
1. "GIALLO": "BOSSETTI E’ OSSESSIONATO DALLE RAGAZZINE" – ECCO PERCHE’ LA CORTE D’ASSISE D’APPELLO HA CONDANNATO IL MURATORE ALL’ERGASTOLO PER L’OMICIDIO DI YARA 2. IL GIUDICE LO DESCRIVE COME "UN PERVERTITO DALL’INTERESSE INSISTENTE PER GIOVANETTE, MINORENNI, VERGINI, MAGARI CON LA VAGINA RASATA" – IL DNA LO INCASTRA E IL FURGONE CHE PASSA DAVANTI ALLA PALESTRA E’ IL SUO 3. LE LETTERE PORNO IN CARCERE ALLA DETENUTA GINA: "SE LASCI UNA STRISCETTA SOLO SOPRA È PIÙ ARRAPANTE"
Albina Perri e Laura Marinaro per “Giallo”
Deve ritenersi provato un interesse insistente di Bossetti per giovanette, minorenni, vergini, magari con la vagina rasata. E tale interesse è tanto più preoccupante in quanto risulta manifestato ancora alla distanza di circa tre anni dal fatto, sintomo di una vera e propria tendenza e propensione perdurante dell’imputato verso giovanette adolescenti...
Peraltro, la lunga difesa svolta in udienza circa il fatto che Bossetti sarebbe un marito e un padre modello e non sarebbe un soggetto privo di freni inibitori contrasta con le lettere che l’imputato si scambiava con la detenuta Gina, che dimostrano come Bossetti avesse una pulsione sessuale così intensa da manifestarla addirittura verso una persona mai vista, pulsione sessuale per di più esternata in una situazione di grave disagio, quale quella di trovarsi in carcere”.
yara gambirasio massimo bossetti
Con queste parole il giudice della Corte d’Assise d’Appello, Enrico Fischetti, ha spiegato perché, lo scorso 18 giugno, ha deciso di confermare la condanna alla pena dell’ergastolo per Massimo Bossetti. E perché ritiene, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’assassino della piccola Yara Gambirasio sia proprio lui. Il giudice ha steso le motivazioni della sentenza in 376 pagine, ripercorrendo tutta la tragica storia dell’omicidio della ragazzina, dell’arresto di Bossetti, del processo di primo grado, delle contestazioni della difesa dell’uomo e del processo di secondo grado, da lui presieduto. Il quadro che ne esce è inequivocabile: il Dna nucleare trovato sul corpo martoriato di Yara è senza ombra di dubbio di Bossetti, che verosimilmente si è ferito;
foto satellitari chignolo d isola yara gambirasio processo bossetti
il Dna mitocondriale non è utile per l’identificazione di una persona e non ha alcun interesse; il furgone che nei video delle telecamere di sorveglianza si vede girare intorno alla palestra il 26 novembre 2010, proprio nell’ora della scomparsa di Yara, è senza dubbio quello di Bossetti; la calce, le sferette di metallo e le fibre trovate nelle ferite e sugli indumenti della bambina sono compatibili con il lavoro dell’uomo, che fa il muratore, e sono indizi concordanti. Marita ricorda che quella sera Bossetti tornò a casa tardi. E, infine, la sua personalità, come avete letto all’inizio dell’articolo, è assolutamente quella di un pervertito in grado di rapire una bambina in preda a “pulsioni sessuali incontrollate”.
Il giudice lo evince da vari aspetti, a iniziare dalle ricerche pedopornografiche trovate sul computer dell’uomo. Come ricorderete, infatti, queste ricerche erano parecchie. Almeno una, quella del 29 maggio 2014, “ragazzine con vagine rasate” è stata fatta sicuramente da Bossetti, dato che il figlio 13enne era a scuola e la moglie Marita dal parrucchiere. Il fatto che questa ricerca sia stata fatta a tre anni dal delitto di Yara, per il giudice è “preoccupante”, «sintomo di una vera e propria tendenza e propensione perdurante dell’imputato verso le adolescenti». Ma non è tutto.
Il giudice scrive anche: «È estremamente significativo che nei siti visitati si parli di ragazzine con la vagina rasata (depilata) e che nelle lettere a Gina in carcere egli manifesti preferenze per il pube depilato. Alludendo a Gina infatti scrive: “e mi piace che lasci una striscetta solo sopra, perché è più arrapante così, senza niente è come piace a me”». Come ricorderete, la Gina è una detenuta del carcere di Bergamo a cui Bossetti ha inviato decine di lettere pornografiche, mentre era ancora in attesa del processo di primo grado per l’omicidio di Yara.
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Scrive il giudice: «È innegabile che la personalità di Bossetti abbia evidenziato, nel corso dei processi, qualche aspetto inquietante o quanto meno singolare, se è vero che inventava storie di gravissime malattie, di maltrattamenti e di denunce della moglie, tanto da essere denominato dai compagni di lavoro “il Favola”, se è vero che aveva un interesse smodato per la cura del proprio corpo e soprattutto per l’abbronzatura, tanto che al dibattimento di Appello (in Tribunale) è comparso inspiegabilmente abbronzatissimo; se è vero che mandava lettere dal contenuto sfacciatamente erotico dimostrando pulsioni sessuali molto evidenti a una detenuta che nemmeno conosceva; se è vero che aveva una vera e propria passione per la vagina depilata di cui si vantava proprio con Gina».
Può essere dunque lui l’uomo che ha rapito Yara a scopo sessuale? Certamente sì. Ma, chiaramente, la personalità sessualmente deviata di Bossetti è solo uno degli aspetti che il giudice mette in luce.
yara il campo di chignolo d isola
“il dna È proprio suo”
Non c’è dubbio che il cuore del processo resti il suo Dna nucleare trovato sugli slip e sui leggings della ragazzina, proprio in corrispondenza di una ferita, misto al Dna di Yara. Questo Dna è una “prova” e non solo un indizio, perché «profilo molto ricco e collocato in luogo estremamente significativo...». Scrive infatti il giudice: «Si deve ritenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Bossetti abbia ucciso Yara e che l’attribuzione del Dna a Bossetti costituisca elemento di prova della realizzazione dell’omicidio». Per Fischetti: «Si può ritenere provato che l’aggressore-omicida, nel lesionare leggings e mutandine con una lama in movimento, abbia lasciato una traccia genetica proprio lì... Il ritrovamento della traccia proprio in corrispondenza della ferita al gluteo non trova altra spiegazione se non quella che l’aggressore l’abbia rilasciata al momento del ferimento... Che colui che ha prelevato Yara davanti alla palestra di Brembate l’abbia portata nel campo di Chignolo e abbia inferto le coltellate sia la stessa persona che le ha lasciato addosso il suo Dna è un fatto del tutto logico».
Anche per il giudice Fischetti, come già per il giudice di primo grado, Antonella Bertoja, non ci sono dubbi: «Per trovare un’altra persona con lo stesso profilo genetico di Bossetti occorrerebbero 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui. La probabilità di sbagliare sarebbe di 1 su 20 miliardi». In Appello gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, che difendono Bossetti, avevano chiesto di poter estrarre di nuovo il Dna dai vestiti di Yara, facendo una nuova perizia, ma Fischetti ha detto no. E motiva così la sua decisione. Come sa bene anche la difesa: «Non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuovi esami; si può affermare che un’eventuale perizia non consentirebbe nuove analisi ma sarebbe un mero controllo sul materiale documentale e sull’operato dei Ris...
L’aver consumato la traccia genetica non può definirsi un comportamento colpevole ma anzi evidenzia la tenacia e lo scrupolo degli inquirenti nella legittima e doverosa ricerca dell’identità della madre onde risalire a quella di Ignoto 1». In parole più semplici: i vestiti di Yara sono stati “consumati” dagli scienziati proprio per estrarre quel Dna che poi ha consentito di individuare Massimo Bossetti. Gli avvocati difensori hanno però avuto a disposizione i risultati di quel lavoro, i cosiddetti dati grezzi, che non possono essere stati alterati in laboratorio in alcun modo: il Dna, infatti, viene “estratto” e “trascritto” attraverso macchinari, i sequenziatori, che registrano i dati «in maniera immodificabile». D’altra parte, leggendo quei dati, tutti i consulenti, perfino i due scienziati della difesa di Bossetti, hanno ammesso che il Dna è proprio quello di Bossetti e non hanno nemmeno depositato una relazione scritta per smentirli.
Vista l’impossibilità di negare la coincidenza del Dna di Bossetti con quello di Ignoto 1, la difesa a processo ha tentato allora anche la carta della manomissione. Secondo gli avvocati difensori, in sostanza, i carabinieri del reparto scientifico del Ris avrebbero alterato volontariamente i dati sul Dna ignoto trovato su Yara per farlo combaciare con quello di Bossetti.
Scrive il giudice: «Quanto alla ventilata artefazione dei dati grezzi da parte del Ris, tale ipotesi (non suffragata da alcun elemento documentale) appare offensiva se non addirittura calunniosa nei confronti dell’attività degli appartenenti a tale reparto. Ma appare anche grottesca in quanto si pone contro il dato oggettivo secondo il quale i dati forniti dal sequenziatore sono immodificabili». Inoltre, la difesa ha cercato di confondere le acque riportando sul Dna «tabelle che miracolosamente da verde si colorano di rosso (per indicare un risultato non valido) tabelle che non si comprende da chi siano state redatte».
“è morta in quel campo”
Anche per il giudice di Appello non ci sono dubbi: Yara è morta nel campo di Chignolo poche ore dopo la sua aggressione. Nelle motivazioni viene smontata la «fantasiosa ipotesi», della difesa, cioè che la ginnasta sia stata uccisa altrove e abbandonata nel terreno solo in un secondo momento. Per la difesa, Yara era stata perfino spogliata e rivestita. Scrive il giudice: «Si può ragionevolmente concludere che tutti gli indumenti presentano lesioni per la gran parte corrispondenti alle lesioni procurate alla vittima.
Proprio tale corrispondenza smentisce clamorosamente l’ipotesi difensiva, alquanto fantasiosa, di una vittima svestita e poi rivestita... È plausibile che la povera vittima sia rimasta nel campo di Chignolo per tre mesi. Lo si deduce da: la mano destra di Yara che stringe un ciuffo d’erba di quel campo; l’impronta del corpo lasciata sul terreno; la caviglia destra di Yara avviluppata da fusti di rovo; reperti di natura botanica sugli indumenti e nelle lesioni; materiale botanico conficcato nell’unghia della mano destra; terriccio nella frattura della fibula (osso della gamba, ndr); presenza di germogli intorno alla salma ma non sotto di essa; foglie secche e accartocciate sotto il corpo, mentre nel terreno accartocciata sotto il cranio è stata rinvenuta una foglia ancora turgida; il materiale botanico sul corpo coincide con quello del sito del ritrovamento; larve indicative di un’esposizione del cadavere di due o tre mesi; scarpe sporche del terriccio di quel campo; lesioni che ben si accordano con un posizionamento della vittima colpita a terra».
il giubbotto di yara gambirasio
“il furgone è il suo”
C’è poi un altro elemento considerato importantissimo dal giudice Fischetti, oltre al Dna. Se infatti il giudice di primo grado Antonella Bertoja, nel condannare Bossetti al massimo della pena, non aveva ritenuto necessario inserire tra gli elementi probatori la presenza intorno alla palestra di Brembate di un furgone identico al suo, la Corte d’Appello, al contrario, ne sottolinea la gravità. In primo grado si parlava di “alta compatibilità” tra il furgone di Bossetti e quello che si vede nei video di sorveglianza delle telecamere intorno alla palestra. In Appello invece si parla di “perfetta corrispondenza”. La difesa di Bossetti, tramite il suo consulente Ezio Denti, aveva presentato una relazione secondo cui la lunghezza del furgone Iveco ripreso nei video non coincideva con quella del furgone di Bossetti. Ma il giudice Fischetti smentisce: «Non risulta che il consulente Denti abbia operato sulle immagini originali dei filmati, ma su altre di qualità nettamente inferiore. Si rileva che il consulente ha effettuato alcuni calcoli fondati su presupposti e dati errati. Tutte le misure non tengono conto della prospettiva...». Tra i vari errori di calcolo, Denti ne ha compiuto uno clamoroso: analizzando l’immagine del furgone che passa davanti al cancello della ditta Polynt, ha misurato la distanza tra le due ruote del furgone «utilizzando una linea di colore azzurro, ma mentre per la ruota posteriore l’identificazione è corretta, per la ruota anteriore non si cerchia la ruota che è un po’ più avanti, ma un cartello che è affisso sulla superficie esterna della cancellata (“orario ricevimento merci”)».
gli indumenti di yara gambirasio
Scrive ancora il giudice su Ezio Denti: «Di tale consulente non è tanto importante che sia o meno laureato, ma occorre verificare il possesso di specifiche capacità tecniche e professionali nel campo degli accertamenti videofotografici. Ed è stato lui stesso a negare di possedere una specifica competenza a riguardo, giustificando, in tal modo, errori tecnici evidenti». Infine, il giudice Fischetti sottolinea come: «Lo stesso Bossetti dimostra di avere riconosciuto il suo autocarro per alcune particolarità: il cassone Butti, il rinforzo sulle sponde, le prese d’aria». Elementi caratteristici del suo Iveco, e che quindi lo rendono unico e assolutamente riconoscibile.
“calce nelle ferite”
Dna e furgone sono certamente di Bossetti, dunque. Ci sono poi altri elementi che per il giudice costituiscono indizi concordanti, che cioè confermano la colpevolezza di Bossetti e non la smentiscono. Il primo è la presenza nelle ferite e sui vestiti di Yara di calce, elemento che dimostra la frequentazione di un ambiente “edile” dell’assassino. Scrive il giudice: «La calce è nelle lesioni o in prossimità delle stesse; è stata l’arma da taglio, sporca di calce, che ha inquinato le ferite e anche gli abiti. Le particelle di calce sono da contatto con il tagliente dell’omicida, evidente assiduo frequentatore di cantiere edili. E tale è sicuramente Massimo Bossetti, che lavora in cantieri e ha la disponibilità di coltelli, taglienti e mazzette, anche sull’autocarro». Un secondo indizio è la presenza di minuscole sfere metalliche trovate sui vestiti di Yara e perfettamente compatibili con altre sferette isolate sul furgone di Bossetti. Il giudice dà alla circostanza una “valenza indiziaria”. Stessa cosa per quanto riguarda le fibre tessili, trovate sia su Yara sia sui sedili del furgone di Bossetti.
ESTER ARZUFFI MADRE DI MASSIMO BOSSETTI
“tentò di fuggire”
Ma c’è un altro elemento importante per il giudice. Fischetti, infatti, dedica ampio spazio delle motivazioni al momento dell’arresto di Bossetti, ritenendo che il muratore abbia tenuto un comportamento a dir poco sospetto. Scrive infatti: «Uno degli aspetti del tutto trascurati in primo grado (oltre che svalutati dal difensore) è costituito dall’accenno di tentativo di fuga dell’imputato alla vista dei militari... Dai filmati emerge che Bossetti abbia un gesto istintivo di fuga e che non chieda in alcun modo perché lo stessero arrestando...
Nel corso di un’udienza, l’imputato ha dichiarato di aver avuto paura dei carabinieri, senza chiarire perché...». Circostanza molto strana: per quale motivo avere “paura”? Per il giudice: «Il tentativo di fuga, unito alle sue incredibili giustificazioni, costituisce un elemento indiziario rilevante perché solo il colpevole dell’omicidio sapeva il vero motivo per il quale i carabinieri erano intervenuti in forze per arrestarlo».
“non era a casa”
Come per il primo grado, infine, anche per il giudice Fischetti sono molto importanti le intercettazioni in carcere con la moglie, Marita. La donna, infatti, in più di un’intercettazione dice esplicitamente di non sapere dove fosse Bossetti la sera in cui Yara sparì. Per il giudice, le frasi di Marita sono «di un’evidenza solare». Marita infatti disse: «Non ho mai saputo cosa hai fatto quella sera», «Ci ho pensato Massi. Eri via quella sera. Non mi ricordo a che ora sei venuto e neanche cosa hai fatto. Perché... all’inizio mi ricordo che eravamo arrabbiati, quindi non te l’ho chiesto. È uscita dopo per la storia della scomparsa e non mi hai mai detto che cosa hai fatto. Non l’hai mai detto».
Per questo, secondo il giudice, «deve ritenersi provato che nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010 Bossetti, che non era andato al lavoro e che aveva bighellonato a partire dalle 14,30 senza tornare a casa, nonostante piovesse e nevischiasse, si trovava a partire dalle 17.45 in località prossima al centro sportivo dove si trovava Yara a bordo del suo autocarro. Quella sera è tornato a cena più tardi del solito senza dare spiegazioni alla moglie. L’assassino (Bossetti) dopo aver prelevato Yara e averla stordita, l’ha portata nel campo di Chignolo d’Isola. I tempi sono perfettamente compatibili con un suo ritorno a casa non oltre le 20, 20.15». Come un bravo padre di famiglia.
“non ha avuto pietà”
Conclude il giudice che deve respingere la richiesta delle attenuati generiche «del tutto infondata: l’inaudita gravità del fatto, la notevole intensità del dolo, la deprecabile motivazione dell’atto criminoso, la condotta contemporanea e conseguente al reato nonché il comportamento processuale costituiscono un ostacolo insormontabile alla mitigazione della pena. Yara è stata lasciata morire in preda a spasmi e inaudite sofferenze in un campo abbandonato. Bossetti ha continuato poi a vivere con assoluta indifferenza rispetto al grave fatto commesso e ha continuato a manifestare, a tre anni dal fatto, interessi sessuali verso tredicenni.
Quanto al comportamento processuale, ha continuato ostinatamente a negare il fatto, assumendo l’atteggiamento di chi sfida l’inquirente a provare la sua colpevolezza». «L’atteggiamento di Bossetti non è stato sempre quello naturale della disperazione ma, il più delle volte, un atteggiamento di sfida nei confronti degli inquirenti. Anche nelle dichiarazioni conclusive lette alla Corte, all’evidenza attentamente preparate e studiate per impressionare i giudici, l’atteggiamento dell’imputato è apparso costruito e non spontaneo, con il richiamo alla mozione degli affetti della famiglia, senza affrontare in alcun modo i temi e i nodi processuali». Per questo: «Si deve ritenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Bossetti abbia ucciso Yara e che l’attribuzione del Dna a Bossetti costituisca elemento di prova della realizzazione dell’omicidio. Un fatto di inaudita gravità posto in essere vigliaccamente nei confronti di una ragazzina giovanissima e indifesa, aggredita per motivi sicuramente spregevoli». Ora la parola passa alla Cassazione, ultimo e definitivo grado di giudizio.
BOSSETTI E LA MOGLIE
Roberto Vergani per "Giallo"
“Marita e Massimo stanno parlando del clamore mediatico che ha avuto il processo per l’omicidio di Yara e dei vantaggi economici che ne possono trarre con memoriali e interviste ben pagate (poi effettivamente realizzate)”. Quello che avete letto è un passaggio del documento che racchiude le motivazione della sentenza d’Appello, di cui vi parliamo dettagliatamente in queste pagine. Il giudice Enrico Fischetti, presidente della Corte, dà ampio risalto agli incontri in carcere tra il muratore e la moglie Marita Comi, intercettati dagli inquirenti con le cimici. Da questi colloqui emerge un Bossetti più preoccupato a “fare soldi” piuttosto che a urlare la propria innocenza. Leggiamo ciò che scrive il magistrato: «L’atteggiamento psicologico del Bossetti non è certo quello di colui che è disperato e che continua a protestare la sua innocenza, ma è quello, abbastanza insolito per chi si trova in carcere con accuse così infamanti, di chi cerca di gestire a suo vantaggio, con grande normalità, lucidità e indifferenza, il clamore mediatico sorto nella vicenda».
Ecco uno dei colloqui a cui fa riferimento il magistrato (M sta per Marita, B per Bossetti).
B: «Loro stanno tentando di tutto per farti fare le interviste per avere... Capito?». M: «Ci ho litigato io con Claudio (Salvagni, ndr) sotto i ponti, che poi è anche uno pieno di soldi, tra parentesi». M: «Io gli ho detto, quelli che mi arrivano da Matrix, appena m’arrivano glieli giro a loro». Con queste ultime parole Marita si riferisce ai soldi che percepirà partecipando a una puntata di Matrix, la trasmissione in onda in seconda serata su Canale 5. Il denaro lo avrebbe poi girato agli avvocati del marito. Il colloquio prosegue così. B: «Nel mio caso così sai quanti è che vorrebbero assumersi il mio caso?». M: «Certo».
B: «Mi conoscono in tutta Italia, eh. È il caso più pagato, eh, fuori dalla Elena Ceste. Poi c’è il mio. Tutti sanno, eh. Tutti gli avvocati prenderebbero subito la palla al balzo per prenderlo in mano. Mi scrivono: “Il primo mese onorario, non si preoccupi che lavoro gratis”. Eh, il secondo mese devo pagare!». Marita scoppia a ridere. In una nota, Fischetti aggiunge: «Dopo che Marita aveva ricevuto 25.000 euro per l’intervista a Matrix, lamentandosi per la trattenuta che li aveva decurtati a una cifra inferiore, e avere accennato a un altro compenso di 25.000 euro per una intervista a un settimanale, Bossetti parla con il fratello Fabio concordando che devono convincere Marita a rilasciare altre interviste remunerative». Emerge da una intercettazione ambientale. Il giudice, poi, sottolinea che è proprio durante questi colloqui che Marita mostra una certa riluttanza a credere all’innocenza del marito. Scrive Fischetti: «Marita, parlando delle indagini, riferisce di due testimoni che hanno detto che Bossetti raccontava “balle” tanto da sostenere di aver un tumore al cervello piangendo, ed è proprio a questo punto che Marita si indigna e comincia a sostenere che il marito come ha raccontato balle ai compagni di lavoro così può averle raccontate anche quattro anni prima». Ecco l’intercettazione:
marita comi bossetti
BOSSETTI 1
M: «È vero che racconti palle allora. Come hai raccontato palle adesso, puoi raccontarle anche quattro anni fa». La donna ritorna alla sera del delitto, ignara di essere ascoltata dagli inquirenti, che hanno piazzato delle “cimici” nella sala colloqui. M: «Non era tanto tempo che parlavamo ancora di quella sera lì... di quattro anni fa... e io ti ho chiesto: “Tu dov’eri?”». B: «E io che cosa ti ho detto?». M: «Non mi ricordo, non mi hai risposto. Non mi hai risposto... Eri in giro, non eri a casa... Eri in giro, ma non eri al lavoro».
la casa di bossetti
MASSIMO BOSSETTI
BOSSETTI