BANDO AL CIANCIO – L’EDITORE SOTTO PROCESSO PER CONCORSO ESTERNO AVREBBE “MANTENUTO RAPPORTI CON COSA NOSTRA CATANESE IN MODO SISTEMATICO” - IL TESORETTO DA 52 MILIONI IN SVIZZERA E LIECHTENSTEIN E QUELLE CREPE SULLA HOLDING DELLA CARTA STAMPATA INIZIATE DOPO L’OMICIDIO DI GIUSEPPE FAVA – AGITAZIONE NELLE REDAZIONI DE “LA SICILIA” E LA “GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO”, GIÀ COLPITE DA TAGLI E RIDIMENSIONAMENTI
1 – "CIANCIO È SOCIO DI MAFIOSI "SEQUESTRATI ANCHE I GIORNALI
Estratto dell’articolo di Saul Caia e Antonio Massari per “il Fatto Quotidiano”
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L' inchiesta patrimoniale sui beni di Ciancio, condotta dai magistrati Antonino Fanara e Agata Santonocito, ha portato alla scoperta di un "tesoretto da 52 milioni" detenuto in conti svizzeri e collegato ad alcune fiduciarie nel Liechtenstein. Nel 2015 il sequestro di 17 milioni di euro, poi confiscato con condanna in primo grado. La Procura ha quindi affidato alla Pwc, una delle società internazionali che si occupano di revisione di bilanci, un ulteriore studio sull' evoluzione patrimoniale del gruppo Ciancio.
L' analisi comprende il periodo tra il 1976 e il 2013, con l' estensione del 2014 e 2015, in cui la Pwc ha spulciato 1500 bilanci, oltre 1000 visure societarie e migliaia di documenti, per visionare i flussi che si riflettono nel patrimonio personale di Ciancio e dei suoi familiari.
L' editore Ciancio, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, avrebbe "mantenuto rapporti con Cosa Nostra catanese in modo sistematico" a partire "dagli anni 70 a oggi", e secondo l' accusa "continua oggi a operare come imprenditore mantenendo rapporti con importanti esponenti di Cosa Nostra catenese e palermitana, con i quali è socio".
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"Ritenevo di avere dimostrato, attraverso i miei tecnici e i miei avvocati, che non ho mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi e che il mio patrimonio è frutto soltanto del lavoro di chi mi ha preceduto e di chi ha collaborato con me", ha dichiarato Ciancio tramite un comunicato apparso sul sito web de La Sicilia. L' editore si è detto convinto che la vicenda si concluderà con il riconoscimento della sua "estraneità ai fatti".
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Nella tarda serata di ieri, ci sono state le assemblee di redazione nella sede di Catania de La Sicilia e a Bari per La Gazzetta del Mezzogiorno. Negli ultimi anni c' è stato un vistoso ridimensionamento delle redazioni di Siracusa e Ragusa, e in quasi tutte le sedi i cronisti hanno affrontato mesi di solidarietà tributaria, mentre si segnalano ritardi nei pagamenti per i collaboratori esterni, che in alcuni casi arrivano fino a 16 mesi.
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2 – SEQUESTRATI 150 MILIONI ALL' EDITORE DELLA «SICILIA»
Felice Cavallaro per il “Corriere della Sera”
È come se l' Etna avesse buttato giù con una spallata infuocata un pezzo di Catania, il salotto buono di un giornale per la prima volta sequestrato in Italia per sospetta accondiscendenza dell' editore alla mafia.
LA SICILIA ARTICOLO SU CIANCIO
Ecco l' infamante accusa che tracima sul quotidiano La Sicilia, su quote della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, sulle aziende e sulle due televisioni di Mario Ciancio, l' imprenditore più facoltoso e potente di Sicilia.
Elegante, collezionista di quadri e mobili di gran valore, ma stando all' accusa anche di decine di milioni di euro nascosti in Svizzera e Liechtenstein, modi garbati, per anni ai vertici della Federazione editori e dell' Ansa, Ciancio, 86 anni, quattro figli, è sempre stato ossequiato da uomini politici d' ogni provenienza politica, da governanti di tutto il mondo accolti nelle sue tenute, da notabili e reali. E, aggiunse per primo Claudio Fava, da mafiosi.
Perché se ieri una ormai vecchia inchiesta sull' impero di Ciancio è sfociata nel sequestro e nella richiesta di confisca di un patrimonio da 150 milioni è anche perché le prime crepe sull' inossidabile holding composta da carta stampata, immobili e arance cominciarono a mostrarsi dopo l' omicidio di Giuseppe Fava, lo scomodo giornalista padre dell' attuale presidente dell' Antimafia regionale.
Quando i ragazzi allora coinvolti nel battagliero periodico I Siciliani si scatenarono contro i «quattro dell' apocalisse», prendendo di mira alcuni cavalieri del lavoro e lo stesso Ciancio, la mafia guidata da Nitto Santapaola intervenne a modo suo. Uccidendo il direttore. Quasi una vendetta a difesa di una nomenklatura che la mafia cercava anche così di piegare e impaurire.
Su questo presunto e ambiguo rapporto certezze giudiziarie ce ne sono poche. E infatti lo stesso Ciancio si è sempre difeso respingendo i presunti legami con il cognato di Santapaola, il boss Pippo Ercolano, come sostenne la Procura della Repubblica di Catania nel novembre 2010 iscrivendolo nel registro degli indagati con l' accusa di concorso esterno alla mafia.
Otto anni dopo eccolo costretto a ripetere di «non avere mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi», sostenendo che «il mio patrimonio è frutto soltanto del lavoro di chi mi ha preceduto e di chi con me ha collaborato». Ma ci vorrà tempo per dimostrarlo, mentre gli amministratori giudiziari cercano un direttore e Fava propone i nomi «di giornalisti siciliani che in questi anni hanno raccontato le verità su collusioni e protezioni del potere mafioso».