"ASPETTA IL TUO TURNO O NON VINCERAI MAI" – ECCO COME I BARONI TRUCCAVANO ESAMI E CONCORSI ALL'UNIVERSITÀ DI REGGIO CALABRIA - BANDI COSTRUITI AD HOC SUL PROFILO DEI VINCITORI ANNUNCIATI, PROVE ADDOMESTICATE, ESAMINATORI "AFFIDABILI", CURRICULUM TRUCCATI - INTERDETTO IL RETTORE E SEI DOCENTI FINISCONO SOTTO INDAGINE - TRA I BENEFICIARI DI UNA BORSA DI STUDIO INDEBITA, SECONDO LA PROCURA, ANCHE LA FIGLIA DEI DEPUTATI PD NICOLA ADAMO ED ENZA BRUNO BOSSIO
Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”
«Aspetta il tuo turno». È tutta in questa frase la tragedia italiana svelata dall'ennesima inchiesta sull'università pubblica. Se l'è sentita dire Clara Stella Vicari Aversa. Laureata in architettura con lode a Reggio Calabria nel 1995, comincia a collaborare all'università «anche se tutti mi dicevano: fai volontariato, stai attenta, è un ambiente difficile. Vero, tutoraggio gratis e docenze da 1500 euro l'anno».
Vince borsa di studio e dottorato in Spagna, poi torna in Italia al seguito del marito.
Nel 2008 l'università di Reggio bandisce un concorso da ricercatore. Partecipa, perde.
Ma qualcosa non torna. La commissione parla di «candidato» e «candidata», benché i temi siano anonimi. Gonfia i titoli del vincitore e omette i suoi.
Posticipa la sua laurea di 7 anni, quanto basta per farla perdere. «Mi sento presa in giro», dice Vicari. Per cinque volte in dieci anni fa ricorso al Tar e lo vince. E per quattro volte l'università ripete la gara con lo stesso esito. Anche se il Tar rileva «giudizi copia e incolla di quelli precedenti, con macroscopici errori» anche cambiando gli esaminatori.
La sua insistenza non è gradita. La professoressa di cui è allievo il vincitore del concorso la convoca in facoltà: «Esterna il suo dissenso, suggerisce di ritirare il ricorso, la invita a chiedere scusa al presidente della commissione, amareggiato per la sua iniziativa giudiziaria». Fino alla fatidica frase: «Non si fa così nell'università. Mettiti il cuore in pace, non vincerai mai. Aspetta il tuo turno. Non sarai tagliata fuori, ma recuperata collaborando alla mia cattedra».
No, Clara pensa che il suo turno sia ora. Va in Procura.
Parte l'inchiesta. Le attività «discriminatorie» dei docenti che la osteggiano «segnalando con ingerenze» il vincitore predestinato vengono monitorate dal nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza. Dopo quattro anni l'indagine, ferma la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, non si limita a ricostruire «un patto corruttivo». Svela che lei è solo una delle vittime di una «associazione a delinquere in totale spregio delle regole e del principio di meritocrazia, con illegalità quotidiane e senza soluzione di continuità». Così scrive in un'ordinanza monumentale il giudice Vincenzo Quaranta, disponendo misure cautelari interdittive per 6 docenti (tra cui rettore ed ex rettore) sui 52 indagati per concussione, corruzione, abuso d'ufficio, falso, peculato e turbativa d'asta.
Bandi costruiti ad hoc sul profilo dei vincitori annunciati. Concorsi addomesticati, e non solo in quella facoltà, nominando «esaminatori affidabili». Curriculum truccati in positivo o in negativo, a parità di pubblicazioni. Tracce di temi e domande orali rivelate in anticipo ai candidati.
Tra i beneficiari di una borsa di studio indebita, secondo la Procura, anche la figlia dei deputati Pd Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio. Al cospetto di ciò che il gip definisce «quadro disarmante con sfrontatezza fuori dal comune e mancanza di senso istituzionale», sembrano miserie al limite del folclore le contestazioni ai due rettori di peculato per uso privato dell'auto blu e di cene, regali e viaggi pagati con la carta di credito dell'università.
Più devastante è che dopo 14 anni il concorso da ricercatore, annullato cinque volte dal Tar, sia ancora aperto. Nel frattempo il candidato «prediletto» dai professori ma bocciato dai giudici, e ora indagato, ha proseguito la sua carriera universitaria.
nicola adamo enza bruno bossio
Al contrario, quella di Clara Stella Vicari Aversa è finita. «Mi chiamano ancora in Spagna, ma qui le porte sono chiuse. Mi è stato detto: non c'è niente da fare per te. Perché combatto? Non per me, non ci credo più. Per l'università, per mia figlia che ha 16 anni, per chi verrà dopo».