IL “CODICE” DER CECATO - CARMINATI CAMBIAVA SCHEDA TELEFONICA OGNI 30 GIORNI E DETTAVA LE SUE REGOLE CRIMINALI: “CON NOI DEVI SAPÉ POCO E NUN FA LA SPIA” - LA SUDDITANZA FISICA E PSICOLOGICA DEI MEMBRI DELL’ORGANIZZAZIONE VERSO “ER CECATO”
Federica Angeli per “la Repubblica - Edizione Roma”
Ci sono regole non scritte nella Mafia Capitale. Un codice d’onore che separa i “giusti” dagli “infami”, quelli che son degni di stare dentro e quelli che devono invece capire che «tanto, nella strada comandiamo sempre noi, non comanderà mai uno come te. Nella strada tu c’avrai sempre bisogno di noi». Regole ferree a cui tutti — dai criminali agli imprenditori, dagli avvocati della gang ai politici — devono sottostare. Altrimenti si finisce nella schiera degli “infami”. Il manifesto programmatico del boss Massimo Carminati è un patto di ferro a cui tutti devono rigidamente attenersi.
IL VINCOLO DELLA RISERVATEZZA.
Tra le regole più importanti che contraddistinguono la gang c’è la riservatezza «qualità che ciascun sodale doveva fare propria per assicurare la segretezza del vincolo e il raggiungimento degli obiettivi prefissati». È Buzzi, presidente della cooperativa sociale “29 giugno” e braccio destro del Guercio, a spiegare a un criminale da poco nella banda che «bisogna essere riservati, non parlà troppo. Guarda Massimo: lui è bravissimo, lui non parla, parla pochissimo, perché dice “meno sai, meno ti dico, meno sai e più stai sicuro”». Nel caso in cui qualcuno fosse stato “bevuto” (catturato), non sapendo troppo degli affari dell’altro non avrebbe creato guai.
matteo calvio lo spezzapollici di massimo carminati 2
LA SEGRETEZZA DELLE COMUNICAZIONI
I componenti di Mafia Capitale avevano una vera e propria ossessione per le telefonate. Er Guercio cambiava schede telefoniche ogni 30 giorni — esisteva il telefono “storto” e quello “in chiaro”, ovvero schede fasulle usa e getta e una scheda madre ufficiale — e aveva vietato a tutti di fare il suo nome in qualsiasi conversazione. Di più: per comunicazioni delicate Carminati usava cabine pubbliche o telefoni sparsi in esercizi commerciali sicuri della città mai riconducili in nessun modo all’organizzazione. Tutti gli altri avevano schede sim intestate a persone estranee al loro circuito.
IL VINCOLO GERARCHICO
Gli appartenenti alla gang «sottostavano in pieno alle decisioni di Massimo Carminati, per il bene dell’intero sodalizio». Ciò si verificava sia in ambito squisitamente criminale, sia nei rapporti con quel mondo imprenditoriale divenuto ormai funzionale per soddisfare gli appetiti dell’organizzazione.
A spiegare ruoli e rapporti gerarchici è il pentito Roberto Grilli che nel 2012 al reparto anticrimine del ros dice: «Se vedi in giro insieme Carminati e Brugia possono sembrare amici. Invece sono uno subordinato all’altro». Ancora: «esiste una sudditanza, sia fisica che psicologica». C’è una scala gerarchica insomma e se er Guercio dice a uno della banda «de chiamallo e quello non lo chiama.... seeee, lo deve chiamà pe’ forza».
GLI INFAMI
L’assoggettamento e l’omertà sono due dirette conseguenze della forza d’intimidazione espressa dalla banda mafiosa. L’infame è colui che non rispetta l’omertà intesa come mancanza di collaborazione con le istituzioni e per questo viene disprezzato. E punito. Emblematico un episodio in cui Matteo Calvio (uno dei 37 arrestati) chiede l’autorizzazione a Carminati di poter parlare con un finanziere, spifferando gli affari di altre piccole gang della città.
«Non penserai mica che puoi fare il furbo con loro? — risponde il boss — Quelli so’ più furbi de te e de me messi insieme. Sappi che è un giochetto che può diventà pericoloso. Non me fa impicci. Me fido de te: se facevi la spia, mica parlavi con noi». Quanto a Giovannino il miliardario, un ex galeotto ora molto ricco e con una grande villa al mare in Toscana, che s’era venduto «alle guardie », il Guercio dice: «quello ha fatto beve la gente, è infame fracico e io non posso andare al mare da un infame».