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IL BUIO DI SINEAD O' CONNOR - IL SUICIDIO DEL FIGLIO 17ENNE È SOLO L'ULTIMO TORMENTO DELLA TRAGICA VITA DELLA CANTAUTRICE NATA A DUBLINO NEL 1966 - GLI ABUSI DELLA MADRE ALCOLIZZATA E DEPRESSA, LA DENUNCIA CLAMOROSA CONTRO LA PEDOFILIA NELLA CHIESA, LA SCELTA DI ADERIRE A UN MOVIMENTO CATTOLICO INDIPENDENTE - POI SI DICHIARÒ PER TRE QUARTI ETEROSESSUALE E PER UN QUARTO GAY, CONFESSÒ I SUOI TENTATIVI DI TOGLIERSI LA VITA E SI CONVERTÌ ALL'ISLAM NEL 2018… - VIDEO

 

Chiara Maffioletti per il "Corriere della Sera"

 

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«Sono stata una persona molto travagliata». Tempo fa, dovendosi descrivere, Sinéad O' Connor aveva usato queste parole, ma specificando anche una cosa, dopo tante inquietudini: «Indietro non ci voglio tornare».

 

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È la vita, però, che sembra riportarla sempre al punto di partenza visto che ora, a 55 anni compiuti l'8 dicembre, la cantante si trova ad attraversare quello che con ogni probabilità è il suo travaglio più grande: la morte di uno dei suoi quattro figli, Shane, scappato dall'ospedale in cui era ricoverato dopo che per due volte aveva tentato di togliersi la vita. Aveva 17 anni.

 

O' Connor, nel messaggio con cui ha dato notizia della sua scomparsa, ha parlato di lui come «la vera luce della mia vita». Una luce che si è spenta, lasciando ancora una volta spazio al buio. Il buio accompagna la cantante da sempre.

 

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Nata a Dublino nel 1966, la sua è stata un'esistenza difficile già dall'infanzia: dopo la separazione dei genitori, quando lei aveva 9 anni, era stata affidata alla madre - alcolizzata e depressa, morirà nel 1985 in un incidente d'auto - diventando vittima dei suoi abusi e innescando quel rapporto di amore e odio poi cantato in diversi suoi brani.

 

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La matrice di un'altra relazione complessa, quella con il cattolicesimo, si era formata poco dopo, quando il padre aveva deciso di trasferirla in diversi collegi religiosi. Un disprezzo detonato all'inizio degli anni Novanta quando - ormai famosa - si era resa protagonista di gesti che hanno fatto epoca.

 

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Tra tutti, l'esibizione al Saturday Night Live, nel 1992: aveva denunciato a sorpresa la pedofilia in certi ambienti cattolici e infine aveva strappato davanti alle telecamere una foto di Papa Giovanni Paolo II, al grido di «combatti il vero nemico».

 

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Ragazza inquieta e sfrontata, ribelle nelle idee e nel look (i suoi capelli rasati quando quasi nessuno osava farlo sono diventati un suo simbolo), nella musica sembrava aver trovato una strada per sedare le sue ansie.

 

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Lei che prima di diventare nota in tutto il mondo era stata arrestata per furto, conoscendo anche il riformatorio. Una vita di saliscendi percorsi a velocità folle, come le scale che era in grado di scalare con la sua voce.

 

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Nothing Compares 2 U diventava una delle più hit del decennio (nel 2015 ha dichiarato di non volerla più cantare) e lei nel mentre veniva sopraffatta dalle critiche per quel suo esporsi talvolta scellerato, bollato da chi ha l'etichetta facile come un comportamento squilibrato.

 

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Attaccata, O' Connor era rientrata in quello stato depressivo già conosciuto in passato. Parallelamente alla musica, facevano parlare le sue scelte: a fine anni Novanta diventa prete di un movimento cattolico indipendente, decidendo di farsi chiamare Madre Bernadette Mary.

 

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Una religiosa la cui missione è «salvare Dio dalla religione». Poi si dichiara per tre quarti eterosessuale e per un quarto gay, confessa i suoi tentativi di suicidio. Nel 2011 sposa Barry Herridge, suo quarto marito, da cui divorzierà 18 giorni dopo.

 

Un'irrequietezza esplosa nell'epoca dei social, dove la fragilità della cantante è stata scandita a chiare lettere, da lei stessa. In un post su Facebook del 2015 fa pensare al suicidio: «Ho preso un'overdose. Non c'è altro modo per ottenere rispetto... Finalmente vi siete sbarazzati di me».

 

Nel 2017 pubblica un video in cui dice: «Sono da sola, tutti mi trattano male e sono malata... Le malattie mentali sono come le droghe, sono uno stigma: le persone che dovrebbero amarti ti trattano male».

 

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Quindi l'ultimo annuncio, nel 2018: «Sono orgogliosa di essere diventata musulmana. Avrò un nuovo nome: Shuhada Davitt». La sua ricerca della luce sembrava essere arrivata a un punto. Ma alla fine il buio è tornato, ancora una volta.

 

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