MAREA MONTANTE - CHIUSE LE INDAGINI SULL'EX PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA SICILIA - PER I PM AVEVA MESSO IN PIEDI UN “SISTEMA DI POTERE FINALIZZATO ALL’OCCUPAZIONE DEI POSTI DI VERTICE DI ASSOCIAZIONI E SOCIETÀ” - PER QUESTO AVEVA CREATO UNA RETE DI ‘TALPE’, CON LO SCOPO DI RACCOGLIERE NOTIZIE RISERVATE - A RENATO SCHIFANI CONTESTATA LA COMPLICITÀ
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
L' ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, arrestato nel maggio scorso con l' accusa di associazione per delinquere, corruzione e altri reati, aveva messo in piedi un sistema di potere finalizzato a una «progressiva occupazione dei posti di vertice di associazioni di categoria, enti e società», allo scopo di realizzare «una loro gestione di natura clientelare». Per fare questo aveva creato una rete di rapporti - fatta di complicità, raccolta di notizie riservate e «talpe» che lo informavano sulle mosse degli inquirenti - che ha coinvolto anche «appartenenti alle forze dell' ordine», utile alla «protezione degli interessi e delle attività imprenditoriali» dello stesso Montante e di «tutti gli associati».
È l' accusa finale mossa dalla Procura di Caltanissetta a conclusione di una lunga indagine cominciata oltre tre anni fa per un ipotetico concorso esterno in associazione mafiosa di Montante, che nel corso del tempo ha visto chiudersi quel capitolo e aprirsene un altro in cui sono emersi nuovi reati. Sempre negati dall' imprenditore nisseno e dai suoi presunti complici, ma che il procuratore aggiunto Gabriele Paci e i sostituti Stefano Luciano e Maurizio Bonaccorso sono convinti di aver provato.
L'avviso di conclusione indagini, notificato ieri, è l' anticamera della richiesta di rinvio a giudizio per Montante e altri 23 indagati, tra i quali spicca l' ex presidente del Senato, attuale parlamentare di Forza Italia, Renato Schifani. La sua posizione sembra essersi aggravata, e lui reagisce così: «Sono sorpreso e allibito, ma ho fiducia nella giustizia».
In precedenza erano contestate al senatore la violazione di segreto e il favoreggiamento, per il sospetto di aver contribuito ad avvisare Montante dell'inchiesta a suo carico; adesso si aggiunge il ruolo di «concorrente esterno» dell' associazione per delinquere, al pari del docente universitario Angelo Cuva, del dirigente di polizia (ora questore di Vibo Valentia) Andrea Grassi e del funzionario dell' Aisi (il servizio segreto interno) Andrea Cavacece.
Diversamente da Schifani, che si era avvalso del diritto di non rispondere ai pubblici ministeri, Grassi e Cavacece avevano cercato di spiegare la loro estraneità alla «fuga di notizie» con cui Montante, l' ex capocentro della Dia di Palermo (passato ai Servizi segreti) Giuseppe D' Agata e altri inquisiti erano venuti a conoscenza dell' inchiesta e delle intercettazioni in corso.
Evidentemente senza riuscire a convincere gli inquirenti. Così come Montante, il paladino della legalità ora accusato di aver costruito un sistema di potere con metodi illegali, che peggiorò la propria situazione il giorno stesso dell' arresto: passò dalla detenzione domiciliare al carcere dopo essere stato sorpreso a distruggere documenti mentre la polizia bussava alla porta.
Un capovolgimento di ruolo quantomeno imbarazzante rispetto all' immagine che s' era costruito in nome delle battaglie antimafia e delle relazioni coltivate ai più alti livelli istituzionali. Utilizzate, secondo l' accusa, anche per carpire informazioni sulle indagini a suo carico, per depistarle e cercare di coprirsi le spalle. Ma il suo avvocato, Nino Caleca, non si scompone: «Cade definitivamente il sospetto che dietro un' antimafia di facciata Montante intrattenesse oscuri rapporti con Cosa nostra. Chiederemo un nuovo interrogatorio per ricostruire gli altri fatti oggetti di contestazione».