“AVEVO 15 SCHEGGE TRA GAMBA SINISTRA, ADDOME E INTESTINO” – MATTIA SORBI, IL GIORNALISTA FERITO DA UNA MINA IN UCRAINA, A KHERSON, È TORNATO IN ITALIA E RACCONTA QUELLO CHE HA VISSUTO – “L’AUTISTA È MORTO IN DIECI MINUTI. È RIMASTO IN SILENZIO, SEDUTO IMMOBILE. LA MIA GAMBA SINISTRA NON FUNZIONAVA PIÙ. AVEVO GLI OCCHIALI ZUPPI DI SANGUE. SONO ARRIVATI QUATTRO SOLDATI RUSSI. MI URLAVANO DI RESISTERE, MI HANNO PORTATO IN UNA CAPANNA LUNGO IL FIUME”
Estratto dall’articolo di Paolo Brera per “la Repubblica”
Mattia Sorbi è in salvo in Italia. Il giornalista freelance milanese 43enne reduce da un’esperienza drammatica in Ucraina, dove il 31 agosto l’auto su cui viaggiava nella zona rossa tra Mikolaiv e Kherson è saltata su una mina uccidendo sul colpo l’autista e ferendolo gravemente, è arrivato ieri pomeriggio a Linate con un volo sanitario operato dalla Croce rossa turca in accordo con quella russa e con la Farnesina.
Mattia, dove sei e come stai?
«Sono all’Ospedale Niguarda, va molto meglio. Avevo 15 schegge tra gamba sinistra, addome e intestino. Me le hanno tolte i medici ucraini con un’operazione di 11 ore nell’ospedale controllato dai russi a Kherson. Mi sono rimaste molte micro schegge, ma il corpo può sopportarle. Ho un nervo danneggiato al piede sinistro, dicono si può ripristinare: mi dà scariche elettriche sotto la pianta che non mi fanno camminare. Sarò ricoverato per un po’, poi farò la riabilitazione».
Come sei finito su quella mina?
«Eravamo nel contesto della famosa controffensiva ucraina verso sud, il famoso bluff. Mi ero iscritto al press tour dell’esercito di Mykolaiv. Avevo fatto richiesto di vedere Bastianka».
Era un tour organizzato per te?
«Era organizzato ogni settimana. Ho portato con me la televisione polacca. [...] La notte del 30 a Mykolaiv incrocio i colleghi della Afp, che conoscevo. La mattina del 31 scrivo loro un messaggio: “Valuto di andare a Oleksandrivka, a sud di Mikolaiv, a 50 km da Kherson”. Mi sembrava un buon compromesso per coprire il fronte senza essere troppo vicino a Kherson».
Ma era contesa, spesso zona rossa. Molto pericolosa. Lo sapevi?
«Sulla mappa aggiornata risultava zona grigia, e infatti al check point ucraino mi hanno fatto passare. Hanno detto al driver di stare attento ma che non c’erano controffensive e non ci sarebbero stati problemi. Se mi avessero respinto sarei tornato indietro, come ho fatto decine di volte a Kharkiv».
Quindi siete andati avanti.
«Si, e non volava una mosca. La campagna ero molto tranquilla, dico al driver di andare verso il centro di Oleksandrivka invece lui si perde completamente. Finiamo sui campi che danno sul mare. Vista la tranquillità apparente non ci preoccupiamo, il Gps ricomincia a funzionare e riprendiamo la strada. Il mio obiettivo era trovare l’esercito ucraino e girare immagini delle trincee. Sulla strada principale vediamo alcuni mezzi bruciati. Da Kharkiv verso Belgorod ho fatto gimcana tra auto crivellate, mai successo nulla. Invece appena superiamo il primo mezzo saltiamo su una mina cluster.
La botta è sulla ruota anteriore sinistra, credo: il driver è morto in dieci minuti. È rimasto in silenzio, seduto immobile. Io non avevo capito niente, pensavo ci stessero sparando. Scendo sul lato destro, striscio per terra per evitare colpi ma i colpi non arrivavano. Silenzio assoluto. La mia gamba sinistra non funzionava più, mi accorgo che sono pieno di sangue. Risalgo in auto in qualche modo. Avevo gli occhiali zuppi di sangue, resto immobile in auto sotto il sole. Mi dico: che posso fare? O muoio o…
Dopo mezzora sento spari da entrambe le parti, la macchina era nel mezzo. Pochi colpi, non continuativi, per 5 o 6 minuti. Dopo un po’ mi sorvola un drone. Passa un’altra mezzora e dalla strada vicino al fiume sbucano quattro soldati con i simboli russi. “Italian sky press”, rantolo. Hanno capito che non mi potevo muovere, hanno piazzato un soldato col fucile spianato sul driver che era già morto, e mi hanno messo in un sacco per feriti, trascinandomi verso il fiume.
Mi urlavano di resistere, mi hanno portato in una capanna lungo il fiume: erano in trenta, quattro parlavano un buon inglese, uno si è qualificato come separatista di Donetsk, gli altri erano russi. Mi hanno stabilizzato e fatto una siringa antidolorifica: in un’ora ero all’ospedale militare di Kherson, subito operato».
Il driver come si chiamava?
controffensiva ucraina a kherson
«Non lo so. Ci siamo conosciuti a Mykolaiv nella lobby dell’hotel. Gli ho chiesto di portarmi a Oleksandrivka e non ha fatto una piega, mi ha chiesto 1.800 grivne, 50 euro. Anche questo mi ha confermato la teoria sbagliata che fosse raggiungibile. Avevo avuto diversi feed back favorevoli: un fixer dellaBbc mi aveva detto “ok, ci andrò anche io”. Poi quella quiete assoluta... Siamo finiti oltre la linea rossa e non ce ne siamo accorti». […]
Gli ucraini ora ti danno della spia.
controffensiva ucraina a kherson
«È la posizione di un sito in cui sono in buona compagnia, c’è anche Kissinger. La posizione ufficiale dello Stato è di apertura nei miei confronti, da giornalista accreditato. La destra di Pravi Sektor si diverte a schedare chi ha fatto il mio lavoro nel Donbass; ma io a Donetsk nel 2014 lavoravo per la tv ucraina News24 e per i russi di Tvzvezda: l’importante era essere pagato per il mio lavoro, e le radio italiane pagavano poco ai tempi».
Pensi a una trappola ucraina?
«Assolutamente no: il check point non mi conosceva, impossibile, e l’idea del viaggio è mia. Al massimo sono stati superficiali».
I russi hanno diffuso un tuo video accreditando questa versione.
«Ero in ospedale, gli ufficiali russi mi hanno chiesto la dinamica e ho detto della mina, poi hanno detto la loro teoria, e io sono stato zitto ad ascoltare».