. Il primo ad accorgersi che qualcosa poteva essere diverso fu lo psichiatra Thomas Wehr che negli anni novanta fece un esperimento. Mise un gruppo di persone in un luogo dove ogni giorno c’erano 14 ore di buio totale. Dopo un periodo di adattamento, il loro sonno cambiò: dormivano 4 ore, stavano svegli per una o due e poi dormivano di nuovo per altre quattro ore.
Nel 2006 lo storico Roger Ekirch ha pubblicato il libro At Day’s Close: Night in Times Past, frutto di indagini approfondite. Raccogliendo antichi diari, brani di autori classici come Dickens e Cervantes e osservando popolazioni selvatiche, ha scoperto evidenze storiche del fatto che l’uomo, un tempo, dormiva in due fasi.
La pratica più comune sembra fosse quella di andare a dormire due ore dopo il crepuscolo, svegliarsi poi per due, dormire fino all’alba. L’intervallo non era affatto tempo perso. Oltre ad andare in bagno e fumare, chiacchieravano tra loro o facevano visita ai vicini, facevano sesso, tagliavano la legna o altri lavori casalinghi, scrivevano, leggevano o pregavano.
Ci sono molti manuali di preghiera del tardo quindicesimo secolo che indicano orazioni adatte a quel momento. Poi, con l’inizio del 1700 e la rivoluzione economica, le classi più agiate del nord Europa cambiano modello, e nei 300 anni successivi le otto ore filate diventano quello dominante. La luce nelle strade, i nuovi ritmi di lavoro, ma anche i caffè, diventati punti di ritrovo serale, contribuiscono. La notte diventa un momento di socialità e si impara a rimandare il sonno e a concentrarlo dopo.
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Ci sono culture che hanno trovato una via di uscita: in Sudamerica, India, Cina, un tempo nel Mediterraneo, la siesta è una questione sociale. Non è a poca distanza dall’altro momento di riposo, ma la divisione in due periodi vale lo stesso. La società occidentale classica non può invece permettersi questa flessibilità, e tutti si devono conformare.
Eppure potrebbe essere meglio tornare al passato. Le sperimentazioni effettuate da molti medici raccontano infatti che aumenta l’attenzione, la creatività e l’attività, diminuisce invece la sonnolenza e la distrazione tipiche di chi ha dormito poco.
Uno studio internazionale dell’Università di Napoli e di Università americane ha dimostrato che le pennichelle migliorano la memoria, l’apprendimento e anche il nostro umore. In generale hanno un importante ruolo positivo per tutte le nostre funzioni neurocognitive. E la ricerca conferma anche che il sonno in due fasi, comunque vengano effettuate, fa riposare di più.
Potrebbe dunque essere interessante valutare la possibilità di variare l’orario di lavoro per permettere riposi intermittenti, purché il totale di sonno raggiunga sempre le otto ore. Chi lavora a turni, soprattutto se notturni potrebbe rendere meglio. In una pubblicazione del Reparto di Neurologia dell’Aeronautica Militare Italiana, vengono riportati i risultati di un esperimento fatto sui piloti in cui due ore di attività venivano alternate a 4 di riposo per 4 volte nell’arco di 24 ore. La maggior parte dei soggetti dormivano solo negli ultimi tre riposi, il tempo totale di sonno era ridotto, ma venivano mantenuti ottimi livelli di vigilanza, e nessuno andava soggetto ad addormentamenti durante l’attività.
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Oggi sembra che siamo tutti adattati alle otto ore, ma, secondo Ekirch, i problemi di insonnia potrebbero avere origine dalla naturale tendenza a dormire invece in due fasi. Non a caso sono sorti proprio a partire dal secolo scorso. Oggi, nel mondo, le persone che soffrono di insonnia cronica sono circa il 10 per cento. Molte persone che si svegliano di notte vanno in ansia. Dovrebbero invece accettare, svegliarsi del tutto, fare qualcosa, e continuare dopo. Con una accortezza: le luci elettriche alterano il ciclo circadiano. Quindi bisognerebbe fare attenzione ad avere luci a bassa potenza, meglio ancora quelle di una candela.
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