UN TIPO MOLESTO – ALBERTO GENOVESE AVEVA MESSO IN PIEDI UNA VERA STRUTTURA PER SELEZIONARE LE RAGAZZE: LE VOLEVA MOLTO GIOVANI, OVVIAMENTE BELLE, MAGRE MA SOPRATTUTTO SEMPRE PRONTE A DROGARSI – OGNUNO DEI SUOI UOMINI AVEVA UN RUOLO PRECISO – IL PRIMO CONTATTO AVVENIVA SUI SOCIAL E DI PERSONA CON UNO DEI COLLABORATORI. POI VENIVANO INVITATE A TERRAZZA SENTIMENTO, A IBIZA O MYKONOS. A UN CERTO PUNTO LUI NE INVITAVA UNA A FARSI UNA STRISCIA DI COCA IN CAMERA DOVE, QUASI SEMPRE, SI FINIVA A FARE SESSO ESTREMO. C'ERA CHI ACCETTAVA E CHI VENIVA RESA INCOSCIENTE...
Giuseppe Guastella per www.corriere.it
Molto giovani e belle, preferibilmente magre e senza forme eccessivamente evidenti, ma soprattutto sempre pronte a drogarsi: dovevano essere solo così le ragazze ammesse a Terrazza sentimento.
Per trovarle tra social e discoteche, e poi portarsele a letto volenti o nolenti, Alberto Genovese ha messo in piedi una vera e propria struttura che non lasciava nulla all’improvvisazione, in cui ciascuno dei suoi uomini aveva un ruolo preciso, esattamente come nelle sue startup di successo che ha venduto a peso d’oro.
Dopo quattro mesi di indagini della squadra mobile della Polizia, coordinate dal pm milanese Rosaria Stagnaro e dall’aggiunto Letizia Mannella, dalle carte d’inchiesta emerge come l’imprenditore 43 enne applicasse le sue riconosciute capacità manageriali alle feste e alle vacanze da sogno che impegnavano la sua vita dopo che, a partire dal 2015, si era allontanato dalla gestione operativa delle sue società ed era finito nel tunnel della cocaina che consumava in grande quantità.
Subito dopo l’arresto del 6 novembre, molte voci dicevano che tutti nella corte dei miracoli che circondava Genovese e gozzovigliava alle sue spalle sapevano perfettamente che drogava e poi violentava bestialmente le ragazze nella sua camera da letto dalla porta sbarrata e sorvegliata da un bodyguad.
Ora, però, il quadro descritto dai detective guidati da Marco Calì appare più articolato e comprende una struttura con un «modello operativo», «efficace ed organizzato» che negli ultimi anni è stato applicato «maniera seriale» con ciascuna ragazza.
Il modello funzionava così: le ragazze «venivano individuate e contattate» sui social o di persona dai collaboratori di Genovese, Alessandro Paghini e poi Daniele Leali (indagato per spaccio di droga), e selezionate «secondo caratteristiche fisiche costanti» e, prima di tutto, se amavano drogarsi.
Perché «Alberto Genovese prediligeva circondarsi di persone» che dividessero con lui la droga che lui stesso pagava. Dopo averle valutate in foto, se corrispondevano «al suo gusto estetico», i loro nomi venivano inseriti nelle liste degli invitati ai quali era concesso di accedere all’attico e superattico a due passi dal Duomo di Milano oppure di partecipare, senza spendere un euro, alle sontuose vacanze ad Ibiza o a Mikonos. Le ragazze facevano la fila per essere invitate nelle splendide magioni, sia perché avevano la possibilità di incontrare personaggi famosi ed imprenditori di successo, sia perché c’era da bere e mangiare bene, buona musica e droga a volontà.
LA VITTIMA DI ALBERTO GENOVESE PARLA A NON E' L'ARENA
Ad un certo punto, Alberto Genovese invitava una di loro a farsi una striscia in camera da letto dove, quasi sempre, si finiva a fare sesso. C’era chi accettava il rapporto sessuale estremo, ma anche chi, sostiene l’accusa, veniva resa incosciente con un tipo di droga in grado di vincere ogni sua resistenza.
I pm Mannella e Stagnaro dicono che ci sono stati casi in cui era la fidanzata di Genovese Sarah Borruso a convincere la <prescelta> con un pretesto, come quello di un consiglio su un abito da mettere. Poi arrivava Genovese che, come al solito, offriva un’altra striscia e chiudeva la porta alle sue spalle.
Javier Verastegui Melgarejo, il peruviano factotum e autista della Lamborghini di Genovese, era l’ombra del suo datore di lavoro. Organizzava operativamente le feste più importanti, quelle con almeno 50 persone che sono state la disperazione dei vicini, costretti a notti insonni dalla musica a volume impossibile e dagli schiamazzi. «Ricevevo una lista di persone autorizzate da Daniele Leali.
daniele leali alberto genovese
Prima della festa mi occupavo di rifornire le bevande, rendere la casa accessibile agli ospiti, e contattare lo staff (…). Genovese si preoccupava principalmente che la casa fosse accogliente e che lo staff avesse le caratteristiche di quello di un vero club». Faceva lo stesso a Villa Lolita di Ibizia, teatro, per l’accusa, di alcune violenze sessuali e dove «tutto era completamente a carico di Genovese che ha pagato a tutti ogni cosa, perfino le sigarette».
L’uomo aggiunge di aver visto sia a Milano che in Spagna «più volte dei piatti con la droga in polvere che venivano portati dentro casa da Alberto o da altri amici di Alberto come Daniele Leali». Come funzionava la lista delle ragazze? «Come in qualsiasi discoteca. Le donne, quando si può, si fanno sempre entrare, purché siano molto belle», risponde il factotum che dichiara di non aver mai visto Genovese «aggredire una ragazza, anche perché lui ha sempre rapporti molto aperti», con le sue fidanzate, nel senso che lui può tradirle o imporre rapporti sessuali a tre con un’altra donna.
Per Genovese la giovane età delle ospiti era un dogma. Lo conferma Alessandro Paghini: «Diceva che una donna dopo i 24 anni è vecchia. Quindi le ragazze dovevano essere giovani, sempre che avessero almeno 18 anni, e che fossero disponibili ad usare sostanze stupefacenti. È successo anche che io gli abbia inviato delle foto perché preferiva vederle». Come detto, dovevano drogarsi. «Cercavo di essere sicuro che non fossero completamente lontane dall’uso delle droghe, perché sapevo che per Alberto era una caratteristica importante». Con loro, infatti, si chiudeva «in stanza anche per due o tre giorni e alternava sempre droga e sesso, droga e sesso. Alberto ha sempre sostenuto che tutti dovevano fare lo stesso uso di droga che faceva lui. Dovevano raggiungere il suo stesso stato. Lui a volte non usciva dalla stanza finché noi non eravamo già alterati dalle droghe e molto vicini al suo stato. E così immagino facesse anche con le ragazze».
Solo che, per la Polizia e la procura di Milano, almeno sei di loro sono state ferocemente violentate. Per Paghini Genovese era un uomo “malato nella testa”, che vive “una situazione malata”, scrive in un messaggio. «La verità – dice ad una delle ragazze - è che se si va a casa di Alberto e non c’è Alberto ci divertiamo cento volte di più. Cioè una volta che lui si chiude in stanza e gli abbiamo dato in pasto il pesce quotidiano, la tipa giusta…bon…per quelle ore ti diverti, poi quando torna su lui è tutto finito….>.
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