PER IL CASINO DELL'EX ILVA, FRANCO BERNABÈ SE LA PRENDE...CON SE STESSO – IL MANAGER È PRESIDENTE SIA DI ACCIAIERIA D’ITALIA, LA SOCIETÀ CHE POSSIEDE L'IMPIANTO DI TARANTO CON UNA PARTECIPAZIONE AL 38% DI INVITALIA (OVVERO LO STATO), SIA DI DRI, LA PARTECIPATA DELLA STESSA INVITALIA, CHE SI DEVE OCCUPARE DELLA DECARBONIZZAZIONE DELLA STRUTTURA – EBBENE, BERNABÈ HA SCRITTO A QUATTRO MINISTERI PER LAMENTARE LA DIFFICOLTÀ DI “COORDINAMENTO” TRA LE DUE AZIENDE DI CU LUI È AL VERTICE…
Estratto dell’articolo di Camilla Conti per “La Verità”
Il percorso verso la salita dello Stato nel capitale della ex Ilva, tramite Invitalia, non è ancora chiaro. Nei mesi scorsi si è ipotizzato un anticipo della già prevista salita del socio pubblico Invitalia al 60% di Acciaierie d’Italia, rinviata al 2024. Operazione che sarebbe, di fatto, un primo passo verso la nazionalizzazione del gruppo di Taranto. […]
Acciaierie d’Italia è detenuta al 100% da Acciaierie d’Italia Holding, costituita ormai sette anni fa per partecipare alla procedura di acquisto di complessi aziendali dell’Ilva e partecipata da ArcelorMittal Italy Holding per il 62% e da Invitalia per il restante 38%. A novembre 2022 il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva invocato uno Stato «stratega ma non interventista» per invertire subito il declino produttivo di Ilva.
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Il problema è che la strada dello «Stato stratega» rischia di diventare accidentata se si agisce su input di interessi che confliggono con quelli dell’industria. Proprio in questi giorni il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci (Pd) ha emesso ordinanza urgente intimando ad Acciaierie d’Italia, a Ilva spa in amministrazione straordinaria, di «individuare una soluzione tempestiva ai picchi di benzene» senza la quale, entro 60 giorni «bisognerà procedere allo spegnimento degli impianti dell’area a caldo». Ma un’ordinanza analoga fu respinta a giugno 2021 dal Consiglio di stato che la definì illegittima.
franco bernabe foto di bacco (2)
Nel frattempo, lo scorso 12 maggio il presidente e l’ad di Dri (la controllata da Invitalia nata per decarbonizzare l’acciaio), Franco Bernabè e Stefano Cao, hanno inviato una lettera a quattro ministri (Raffaele Fitto, Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin) e per conoscenza anche all’ad di Invitalia (socio di minoranza in ADI), Bernardo Mattarella. Nella missiva, che La Verità ha potuto consultare, viene fatto un aggiornamento sullo stato di avanzamento del progetto dell’impianto di produzione di preridotto da realizzarsi nel complesso industriale gestito da Adi a Taranto.
Ma la parte più interessante si legge nelle ultime righe: «[…]e diversità di assetto azionario tra Dri d’Italia e Acciaierie d’Italia (quale partner industriale e commerciale interessato dall’ambizioso obiettivo di decarbonizzare dei siti e dei processi produttivi siderurgici che la realizzazione dell’impianto affidato all’attuazione di Dri d’Italia) comportano oggettive difficoltà nel coordinamento tra rispettivi piani industriali, per la cui risoluzione risulta indispensabile un attivo dialogo tra azionista pubblico e privato».
Insomma, si chiede al governo di cambiare il governo societario e risolvere la questione delle quote di Adi che lo Stato, tramite Invitalia, dovrebbe rilevare. Il fatto è che Bernabè, che firma la lettera, è sia presidente di Dri sia di Adi. [...]
È ancor più curioso che in veste di presidente di Dri, e quindi di una società controllata al 100% da Invitalia e dunque dallo Stato, scriva ai ministri e ad Invitalia per sottolineare le difficoltà di coordinamento con Adi, società della quale è presidente ma le cui quote sono ancora in maggioranza in mano al socio privato, ArcelorMittal Italia, cui spetta la scelta dell’ad, ovvero del timone operativo oggi affidato a Lucia Morselli.