‘’CHI DIAVOLO HA FATTO QUESTO FILM?’’ - DOPO QUATTORDICI ANNI, RITORNA IN LIBRERIA UNO DEI PIÙ MERAVIGLIOSI, E FONDAMENTALI, LIBRI DI CINEMA E SULLE SUE MITOLOGIE CHE SIANO MAI STATI SCRITTI - CI VUOLE UN VOLUMONE DI 1100 PAGINE PER RACCOGLIERE LE INTERVISTE DI PETER BOGDANOVICH A SEDICI REGISTI FRA CUI HOWARD HAWKS, ALFRED HITCHCOCK, GEORGE CUKOR, LEO MCCAREY E FRITZ LANG - È ANCHE GRAZIE ALLA MAESTRIA DEL REGISTA DI “L’ULTIMO SPETTACOLO” E DI “PAPER MOON” CHE I GIGANTI DEL CINEMA SI OFFRONO SENZA SPOCCHIA. D’ALTRA PARTE UNA DELLE DOTI DISTINTIVE DEI GRANDI È L’UMILTÀ…
Alberto Anile per “la Repubblica – Robinson”
Un brivido percorse la schiena di Peter Bogdanovich quando Fritz Lang, in una sera estiva del 1965, lo fissò attraverso il monocolo avvertendolo: «Tu ricorda soltanto che per quello che ottieni paghi! » .
Col tempo Bogdanovich si è reso conto che per Lang la massima era stata vera: ex idolo del cinema di suspense, tanto che Hitchcock veniva definito “il Fritz Lang inglese”, era fuggito in America dal nazismo, ebbe una carriera sempre più in salita e finì, cieco, a Beverly Hills, dove a volte lo chiamavano “ l’Alfred Hitchcock tedesco”.
Ma l’assioma di Lang si è rivelato vero anche per Bogdanovich: gratificato dell’amicizia di cineasti da Orson Welles a Roger Corman, con il trittico L’ultimo spettacolo, Ma papà ti manda sola? E Paper Moon diventò una delle cine promesse più solide d’inizio anni Settanta.
Il contrappasso iniziò quando lasciò la moglie e collaboratrice Polly Platt per la giovanissima Cybill Shepherd (sul triangolo venne girato anche un film, lo spassoso e sottovalutato Vertenza inconciliabile, con Ryan O’Neal nel ruolo del regista e Sharon Stone in quello della giovane attrice che fa deragliare il matrimonio).
Il talento cominciò a sgretolarsi. Poi, sul set di ‘’… E tutti risero’’, conobbe un’altra bellissima, Dorothy Stratten, con la quale visse mesi di pura estasi prima che l’ex compagno la uccidesse per suicidarsi subito dopo. Il regista ne rimase segnato; nell’88 arrivò a sposare la sorella minore di Dorothy, per poi divorziare tredici anni dopo. La sua carriera si avvitò sempre di più, ottenendo ancora qualche risultato notevole (Dietro la maschera) e vere e proprie cadute (Illegalmente tuo).
Un’altra cosa che ha spesso amareggiato Bogdanovich è il modo in cui la sua carriera d’autore cinematografico è stata generalmente intesa e analizzata. Lo spiega lui stesso nella lunga introduzione (un vero e proprio libro nel libro) a ‘’Chi diavolo ha fatto questo film?’’, fondamentale raccolta di interviste a sedici registi fra cui Howard Hawks, Alfred Hitchcock, George Cukor, Leo McCarey e appunto Fritz Lang, uscita in Italia quattordici anni fa e ora riedita da La nave di Teseo in un’edizione di 1100 pagine.
«Tutto o quasi tutto quel che è stato scritto su di me nel corso della mia carriera di cineasta», dice Bogdanovich, «contiene invariabilmente l’affermazione che sono stato il primo critico cinematografico americano a diventare regista. Questa versione riveduta, abbreviata e fuorviante della mia vita s’è perpetuata negli anni, e ha finito per nuocermi, perché le sue inesattezze hanno impedito ai critici e al pubblico di capire sul serio da quali esperienze venissi, e ha causato una serie di equivoci interpretativi».
MI AMERANNO QUANDO SARO MORTO - IL DOCUMENTARIO DI PETER BOGDANOVICH SU ORSON WELLES
Infatti: è vero che la notorietà di Bogdanovich è iniziata con l’attività di critico e organizzatore di rassegne, che alcuni dei suoi libri (su Welles e Lang, ma anche queste interviste) hanno diritto di cittadinanza nelle librerie di ogni vero esperto di cinema, e che i suoi film sono intessuti di omaggi per la Hollywood fra Venti e Cinquanta, ma la sua formazione è più vicina al teatro di quanto la vulgata giornalistica abbia tramandato.
Concepito in Europa da un serbo ortodosso e un’austriaca ebrea, Peter Bogdanovich nacque a Kingston, New York, ed ebbe precoci segni di creatività d’interprete: alle elementari lo chiamavano Bugs per la sua imitazione di Bugs Bunny. Ha fatto tanto teatro, come dilettante ma anche da professionista, prendendo lezioni di recitazione dalla mitica Stella Adler.
Insomma al teatro ( e alla recitazione) si è dedicato tanto, prima di venire assorbito dal cinema, e non è un caso che la sua carriera si sia ripresa a inizio millennio con un ruolo d’attore, lo psicanalista Kupferberg, nella serie I Soprano, e che il suo ultimo lungometraggio di finzione sia il delizioso Tutto può accadere a Broadway ( 2014; l’ultimissimo èThe Great Buster, documentario su Keaton, del 2018).
Tornando a Chi diavolo ha fatto quel film?, le interviste raccolte sono di varie lunghezze (dalle 3 pagine con Joseph von Sternberg alle 155 di Howard Hawks) ma tutte di uguale passione per i meccanismi e le mitologie del cinema. Bogdanovich è curiosissimo di dettagli (location, riscontri di cronaca, scene tagliate) ma anche caldo e umano interlocutore di talenti eccezionali, ai quali l’autore consacra sempre alcune pagine preliminari che sono veri e propri saggi critici, intrisi di devozione e gustosa aneddotica.
È anche grazie alla maestria dell’intervistatore che gli intervistati si offrono in genere senza particolare spocchia. D’altra parte una delle doti distintive dei grandi è l’umiltà.
Così, all’ultima domanda dell’ultima intervista, quando Bogdanovich chiede a Sidney Lumet un consiglio per i principianti, il regista de Il verdetto risponde «una delle cose più importanti che ho imparato è a non dare consigli».
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