DNA ITALIANO - SE PENSATE CHE I DELINQUENTI SIANO SOLO DEI CAMPI ROM O NELLA BANDA DI SPEZZAPOLLICI DI CARMINATI, SBAGLIATE DI GROSSO - LE ULTIME INCHIESTE SU MAGISTRATI, UNIVERSITÀ E POLITICA, DIMOSTRANO CHE ANCHE TRA LAUREE E PROFESSORI SI NASCONDE IL GERME ITALICO DELL’ARRAFFO, DELL’IMBROGLIO, DELLA TRUFFA - IL CASO DELL’ATENEO DI CATANIA
Brunella Bolloli per “Libero quotidiano”
«Vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare», diceva uno dei prof indagati. «Ci divertiremo. A "idda" non la consideriamo, lei non andrà mai in una commissione di dottorato, non avrà mai un dottorando, tranquilla, hanno pestato la merda, ora se la piangono...», si vantava con una collega Giovanni Carmelo Monaco, direttore del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell' Università di Catania. E il rettore Francesco Basile ammetteva: «Ne ho uno al giorno che viene a chiedere, perché alla fine qui siamo tutti parenti».
Sono solo alcuni dei passaggi dell' inchiesta denominata "Università bandita", titolo che potrebbe valere nella duplice veste di carriera universitaria vietata a chi se la meritava davvero o di ateneo zeppo di delinquenti, banditi appunto.
Certo, non bisogna generalizzare perché i prof onesti ci sono, ma quest' ultimo scandalo che parte dalla Sicilia e coinvolge almeno altre 13 università per un totale di 66 persone indagate per associazione a delinquere, corruzione e turbativa d' asta, fa riflettere. Arriva a pochi giorni da quell' altro marcio venuto fuori dalla casta dei magistrati, che si credono i titolari della superiorità morale poi per fare le scarpe al togato della cordata rivale non esitano a confezionare falsi dossier e, pur di piazzare gli amici nei posti di comando, calpestano la legalità.
«CI SONO LE CIMICI?»
Se la "magistropoli" di Roma è stata una novità per l' opinione pubblica, al sistema malato di certe università italiane eravamo già abituati. Il rettore che dà una cattedra al figlio, poi assume la moglie, quindi il genero o il cugino, a dispetto delle graduatorie e dei giovani laureati che non entreranno mai di ruolo e non avranno mai un assegno cospicuo semplicemente perché non sono della cordata giusta.
Una prassi che in passato ha coinvolto un tempio dell' istruzione accademica quale è la Sapienza di Roma, l' università di Firenze (con questa è la terza inchiesta) e perfino insospettabili atenei del nord, di solito non lambiti da "concorsopoli", cioè da quel mondo sommerso e clientelare avvezzo a premiare i conoscenti senza badare al merito, che invece deve essere il primo e unico criterio per scegliere i migliori sia in ambito pubblico che privato.
Qui, nell' indagine della procura etnea, partita da una querelle amministrativa tra un professore e l' ex rettore, i meritevoli potevano scordarsi di fare carriera perché tanto i concorsi interni venivano gestiti in una modalità «paramafiosa», con i «pizzini» come i boss per orientare le decisioni. In sintesi: le selezioni erano truccate a favore degli amici raccomandati e, del resto, basta sentire i colloqui tra gli indagati per farsi un' idea del giochino.
A vincere erano sempre gli stessi e il peggio è che le regole del codice sommerso prevedevano anche sanzioni come ritardi nella progressione di carriera o esclusioni da ogni valutazione oggettiva. Agli altri aspiranti candidati non veniva neanche letto il curriculum: in fondo erano solo stronzi da schiacciare.
«L' università nasce su una base cittadina ristretta, una specie di élite culturale della città perché finora sono sempre quelle famiglie», spiega candido il rettore Basile, non sapendo di essere intercettato dalla Digos. E dire che proprio lui, durante il passaggio di consegne con il suo predecessore Giacomo Pignataro, era preoccupato che la «nella stanza ci fossero eventuali cimici». Sapendo di non tenere una condotta specchiata, il rettore e i suoi "sodali" erano molto attenti a non parlare dei loro affari al telefono: preferivano vedersi ma sono stati smascherati lo stesso. Ora sono sospesi e dovranno difendersi dalle accuse. Tra gli indagati anche l' ex procuratore di Catania, Vincenzo D' Agata, che si sarebbe interessato per il ruolo di ordinario della figlia Velia.
97 GARE SOSPETTE
Per i dieci catanesi in posizione apicale, tra cui Basile e Pignataro, la procura aveva chiesto gli arresti domiciliari, ma il giudice ha ritenuto che non ci fossero le esigenze cautelari per il provvedimento. Duro il procuratore capo, Carmelo Zuccaro, per il quale il quadro emerso mostra «uno squallido sistema di nefandezze, fatti molto gravi che non fanno onore a persone che dovrebbero appartenere al mondo della cultura».
Il Miur ha annunciato verifiche e si costituirà parte civile.
In tutto sarebbero 27 i concorsi risultati "fasulli", ma si indaga pure su altre 97 procedure sospette. Oltre a Catania, nel fascicolo sono citati anche gli atenei di Cagliari, Catanzaro, Chieti-Pescara, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona.