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AD AVIGNONE FA SCALPORE LO SPETTACOLO “CARTE NOIRE NOMMÉE DÉSIR”, DOVE UN GRUPPO DI ATTRICI DI COLORE, TRA LE ALTRE COSE, INFILZANO BAMBOLOTTI BIANCHI PER “SOTTOLINEARE GLI STEREOTIPI SUI NERI”. IL PUBBLICO NON HA GRADITO: HA URLATO “QUESTA È  CASA NOSTRA” E HA AGGREDITO LE ATTRICI – NEL CLIMA DA GUERRA CIVILE CHE SI RESPIRA OLTRALPE, SI SENTIVA DAVVERO IL BISOGNO DI QUESTA PROVOCAZIONE?

 

DAGONEWS

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La Francia, si sa, ha un problema serio con l’integrazione e il suo passato coloniale. Molti immigrati di seconda generazione non si sono mai integrati, e restano confinati nelle banlieue parigine, enormi ghetti dove si cova il risentimento verso il Paese, con esiti a volte nefasti (basti pensare alle rivolte cicliche o agli attentati terroristici del 2015 e del 2017.

 

Chi si integra, invece, resta comunque ancorato a una visione polarizzata della realtà: da un lato, i colonialisti-imperialisti bianchi, dall’altro le ex colonie, sfruttate, drenate, in una parola, vittime.

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A volte, però, per manifestare una comprensibile rivendicazione, capita di farsi prendere la mano ed esagerare. È quello che è successo con lo spettacolo “Carte noire nommée désir” (“Una carta nera chiamata desiderio”), andato in scena con la regia di Rébecca Chaillon martedì 25 luglio, al Festival della città di Avignone.

 

Lo spettacolo viene descritto così sul sito ufficiale del Festival: “Otto donne sul palco. Sono artiste e di colore.

 

Ci guardano prima di parlare e, con la massima sincerità, ci raccontano la loro vita in una serie di numeri usciti da un racconto afro-futurista. Il loro tema? La figura della donna nera come oggetto di fantasia. Un'immagine lontana dalla loro vita quotidiana in una società francese che permette loro di essere solo al servizio degli altri.

 

 

 

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Insieme, in un caos gioioso, costruiscono uno spettacolo di verità che manda magistralmente in frantumi l'immaginario coloniale e la sua scia di cliché. Cliché che sono tenaci, razzisti, sessisti... Ma non c'è nulla di rassicurante o di moralizzante in loro. Questi otto guerrieri della performance irradiano la loro incredibile presenza in questo brillante e feroce slam che fa saltare i nostri punti di riferimento dominanti.

 

Dalla danza frenetica alle acrobazie aeree o a una frenetica sessione di twerking, Rébecca Chaillon, regista, autrice e performer afro-militante nera nata a Montreuil, ha scelto un registro completamente diverso per scuotere i nostri punti di riferimento: umorismo barocco, appropriazione indebita carnevalesca e, soprattutto, sorellanza”

Rebecca Chaillon

 

Per 2 ore e 45 minuti, otto donne nere si esibiscono per sottolineare, tra le altre cose, gli stereotipi e le fantasie che i bianchi hanno sui corpi dei neri.

 

Quello che l’organizzazione non dice è che nelle 2 ore e 45 minuti di durata le signore per manifestare la loro “sorellanza” afro e sottolineare gli stereotipi sui corpi dei neri, mettono in piedi performance quantomeno discutibili.

 

Una su tutte? A un certo punto prendono dei bambolotti che rappresentano dei bebè  e li infilzano. Ovvio che lo spettacolo non sia passato inosservato, e abbia scatenato numerose polemiche.

 

Anche – ed è la cosa davvero incredibile – tra gli spettatori paganti, che sapevano cosa sarebbero andati a vedere e non sono certo pericolosi sovranisti come Le Pen o Zemmour. Ebbene, alcuni di loro hanno ripetutamente aggredito gli interpreti nella palestra del Lycée Aubanel, dove lo spettacolo era in corso, e successivamente nelle strade di Avignone, all’urlo di “Questa è casa nostra”.

 

 

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Secondo la Compagnie Dans le Ventre, che ha prodotto la piece, si sono verificate violenze durante almeno tre delle cinque repliche, al festival di Avignone. Una sera, dal pubblico hanno alzato il dito medio quando le attrici hanno parlato della violenza della polizia. Durante la penultima rappresentazione di lunedì 24 luglio, uno spettatore ha colpito uno degli interpreti durante un gioco di mimo alla fine dello spettacolo.

 

La compagnia sottolinea che questa parte dello spettacolo prevede un protocollo specifico: prima dell'inizio dello spettacolo, le luci vengono accese e al pubblico viene detto che quello che sta per succedere è un gioco. Utilizzando dei mimi, gli artisti cercano di far indovinare al pubblico delle parole. Per far indovinare al pubblico la parola "colonizzazione", gli artisti prendono le borse degli spettatori in platea. È stato in quello specifico passaggio che uno spettatore bianco ha colpito uno degli artisti.

 

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Tiago Rodriges, direttore del Festival, si è detto scioccato da questi attacchi a sfondo razziale. A suo avviso, "gesti violenti e razzisti non sono accettabili al Festival di Avignone e questo comportamento non rappresenta il pubblico del Festival". Ma forse, con il clima di scontro razziale che si respira nel Paese almeno dalla morte del giovane Nahel a Nanterre, il 27 giugno, potevano aspettarselo.

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