RITORNO AL “1968” - UN ANNO CRUCIALE RIVIVE NELLA NUOVA RACCOLTA DI REPORTAGE DI ORIANA FALLACI - LA GIORNALISTA FIORENTINA, DAL VIETNAM ALLA MESSICO, RACCONTA ANCHE LA RIVOLUZIONE CULTURALE DI MAO: “A HONG KONG IL COMUNISMO NON SI NUTRE DI MARX MA DI XENOFOBIA. PER ANNI I CINESI SONO STATI RESPINTI COME CANI”
Estratto del libro di Oriana Fallaci “1968” pubblicato da “La Verità”
Esce “1968” (Rizzoli, 460 pagine, 20 euro), il libro che con- tiene una serie di lunghi repor- tage, mai raccolti in un volume, firmati da Oriana Fallaci. Grazie alla testimonianza diretta della grande giornalista e possibile ricostruire cio che accadde in quell’anno cruciale. Nell’estratto che pubblichiamo, uscito sull’Europeo il 28 marzo 1968, la Fallaci, di ritorno dalla guerra nel Vietnam, si ferma a Hong Kong, assediata dalla rivoluzione culturale di Mao. Poi raggiunge Macao, ormai nelle mani dei comunisti.
Oriana Fallaci La guardi dall'aereo e ti sembra quasi impossibile che un posto così piccolo possa incutere tanta paura, diventare un' altra scintilla di guerra. Non è un paese, è un' isoletta. A pensarci bene non è nemmeno un' isoletta: è una nave ancorata in un porto, una banca dove lavorano quattro milioni e mezzo di persone. Oltre la metà della popolazione di New York, oltre il doppio della popolazione di Roma. La gente vi arriva da ogni parte dell' Asia, i ricchi per diventare più ricchi, i poveri per diventar meno poveri, la gran maggioranza vi piombò dalla Cina dopo la vittoria di Mao. Nel 1946 c' erano solo 500.000 abitanti, nel 1949 ve n' erano già due milioni e mezzo.
COPERTINA DEL LIBRO DI ORIANA FALLACI
Nel 1962, quando in Cina scoppiò la grande carestia, fu lo stesso governo di Pechino ad aprir le frontiere e lasciar fuggire migliaia di contadini affamati. Avanzavano ronzando, in nuvole dense come le cavallette sul grano. In tre giorni se ne rovesciarono dentro ben 10.000. Dopo due settimane gli inglesi terrorizzati li respinsero a fucilate. È una colonia inglese dal 1847, è l' ultima briciola dell' immenso impero britannico. Però che briciola. Gronda oro come una miniera di oro. Perfino il suo nome riempie la bocca come una promessa: Hong Kong. Vuol dire «porto delle perle». È anche bella, uno dei luoghi più belli del mondo. Le sue colline verdi cadono a picco in un mare più azzurro del cielo. Di notte, quando le case si accendono, diresti che le stelle son cadute dal cielo per terra. Le giunche dalle vele rosse o viola dondolan sempre in un vento gentile, d' inverno non fa mai troppo freddo, d' estate non fa mai troppo caldo, e gli alberghi sono perfetti, il cibo è squisito, i prezzi sono accessibili anche sui gioielli.
Ti accechi di giade, qui, di brillanti, di perle nere e rosa e azzurre. Ti inebri di sete, ricami, broccati, la tentazione è a ogni angolo. Se vai cercando il peccato, il sesso qui è in vendita come la droga. Puoi comprare fanciulle esperte o intatte, sposarne una con un contratto che strappi appena t' è venuta a noia. Puoi imbottirti di eroina, cocaina, oppio. Da generazioni Hong Kong è il sogno dei disperati, degli avventurieri, dei turisti in cerca di esotismo o sorprese. Vi giungevano in media un milione di visitatori per anno, trovare una camera era un problema. Ora è facilissimo.
Come nulla ti trovi una bomba dentro l' ascensore, il giornale di oggi porta il seguente titolo: «Solo una bomba stamani in tutta Hong Kong!». Sicché dimentica le giade, le perle, le donne, le stelle cadute dal cielo, e leggi questo cartello: «Straniero, il 98,5 per cento della popolazione di Hong Kong è cinese. Hong Kong è stata rubata dai pirati inglesi alla Cina. Noi combatteremo finché Hong Kong tornerà alla Cina». Lo hanno stampato i comunisti, tra una bomba e l' altra. La presenza della Cina comunista è dovunque.
FUCILAZIONI NEI PRESEPI Come uno schiaffo sugli occhi ti sveglia appena arrivi a Kowloon, la penisola che con Hong Kong vera e propria comunica per mezzo dei ferryboat. [...] Bandiere rosse si tendono al sole, giganteschi ritratti di Mao Tse Tung si innalzano sopra le scritte: «La rivoluzione non è un invito a pranzo. La rivoluzione è un atto di violenza con cui una classe ne rovescia un' altra». Dentro, le commesse e i commessi col distintivo di Mao ti vendono merce che viene da Pechino, Sciangai, Canton, e otto blocchi di giada su dieci riproducono scene della rivoluzione.
Soldati col mitra spianato, patrioti che spezzano le catene, guardie rosse coi libretti di Mao. Otto ricami su dieci riproducono i pensieri di Mao, le frasi di Mao, le poesie di Mao, le canzoni di Mao. Nelle sale dove si vedono i campioni di riso, gli strumenti chirurgici, le macchine agricole, le pareti sono tappezzate coi ritratti di Mao, i busti di Mao, le fotografie di Mao, e teatrini fatti come presepi raccontano l' arresto di una spia, la fucilazione di un traditore. E come devon essere ricchi, anche loro, se posson permettersi il lusso di vendere un braccialetto di giada e oro per quattordicimila lire, un completo in broccato trapunto per 3.500 lire, una camicetta di seta ricamata a mano per 1.200 lire, una stupenda collana d' avorio per 800 lire.
Con gesti esitanti finisci col comprare perfino il busto di Mao che a Hong Kong è di moda col detto: «Non si sa mai». Non si sa mai perché i negozi comunisti a Hong Kong sono 38, le scuole comuniste sono 33, i cinema comunisti sono otto, i giornali comunisti sono cinque, e i comunisti iscritti sono 200.000, i simpatizzanti attivi sono circa un milione. Hanno in mano i sindacati dei trasporti, della luce elettrica, delle fabbriche più importanti, controllano gli scaricatori del porto, i braccianti agricoli, i muratori, i tassisti, i risciò. La massa è con loro non per calcolo economico o per scelta ideologica: per patriottismo.
Qui il comunismo non si nutre di Marx, si nutre di xenofobia. Mettiti al posto di un coolie (epressione dispregiativa che indicava i lavoratori cinesi, ndr) che per centovent' anni s' è visto respingere dalla scritta: «Proibito l' ingresso ai cani e ai cinesi» e capirai perché la sua patria è la Cina: con quei blocchi di giada guerresca, quella merce di prima qualità, quelle bandiere rosse. Noi, per lui, siamo «cani bianchi». Nel caso migliore, «diavoli stranieri». Entri in un ristorante alla buona, chiedi un nido di rondine, e il cameriere urla al cuoco: «Un nido per il diavolo straniero!». I nostri figli non vedranno mai la Hong Kong che noi conoscemmo: comoda, ingiusta, corrotta, drammatica e affascinante.
FOTO DI ORIANA FALLACI DAL SUO ARCHIVIO PERSONALE DA L ESPRESSO
TUTTO INIZIÒ A MACAO E poi c' è l' esempio di Macao, la colonia portoghese ormai nelle mani dei comunisti cinesi. Incominciò tutto a Macao, poco più di un anno fa. In certo senso, non si capisce quel che accade ad Hong Kong se non si sa quel che è successo a Macao. Macao dista da Hong Kong un' ora di aliscafo, o quattro ore di nave. Il turista che per mancanza di informazioni o follia volesse recarsi a Macao è consigliato di sceglier la nave. È ancora quella che gli inglesi usavano per andare a Canton lungo il fiume delle perle, e l' arrivo nel porto è ubriacante.
Le montagne che s' alzano a neanche cento metri da te sono già Cina, la linea di confine sul mare è segnata da una fila di boe con la bandiera rossa. Il mare giallo pullula di giunche strette l' una all' altra come farfalle impaurite, sopra le giunche i pescatori sono ancora quelli che vedi ritratti sulle porcellane di 3.000 anni fa. Anche il modo di salutarti gridando e agitando le mani è lo stesso. Ricordi quella fila di boe solo quando ti accorgi che le mani hanno il pugno chiuso e le grida non sono di benvenuto per te. Dicono «Viva Mao Tse Tung! Lunga vita a Mao Tse Tung!». Poi qualche sputo si alza, a fontana, e ricade disfatto in mille gocce di odio.
FOTO DI ORIANA FALLACI DAL SUO ARCHIVIO PERSONALE DA L ESPRESSO
Poco più di un anno fa Macao era una tappa quasi doverosa per il turista spensierato di Hong Kong. Ci venivi a vedere un' isola che per bellezza ricorda la riviera italiana. Ci venivi per comprare donne, gioielli, droghe a un prezzo ancora più basso di quello di Hong Kong. Ci venivi soprattutto per i casini da gioco che sorgon su chiatte colorite di draghi, fiori di loto, lusso perverso. Macao era chiamata la città del piacere, alberghi e ristoranti eran sempre affollati, le strade erano colme di gente come a Las Vegas o sul lungomare di Nizza. Ora esci dalla dogana e ti senti come Robinson Crusoe dentro un taxi.
Non c' è nessuno lungo quelle strade, i ristoranti son vuoti, molti alberghi chiusi. Poi arrivi al centro e di colpo il silenzio si rompe in una esplosione di voci irate: «Shì jiè! Shì nj mèn! Ye shi wo mèn di! Dan shi gui gen jiè di!». Chiedi all' interprete cosa vuol dire e lui ti spiega che è una canzone di Mao, vuol dire: «Oh, nostro grande maestro! Oh, nostro grande capo! Oh, nostro supremo comandante! Oh, conduttore di tutte le folle! I giovani rivoluzionari pongono in te ogni loro speranza!». Chiedi chi stia cantando e lui indica gli altoparlanti che sporgono da ogni edificio, poi aggiunge che quando la canzone finisce gli altoparlanti trasmettono i pensieri di Mao: senza sosta. [...] Poi entri in un negozio, un altro negozio, un altro negozio ancora, e in ciascun negozio si vendono i pensieri di Mao, i ritratti di Mao, i busti di Mao.
FOTO DI ORIANA FALLACI DAL SUO ARCHIVIO PERSONALE DA L ESPRESSO
I pensieri sono rilegati in libretti rossi di tutte le taglie. I ritratti sono stampati su carta o cartone di tutte le dimensioni: alcune come le immagini sacre che da noi riproducono Sant' Antonio o il Bambin Gesù. I busti sono di gesso, di plastica, di marmo, d' argento, di bronzo: alti da cinque centimetri fino a mezzo metro. Mao vi appare in uniforme e un sorriso paterno sul faccione rotondo, quel faccione ti insegue come un incubo ovunque tu posi lo sguardo. A un certo punto ti sembra di essere dentro una fantascientifica Lourdes dove anziché pregare la Madonna preghi Mao Tse Tung. Non ti stupiresti di vedere uno storpio balzar su come un grillo, poi correre gridando al miracolo, e correndo alzare la sua bibbietta rossa. Ci sono circa 300.000 cinesi a Macao: la Cina se li è già ripresi tutti.
LA DITTATURA DEI BAMBINI A Macao comandano ormai i bambini. [...] Padre Luigi Rubini, direttore di una scuola cattolica: «Ma ha visto che porcherie hanno fatto sui muri della scuola? I manifesti arrivano al tetto e non si possono mica strappare, sa: chi tocca un manifesto va dritto in prigione. L' altro giorno un bimbo di otto anni strappò un fogliolino e le guardie rosse lo tennero in piazza otto ore a ripetere senza fermarsi: non lo fo più. Piangeva, poverello, piangeva: neanche i genitori osarono farsi avanti. E la polizia lì a guardare. Ha visto quella scritta rossa all' ingresso? Vuol dire: "La rivoluzione di Mao Tse Tung è giusta". Io ci passai sopra una mano di bianco e loro ce la rifecero. Ma lei non si immagina mica l' atmosfera di qui: è una anarchia totale, comandano i ragazzini. Vedesse quando arrivano coi manifesti, le scale, i barattoli di vernice e di colla! Fanno paura perché sono centinaia, migliaia, sembran formiche. Arrivano e per prima cosa cantano le canzoni di Mao. Per seconda cosa leggono in coro i pensieri di Mao.
Per terza cosa appoggiano le scale ai muri e fanno quel che lei ha visto. Un giorno mi entrarono nella scuola, io dissi: fuori fate quel che vi pare ma dentro no, è casa mia. Risposero: questa casa è di Mao. E giù ad attaccar manifesti. Pensi: anche sui banchi, anche al soffitto. Telefonai al governatore, alla polizia. Balbettarono: che fanno, che fanno? E nessuno intervenne. Mi toccò aspettare che andassero via. Sbarrai le porte e sei ore ci vollero a togliere tutto con l' acqua calda. Io ho provato anche a ragionarci con loro, perché parlo cinese, son stato trent' anni in Cina. Ma loro non ti ascoltano mica, rispondono: le guardie rosse ragionano solo con Mao. Che vuole, son ragazzini: fra i tredici e i diciotto anni. Neanche i comunisti adulti ce la fanno a calmarli».