“IL VIRUS PASSERÀ INESORABILMENTE DAI GIOVANI AGLI ANZIANI FACENDO SALIRE RICOVERI. E PURTROPPO ANCHE I DECESSI” - ANDREA CRISANTI PROFETIZZA SVENTURE: “COSÌ COME SIAMO IL SISTEMA È SATURO, ORMAI L'AUMENTO DEI CASI NON LO FERMIAMO PIÙ. DOBBIAMO DIMINUIRE I CONTATTI INTERPERSONALI O CI FERMIAMO TUTTI PER DUE TRE SETTIMANE. CI SIAMO ILLUSI E ABBIAMO SCOPERTO, IN RITARDO, CHE IL NOSTRO POTENZIALE DI FUOCO DEI TEST ERA INSUFFICIENTE A INTERCETTARE IL VIRUS. SERVE UN PIANO DA 300 MILA TAMPONI AL GIORNO"
Paolo Russo per “la Stampa”
«Mamma mia, che disastro». La voce di Andrea Crisanti è sconsolata. La lettura dei contagi turba anche lui, microbiologo di fama al prestigioso "Imperial College" di Londra e noto in Italia come il padre del "modello Vo", quello che all'inizio dell'epidemia ha contribuito non poco a limitare i danni in Veneto. «Adesso è tardi per il contact tracing - spiega - con questi numeri bisogna diminuire i contatti personali e passare a chiusure via via più estese».
C'è poco da illudersi: «Il virus passerà inesorabilmente dai giovani agli anziani facendo salire ricoveri. E purtroppo anche i decessi». Prima del bollettino ha detto "continuando così sarà lockdown a Natale".
tamponi on the road coronavirus
Con gli oltre 7.300 contagi di oggi non si rischia di doverlo fare prima?
«Era una battuta per dire che così come siamo il sistema è saturo. Le previsioni non si fanno però sui numeri dei nuovi contagi, bensì sul rapporto tra nuovi positivi identificati e persone in isolamento domiciliare».
Si spieghi meglio
«Per ogni nuovo contagiato è necessario identificare in media tra le 15 e le 20 persone con le quali è venuto a stretto contatto. Con oltre settemila nuovi casi di positività dovremmo rintracciare e mettere in isolamento domiciliare 140 mila persone. Invece leggo che nelle ultime 24 ore ne sono finite in quarantena appena 1.300. Vuol dire che il 95% di quelle persone potenzialmente infette circola liberamente per il Paese. E' la Caporetto della prima linea difensiva, il contact tracing».
C'è ancora tempo per ridurre la curva dei contagi?
«Ormai l'aumento dei casi non lo fermiamo più né con il contact tracing e nemmeno con quello che chiamiamo "network testing". Tanto per capire, il metodo che abbiamo utilizzato a Vo' Euganeo o al Senato, testando un'intera comunità a rischio di contagio».
Allora che armi ci restano?
«Da spendere abbiamo solo le misure di contenimento dei contatti sociali».
Ossia?
«Diminuire i contatti interpersonali come già si cerca di fare, per poi passare via via alla chiusura delle attività meno essenziali e, se si rendesse necessario, alle altre. Altrimenti bisognerà girare quello che gli inglesi chiamano l'interruttore di trasmissione: ci fermiamo tutti per due tre settimane».
Sta dicendo che le misure varate dal governo con l'ultimo Dpcm sono insufficienti a contrastare questa che a tutti gli effetti è una seconda ondata?
«Nessuno può dirlo. Vedremo tra due settimane. Non voglio far polemiche, perché in questo momento ho a cuore solo l'interesse del Paese, ma quello che si poteva fare l'ho già proposto tempo fa».
Si riferisce al piano da 300 mila tamponi al giorno?
«Si. Con 40 milioni di investimento potremmo acquistare i macchinari capaci di processare più tamponi in meno tempo e con minor uso di reagenti, come abbiamo fatto a Padova. Il costo a regime sarebbe di due milioni al giorno. Con il modo che abbiamo oggi di eseguire i test stiamo spendendo di più».
Con oltre 1.800 contagi la Lombardia e soprattutto Milano vanno chiuse subito?
«Prima di proporre un lockdown regionale o urbano bisogna analizzare i dati nel dettaglio. Vedere se la circolazione del virus è diffusa in tutto il territorio o solo in determinati ambiti. Di certo però lì la curva ha preso una brutta piega».
Quando e perché la situazione ci è sfuggita di mano?
«Non abbiamo capito perché eravamo in una posizione privilegiata rispetto a Francia e Spagna, dove la curva epidemica si era già impennata mentre noi avevamo al massimo mille casi al giorno. Il punto non è che il virus fosse meno aggressivo, come ha raccontato qualcuno, è solo che con quei numeri riuscivamo a isolare i focolai e a testare intere comunità dove sapevamo che il virus circolava. Ci siamo illusi. Poi, con la ripresa di scuole e attività produttive, abbiamo scoperto, in ritardo, che il nostro potenziale di fuoco dei test era insufficiente a intercettare il virus».
Cosa potevamo invece fare?
«Varare un piano nazionale di sorveglianza con investimenti massicci per aumentare il numero dei tamponi. Quelli veri, non questi rapidi che hanno ancora una sensibilità bassa e non vanno bene in situazioni come quelle di una classe dove ci sia un positivo ed è necessario invece testare tutti con il tradizionale tampone molecolare. Quelli rapidi funzionano per gli screening, che sono un'altra cosa. Tipo: testo tutta una scuola per capire se e quanto virus vi circoli».
Il virus circola ancora soprattutto tra i giovani. Cosa dobbiamo fare perché non lo trasmettano agli anziani?
«Fare subito campagne di comunicazione serie sui social, adottare misure di sorveglianza stretta nelle case di riposo e nelle Rsa. Ma l'innalzamento dell'età media dei contagi è inevitabile. Così come lo è l'aumento dei ricoveri e purtroppo dei morti».