PORCHETTA? NO GRAZIE! - ITALIANI, POPOLO DI VEGETARIANI E VEGANI: AUMENTANO AL RITMO DI 1600 AL GIORNO - IN EUROPA CONTENDIAMO IL PRIMATO ALLA GERMANIA - E NEI SUPERMERCATI IL MERCATO DEI PRODOTTI A BASE VEGETALE TOCCA I 320 MLN
Rita Querzé per il “Corriere della Sera”
Gli italiani vegetariani e vegani? Aumentano al ritmo di 1.600 al giorno. Erano il 6% nel 2013. Sono diventati il 7,1% nel 2014. E l' 8% nel 2015. Lo dice il rapporto annuale Eurispes. «Bistecca? No, grazie». Sorprende così il collega nella mensa aziendale, il cognato alla cena di famiglia, il cliente al pranzo di lavoro. La moda si sta trasformando in fenomeno di massa.
Sbaglia chi immagina l' Italia divisa in due: da una parte i vegetariani e dall' altra gli amanti di carne e salumi. Qui non si tratta di ghetti o minoranze, ma di cambio trasversale delle abitudini alimentari.
L' allarme lanciato su carne rossa e insaccati ha lasciato il segno. «Questi cibi aumentano il rischio cancro», ha detto lo scorso ottobre l' Oms, Organizzazione mondiale della sanità. Nelle due settimane successive le vendite di carni e salumi diminuirono del 10%. Ora bistecche e spezzatini hanno recuperato terreno (e il ministero della Salute ha anche ridimensionato quell' allarme).
Ma nulla può tornare come prima. «Anche perché dal 2010 i consumi di carne diminuiscono al ritmo del 5% l' anno», fa notare Nicola De Carne, di Nielsen Italia. L' altra faccia della medaglia è l' aumento del valore delle vendite dei prodotti tipici della tavola vegetariana. Qualche esempio.
Le bevande sostitutive del latte (a soia, riso, mandorla) sono cresciute del 17% nel 2015. Incrementi a doppia cifra anche per formaggi di soia (24%) e zuppe di verdura pronte (38%).
Presente la straordinaria scena di un americano a Roma con Alberto Sordi che sfugge alle lusinghe dei cibi a stelle e strisce e sfida un piatto di maccheroni al ragù: «Macaro', m' hai provocato, mo' me te magno »? L' Italia a tavola non si è fatta imporre le abitudini d' Oltreoceano. Ma ora volentieri mette da parte i maccheroni per un piatto di tortellini di tofu. Se ne è accorto il mondo della ristorazione. Nel franchising si sono imposte catene come Veggy Days e Universo Vegano. Si moltiplicano le pasticcerie vegane. E nei supermercati si stima che il fatturato annuo generato dalla vendita di prodotti a base vegetale sia di 320 milioni. In crescita.
Le aziende dell' alimentare cavalcano l' onda. Findus ha lanciato gli hamburger vegetariani.
Caso sorprendente è quello di Granarolo. Il gruppo, guidato da un consorzio di un migliaio di allevatori, è sinonimo di latte. Poco dovrebbe avere a che fare con il mondo veg. Invece... «L' anno scorso abbiamo lanciato la linea Granarolo vegetale (bevande a base di soia, riso, mandorla) e in nove mesi abbiamo fatturato per 14 milioni. Molto oltre le attese», dice il presidente Gianpiero Calzolari. Gli affari hanno fatto il miracolo e gli allevatori si convertono. «A marzo lanceremo burger, polpette e piatti pronti a base 100% vegetale», annuncia Calzolari.
Anche i supermercati si sono attrezzati. Coop ha introdotto l' area veg nel 2013 con la linea ViviVerde, Pam punta su Veg&Veg, Esselunga ha scelto VeganOk. Despar ha appena lanciato Veggie. Dietro ci sono le aziende che producono per i marchi privati della grande distribuzione. Tra queste la Zerbinati di Alessandria: 180 addetti e 33 milioni di fatturato a forza di vendere zuppe e verdure confezionate. E tra poco anche hamburger vegetariani.
Per cambiare stile ai fornelli è necessario documentarsi. Le pubblicazioni «veg» in Italia sono state 41 nel 2013, 98 nel 2014 e 193 nel 2015 (dati Aie/Nielsen). «La gente si avvicina per gradi - racconta Antonio Monaco della Edizioni Sonda -. Il bilancio familiare non è penalizzato: la spesa per qualche ingrediente raro e più costoso è compensata dall' eliminazione della carne».
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Come spiega Monaco, ormai l' Italia contende alla Germania il primato di Paese più vegetariano dell' Ue: «Hanno una percentuale di vegetariani compresa tra il 7 e l' 11% anche Svezia e Austria. Seguono a discreta distanza Russia, Usa, Francia, Spagna, Giappone e Cina, tra il 2 e il 4%». Poi c' è l' India con il suo 30%. Ma qui giocano fattori economici e religiosi. E il paragone sarebbe fuori luogo.